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Archivio storico dell'arte — 2.Ser. 1.1895

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Fasc. IV
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Sant' Ambrogio, Diego: Di due marmi sopravanzati nell'antica Chiesa di S. Eufemia d'incino del XIII Secolo e di un altare d'Orvieto del XII
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https://doi.org/10.11588/diglit.19207#0245

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236 DIEGO SANT'AMBROGIO

dai primi anni del xm secolo, e, dacché fu costruita e ricostruita l'attuale nel xvi e xvii secolo,
rimase esposta alle intemperie al disopra della porta della chiesa.

I terrazzani del luogo, vista la specie di sottana che ricopre la parte inferiore della
statua di mezzo, la venerano da tempo come l'effigie di Sant'Eufemia a cui la chiesa di
Incino è dedicata; ma benché i lineamenti del viso non portino traccia di barba, e sieno
del resto affini in tutto alle due teste della piletta dell'acqua santa, il fatto che quell'im-
magine tiene aperto fra mani il libro delle Sacre Scritture, ed è collocata altresì fra le due
palme colle colombe, attributi iconografici del Redentore fin dalle epoche più remote della
liturgia chiesastica, non lasciano dubbio circa al raffigurare il Cristo in gloria che mostra
alle genti il divino Vangelo.

E, se qualche parola fosse stata scritta originariamente con lettere d'oro sul libro aperto,
non potevano essere che quelle della sacramentale formula sì gradita nei dipinti, nei mosaici
e nelle pitture del xii secolo: Ego sum lux mundi, vita, via et veritas.

Manca, è vero, il nimbo alla testa del Redentore, in gloria, ed è questa una delle sin-
golarità del lavoro, giacche, pur nel xii secolo e tanto più nei secoli posteriori, si usò sempre
circondare il capo del Cristo col nimbo, per lo più crocigeno, anche per distinguerlo meglio
dalle raffigurazioni dei santi o degli apostoli cui si aggiungeva, come distintivo, un nimbo
semplice.

Ciò potrebbe lasciar supporre che questa scultura possa essere anteriore anche al rifa-
cimento della chiesa di cui ci sopravanzano il campanile e la piletta dell'acqua santa colla
data del 1212, e così un resto perduto, quasi, di una chiesa anteriore al Mille nello stile
così detto bizantino che si attribuisce d'ordinario ai secoli vili e ix.

Senonchò, benché questa scultura difetti di data, si manifesta allo sguardo come coeva
alle grossolane sculture della piletta dell'acqua santa, già da noi menzionate, e che portano
una data certa.

Come già osservammo, i tratti del viso in ispecial modo, dal mento pronunciato e
dalle linee dure ed angolose, rispondono in tutto a quelli delle teste angolari della va-
schetta dell'acqua santa, e quanto all'assenza del nimbo, comunque sia abbastanza singolare,
può essere attribuita a imperizia dello scultore, che questa volta omise di apporre all'opera
sua il me fecit, e tanto meno il sic pulchrum.

La tecnica del lavoro risponde del resto pienamente ai caratteri della arcaica scultura
lombarda nel xii e nella prima metà del xiii secolo, fino a che, cioè, venne a spirare in
Lombardia dalla media Italia un soffio dell'arte assai più progredita di Giovanni e Nicolò
Pisano. Quanto poi alle palme dal tronco a spirale, ricordano, è bensì vero, le opere con-
simili degli artefici venuti da Bisanzio e da Ravenna, ma abbiamo ragione di ritenere che
opere consimili, e così l'ornamentazione a intrecci bizantini, coi mistici pavoni e le colombe
tubanti, fiorissero tra di noi non già nell'vin e nel ix secolo, ma, piuttosto, sulla fine dell'xi
e in tutto il xii secolo.

Senza qui parlare della chiesa di Sant'Ambrogio di Milano, che per i caratteri suoi
spiccati della pristina architettura lombarda si manifesta costrutta nel xii anziché nel ix se-
colo, sculture col tipico monogramma ad intreccio così detto bizantino e foglie ad intaglio
secco rinveniamo unicamente nei monumenti che sono di sicura costruzione nel corso
del xii secolo; e così, per tacere d'altri, nel Duomo di Cefalù del 1131, nella Cappella palatina
del 1131, nel Duomo di Monreale del 1170, in quello di Palermo del 1185, nelle Cattedrali
di Foggia e di Termoli del 1179 e del 1153, nel Duomo di Viterbo della seconda metà
del xii secolo, e così nelle chiese maggiori di Piacenza, di Ferrara e di Pisa del 1122, del 1135
e del 1152, nella Basilica di San Zeno di Verona e in Santa Maria della Pieve d'Arezzo.

Anche ad Altacomba, la vetusta Badia sul lago di Bourget che servì poi come sepolcreto
dei duchi di Savoia, un arco con fiorami ad intaglio secco ci fu conservato nell'abside della
pristina chiesa, la quale non risale in ogni modo oltre il 1114; e in Milano stessa due
chiese edificate, con ogni fondamento, solo nel xii secolo perchè distrutte da un incendio,
 
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