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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 17.1914

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Fasc. 2
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Maione, Italo: Fra Simone Fidati e Taddeo Gaddi
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https://doi.org/10.11588/diglit.24141#0141
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FRA SIMONE FIDATI E TADDEO CADDI •

P RA Simone Fidati, detto il beato di Cascia, pur non conosciuto che dai pochi studiosi
X dell’oratoria sacra italiana, ha nella storia un’importanza singolare, sia come educatore,
sia come scrittore.

Nato in un’epoca, forse la più tormentata della storia d'Italia e vissuto nelle città le più
turbolente d’allora, egli acquista la fisonomia di chi, elevandosi al di sopra dei partiti, sente
nascere il bisogno della pace, quanto più d’intorno lo circonda la lotta.

Entrato nell’Ordine Agostiniano intorno al 1313, spiegò la sua maggiore energia a Fi-
renze; vi dimorò dal 1333 fino al giorno della sua partenza per Roma, epoca che può esser
segnata per il 1338.

In una città stremata di forze, qual'era la Firenze di quei tempi, il cui popolo conser-
vava vivo nel seno il sentimento della religione e aveva sentito a non molta distanza di tempo
la voce di Dante e quella di Fra Giordano, come a risollevarlo ad una visione oltramondana
di luce e purezza, il beato orò, attivo nella sua missione. Ed al popolo, che non poco aveva
ritenuto del verso del poeta e della prosa del frate, spiegò dinnanzi il libro della Divina
Sapienza, il Vangelo, per trarne gli elementi e la base di una vita sicura dalle tentazioni
come specchio per coloro che non avevano la forza di elevarsi da sè alla visione dell’eterno

Della sua opera ci restano testimoni il libro in volgare della Vita Cristiana, ed una cspo
sizione dei Vangeli in latino. Opera limpida e tersa quella per il dettato e per il contenuto
è come la codificazione, direi quasi, dei più sani precetti di morale, animata da uno spirito
sincero e puro, che non si turba dell’essere terreno, pur di bearsi del divino. Da quelle pa
gine, le più belle che abbia il Beato, vive di sentimento e di sincerità, tali da farle restare
uno dei più puri esempi che la lingua italiana abbia dato prima ancora che il Boccaccio scri-
vesse il suo Decamerone, e che nulla hanno da invidiare a questo, da quelle pagine vien fuori,
nel nobile atteggiamento, il vero cristiano, l’ideale del santo, quale Fra Simone se l’era dise-
gnato, meditando su se stesso.

In latino l’altra è un’opera dottrinale, un riassunto delle sue prediche, come un commento
alla Sacra Scrittura, fatto con vedute esegetiche. Fra Simone ci si dimostra in quest’opera
un novellatore. I versetti brevi di Luca e di Matteo gli dànno campo a descrizioni vive e
lunghe, con particolarità, che, pur non contraddicendo il testo, dànno contorno alle figure del
racconto, rimanendo però queste chiuse come in una formula. Ma il corso del racconto, col
penetrare che vi fa la dottrina, viene spezzato, ed il filo estetico, mentre si mostra limpido
ed eguale, viene meno, per dar luogo ad osservazioni dottrinali, alla ricerca del significato
occulto della parola del testo, alla esplicazione d’un mistero che la frase, il racconto racchiude,
come il succo sotto la scorza di un verde albero; pare il cantastorie che, nel mezzo della
marina di Napoli, scorre con la bacchetta il cannavaccio che gli sta di rincontro per narrare
 
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