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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 3.1900

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Fasc. 1-4
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Leonardi, Valentino: Paolo di Mariano Marmoraro, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.24145#0132
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VALENTINO LEONARDI

donarsi i due grandi altorilievi delle basi : non quello dove al bel signore chiomato che sembra
piacersi della gloria pura della forma, un valletto reca il morione e un altro lo scudo da-
maschinato, mentre per l'arco della porta, nel fondo, avanza la processione dei militi dalla
piccola galea, dai nasi aquilini, dalle bocche tumide, dalla foggia classica della capellatura,
simili in vista a legionari romani che avanzino, lenti e maestosi, ad una città conquistata ; e
nemmen l'altro, in cui sotto il cielo delle rose gemmate l'artefice, maestro di cotte e di maglie,
ha chiuso il re vittorioso nella gorgiera e gli altri armati ha fatto tozzi, con grandi mani
venose, con il collo lungo, le teste grosse, le facce rugose sotto le nari e intorno il mento
a simiglianza di quelle troppo di frequente rasate.

Questi concetti che, come già noi, ha pesato e considerato Carlo von Fabriczy, conducono
il critico tedesco a parecchie ed abbastanza curiose conclusioni.

* * *

l Fabriczy attribuisce la composizione dell'attico trionfale a Pietro di Martino
di Viconago, che, rammentato nei documenti come Pietro da Milano, lavorò
all'arco durante tutto il tempo della sua costruzione, e in Napoli ebbe onori-
ficenze dalla corte e, dopo morte, nobile sepoltura. Pietro aveva già prima
lavorato a Siena, ad Orvieto ed a Roma, e, secondo il Fabriczy, anche con
Donatello a Padova nel monumento del Gattamelata. Dei due altorilievi delle
basi poi, dona quello dei militi astati ad Andrea dall'Aquila, scolare di Donatello, l'altro ad
Isaia da Pisa, che in tal modo avrebbe applicato la sua triennale attività. Non discutiamo
tali attribuzioni, neppure quella che fa scoprire in Isaia un maestro d'armi e un sommo decora-
tore con gran meraviglia di tutti coloro che ricordano il sepolcro di papa Eugenio IV, e veniamo
subito a Paolo, cui lo studioso tedesco dona tutti quei rilievi che sono sotto e sopra le due
figurazioni più innanzi accennate. Si potrebbe subito notare che in questi rilievi gran diffe-
renza corre non solo dall'una all'altra base, ma anche nelle basi medesime, ma di ciò parle-
remo più tardi; per ora ci basta accennare agli argomenti sollevati dal Fabriczy a sostegno
della propria ipotesi.
Sono due:

i° Si tratta di forme e di concezioni rudi che derivano dall'antico;

2° I festoni che i putti sorreggono in queste rappresentazioni rassomigliano a quelli
del frontone di San Giacomo degli Spagnuoli in Roma, che, molto probabilmente, appar-
tengono a Paolo.

Lasciamo stare le concezioni rudi e derivanti dall'antico, che ci condurrebbero a decla-
mare contro la prepotenza delle frasi alla quale soggiacciono tutti, anche i migliori, e a sup-
porre i nostri lettori tanto ingenui da credere che qualunque manifestazione rude e derivante
dall'antico debbasi, durante il Quattrocento, attribuire allo scalpello di Paolo. Riguardo ai
festoni, per non cadere in un errore di logica non molto raccomandabile - - quello cioè di
spieg'are un'ipotesi con un'ipotesi e una supposizione con una supposizione—converrebbe
provare che quelli di San Giacomo degli Spagnuoli sieno di Paolo, cosa della quale non pare
eccessivamente sicuro lo stesso Fabriczy. Ma vogliamo concedere che i festoni in parola sieno
opera del Maestro: ebbene, dov'è la rassomiglianza? Dei festoni di San Giacomo non tutti
recano fiori, quei che li portano ne hanno pochi, e rari, e sempre i medesimi; abbondano
invece i pomi chiusi, le pine : in uno solo abbiam veduto una spica. Il nastro è sempre uni-
forme, come uniforme e sempre eguale è il grosso nodo con cui terminano i festoni. Guar-
date invece a Napoli quale abbondanza e varietà di fiori, di pomi, di spiche a metà aperte,
di grappoli ! I nodi sono in tutto diversi; diversa, tranne in uno dei festoni, è la piega dei nastri,
ed essi non sempre terminano con una doppia ghianda, come a Roma. Uno di essi, sotto la
 
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