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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 5.1902

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Fasc. 4
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Miscellanea
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https://doi.org/10.11588/diglit.24147#0474
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MFSCEL LAN E A

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zantina del secolo xt, simile nell’ insieme e nei parti-
colari all’avorio vaticano delle cinque parti, attribuito
erroneamente da alcuni ai bassi tempi. Notisi che il dit-
tico dalle cinque parti nel South Kensington Museum
(138-66), pure corrispondente a quello del Vaticano, è
attribuito al secolo ix e all’arte carolingia. Esso rap-
presenta la Vergine col Bambino nel mezzo, Isaia e
Melchisedec ai lati, angioli col clipeo del Redentore al
disopra, il Presepe al disotto. Oltre a quest’avorio, po-
trebbe associarsi al dittico del Vaticano l’angiolo del
regio Museo di Darmstadt. Tutti insieme bastano a
classificare con ogni rigore il cimelio del Museo cri-
stiano presso la biblioteca Vaticana.

Per non trattenerci sopra cose che potrebbero sem-
brare di non grandissimo conto, specialmente a chi è
tutto intento all’arte dei periodi più sviluppati e più
belli, ricordiamo due grandi cose italiane, due croci
portatili: una (n. 1230), con incisioni e con smalti
traslucidi, assegnata al secolo xiv e alla Toscana,, la
quale ricorda in particolare il carattere degli smalti del
Corporale d’Orvieto, eseguiti certamente a Siena, e
sotto la direzione d’un artista superiore, quale fu
Ambrogio Lorenzetti ; l’altra (11. 2190) con molti nielli
d’una bellezza tale da non temere riscontri con altre,
e certamente fiorentina, del tempo del maggiore svi-
luppo dell’arte dell’oreficeria, quando Piero Poliamolo
teneva il campo a Firenze.

Queste notizie sono le briciole d’una grande mensa.
Ma non è possibile dar conto di parecchie migliaia di
oggetti in questo corriere. Conviene contentarsi di
accennare a cose, .che, per la familiarità che noi ab-
biamo con altre simili, ci sembrino esse stesse fami-
liari e care.

Dusseldorf, 25 settembre '902.

A. Venturi.

Notizie del Belgio.

L’Esposizione di Bruges. — L’Italia ha presa una
minima parte alla grande esposizione dei quadri fiam-
minghi del xiv, xv e xvi secolo, apertasi, dal giugno
all’ottobre, in Bruges gloriosa d’artistiche memorie.
Le collezioni pubbliche e private d’Europa concorsero
alla ricostruzione ideale della antica pittura fiamminga,
molte chiese tolsero dall’adorazione dei credenti i loro
tesori per darli temporaneamente all’ammirazione del
mondo, gli ospedali staccarono dalle cappelle i simu-
lacri della pietà per vederli entro al gran quadro della
storia; ma l’Italia quasi non contribuisce a queste feste
solenni della scienza e dell’arte, anzi, impaurita ancora
del disastro di Como, si tiene in disparte. Giova spe-
rare tuttavia che non sarà così per l’avvenire, quando
e per ottenere reciprocità coll’estero/ dove è pure
tanta parte de’ nostri tesori, e per la sicurezza delle
guarentigie e la provvidenza delle cautele, ogni santa
gelosia e ogni paura si ridurranno a più giusti limiti.

Dall’ Italia giunsero a Bruges parecchi splendidi
quadri della raccolta, che Adolfo Thieme ha com-
posta a San Remo, il Cristo in casa dì Simone di
Thierri Bouts, il Crocifisso dello stesso autore, la Ver-
gine con il Bambino e un angelo di Hans Memling.
Il principe Alfonso Doria trasmise da Roma un capo-
lavoro La Pietà, nel quale Memling ha l’espressione
drammatica forte di Rogiero van der Weyden e il fondo
vivido di Thierri Bouts; e inviò pure un quadretto di
un cavaliere protetto da Sant’Antonio, sotto il nome
di Jean van Eyck, opera invece della scuola d’An-
versa al principio del secolo xvi. Insieme col fine
quadretto, il principe Doria espose una Santa Madda-
lena attribuita a Jean Mostaert, ma, per i confronti
evidenti con altri quadri del maestro della Vergine
dai sette dolori, è da tutti classificato insieme con
essi, e aggiudicato, secondo una verosimile ipotesi,
a Adriaen Ysenbrant, autore che è stato tratto dal-
l’oscurità che lo avvolgeva dalle diligenti ricerche del
Weale. Anche il dipinto con due teste virili, presen-
tato senza alcun nome dal principe Doria all’esposi-
zione, è stato riconosciuto facilmente come un’opera
di un imitatore di Quinteu Massys. Se non erriamo,
tutto ciò forma il contributo d’Italia alla bella espo-
sizione ricca di 413 dipinti. Alcuno però, tra le cose
venute d’Italia, indica anche tre quadri segnati in
catalogo come proprietà di N. M., Paris: uno del
Memling veramente straordinario, rappresentante un
ritratto di dama, un altro di un imitatore sconosciuto
di Rogiero van der Weyden, un terzo di un maestro
pure sconosciuto, forse di Bruges, del principio del
secolo xvi. Infine il signor Herriman da Roma ha
trasmesso all’esposizione due graziosi quadri, uno
bellissimo attribuito a Hans Memlinc, certo della
scuola di Rogero van der Weyden ; un altro asse-
gnato a Quinten Massys, col quale non ha invero
troppe relazioni.

Per noi italiani, che. abbiamo avuto tanti rapporti
con l’antica arte fiamminga, l’esposizione è della mag-
giore importanza, perchè tutti ricordiamo il capola-
voro di Hugo van der Goes, così caro agli artisti
fiorentini da Domenico Ghirlandaio a Mariotto Alber-
tinelli, e sappiamo che passò per le nostre contrade,
bene accolto da Lionello d’Este, vantato da Ciriaco
Anconitano, Rogiero van der Weyden; che un altro
maestro, Justus van Ghent, adornò, coi maggiori pit-
tori d’Italia, la fiorita corte dei Montefeltro; che sotto
il sole del mezzogiorno, a Napoli, sorse una scuola
ispirata all’arte fiamminga. Sarebbe lungo richiamare
gli scambi fraterni dell’arte nostra con la fiamminga,
sino a che quella, giunta al suo meriggio, soverchiò
questa, e gli tolse il sentimento natio, la vita sua
propria, le originali tendenze. Alla esposizione non
mancano gli esempi dell’arte fiamminga soggiaciuta
all’italiana; la Sibilla persica, ad esempio, n. 220,
grandiosa, sotto influssi lombardi, verosimilmente
 
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