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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 7.1904

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Fasc. 3
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Brunelli, Enrico: Antonello de Saliba
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https://doi.org/10.11588/diglit.24149#0326
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ANTONELLO DE SALILA

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specialmente per le terre minori della Sicilia e della Calabria. In Messina si svolge la parte
minore della loro attività; e invero, in questa città, mentre Antonello restava fido alle sue
formule quattrocentesche, prevalevano intanto altre influenze; e l’arte nuova del Cinquecento
vi s’imponeva, pel tramite di Cesare da Sesto e di Polidoro da Caravaggio.1 Prevale allora
nella pittura messinese un certo eclettismo di forme, condito ben presto di manierismo.

Già Salvo è eclettico, ma anch’egli, come il de Saliba, è un quattrocentista puro. Chi a
Messina si manifesta come pittore dominante, poco dopo l’inizio del secolo xvi, è Girolamo
Alibrandi, il così detto Raffaello messinese. Il Grosso Cacopardo ne fa un allievo di Leo-
nardo; certo egli sentì e imitò Cesare da Sesto. Ma il suo famoso e ammirato quadro della
Presentazione al Tempio nella chiesa di San Nicola, vuota, barocca, teatrale composizione,
è un miscuglio di svariate influenze, mal collegate. Vi si manifesta persino, e nel modo più
chiaro, l’influenza di Lodovico Mazzolino, dal quale, fra altro, appare letteralmente copiata
una figurina di putto.2

L’arte già barocca di Girolamo Alibrandi fece, a quanto sembra, passare in seconda
linea quella di Antonello de Saliba che si contentò di lavorare per terre di provincia, ste-
reotipandosi in opere monotone e mediocri. La maggior parte di quelle, di cui il Di Marzo
ha pubblicato i contratti, è perduta; come non resta memoria di quella, rammentata dal
Lanzi, nella chiesa parrocchiale di Pistunina (1508). Ma due sue Madonne, firmate e datate,
si conservano ancora nel Museo provinciale di Catanzaro (1508), e nella chiesa dei Minori
Osservanti, a Vizzini (1509). Altre sue pale d’altare più vaste troviamo nella chiesa di San-
t’Agostino a Taormina (1503), nella Aratrice vecchia di Castelbuono (1520), nella chiesa prin-
cipale di Monforte (1530). A Milazzo finalmente, nella chiesa di Santa Maria della Catena,
restano due immagini di San Pietro e di San Paolo (1531); ultima opera conosciuta dell’artista
che ha apposto al San Paolo la sua firma in dialetto siciliano « lu mastra antonellu desaliba
pinsit ».

Fra tutte queste opere, quella di Catania appare la migliore e più diligentemente ese-
guita. Diligenza e ricerca di grazia appaiono ancora nelle Madonne di Catanzaro e Vizzini.
Ma col volger degli anni, e forse per le molteplici commissioni, il de Saliba, dalla primitiva
accuratezza, passa alla grossolanità e alla negligenza.3 La migliore testimonianza di questo
progressivo decadimento ci è data dalle due immagini di Milazzo, volgari di forme, fosche
di colore. L’esecuzione debolissima dimostra la stanchezza e la tarda età del maestro, del
quale infatti poco dopo (1535) i documenti cessano di far menzione. Possiamo pensare che
intorno al 1535 sia avvenuta la sua morte.

Queste le opere certe di Antonello. Nessuna firmata ne rimane in Messina;4 ma quivi,
nella chiesa di Santa Lucia, è una tavola, con la Madonna e il Bambino in trono (oltre al
ritratto del committente) che molto si avvicina nei tipi e nello stile, specie per il panneg-

1 Cesare da Sesto lasciò ai pittori messinesi un ma-
gnifico modello nel suo quadro dell’Adorazione dei
Magi, oggi al Museo Nazionale di Napoli. Al museo
stesso è provenuto da Messina il quadro dell’ascesa al
Calvario, dipinto da Polidoro ; squilibrata e pesante
composizione, rozza d’esecuzione, fosca di colore. Po-
lidoro ebbe tuttavia in Messina maggior seguito e in-
fluenza, ma la scuola, quivi da lui creata, appare affatto
insignificante e mediocre.

2 Non è ancora possibile dare una spiegazione di

questi singolari rapporti che si avvertono fra alcuni
pittori siciliani ed emiliani, come fra il Quartararo e
il Bianchi Ferrari, l’Alibrandi e il Mazzolino. Parmi
tuttavia degno di ricordo, in proposito, il fatto che

un pittore messinese, Giovanni Borghese, fu in Bo-

logna, alla scuola del Francia e del Costa.

3 Potrebbe rammentarsi qui un documento del 1510,
in cui Giovanni e Antonello de Saliba s’obbligano a
fare per un Antonio Sardu, barone di Motta Camastra,
« quemdam confalonem ... ad miglorari quillo di
Francavigla, di plui bellicza et di plui lavoro...» (Di
Marzo, I Gagini, II, pag. 390). Ma questa formula
è comune nei contratti del tempo, relativi ad artisti.

4 Nella recente Guida di Messina, pubblicata a cura
di quel Municipio (Messina, 1902), trovo indicata nella
Pinacoteca (pag. 335) un’ancona, a sei scomparti, di
Antonello de Saliba. Non ho veduto questo^quadro,
chè non era esposto, prima del recente riordinamento
di quella Pinacoteca,
 
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