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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 26.1923

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Fasc. 2
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Venturi, Adolfo: Antonello da Messina
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https://doi.org/10.11588/diglit.17343#0147
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ANTONELLO DA MESSINA 125

Francesca nella grandezza dei paesaggi silenti, nell'architettonica misura della com-
posizione. Federico da Montefeltro, ritratto dal maestro di Borgo, s'eleva, torre so-
vrana, nell'appiombo dell'immota cilindrica figura, sul paese piatto, sulla trasparente
lastra di cristallo del fiume; signore, nella sua olimpica stasi, di un mondo incorrut-
tibile. Ed ecco Francesco Laurana innalzare, dallo zoccolo elittico, entro un'ideale cam-
pana, il busto della consorte di Federico, Battista Sforza, fermo il respiro tra le labbra
socchiuse, lontano dal mondo reale lo sguardo vago, irrigidita la forma, a contrabbi-
lanciar, col rilievo del capo indietreggiante, il rilievo del petto; ogni particolare, l'arco
della bocca socchiusa, delle palpebre sospese sull'occhio spento, la tornita colonna
del collo, il pendente a greca composto da una ciocca sul limite della guancia, il ro-
tulo che trasforma la capigliatura in classica conchiglia, è sottoposto alle profonde
leggi di metro che regolano l'insieme architettonico.

L'aspetto sepolcrale- dei lineamenti frigidi e muti, degli occhi nebulosi, l'immobi-
lità di sfinge, che cancella i tipi dei ritratti di Francesco per formar un'unica imper-
sonale immagine, sono dovuti all'applicazione di un principio assoluto: regolarità di
volumi entro volumi regolari, equivalenza di vuoti e di pieni, esattezza di metro. Il
particolare è allontanato o disciplinato: l'unità della massa risulta infrangibile. Le
prodigiose maglie di seta, le stoffe rasale, fasciano i busti di geometriche zone, stringon
le statue al loro piedistallo, non turbano la superba nudità delle forme geometriche.
A questa schiera di eroi appartiene, per il metro profondo, la scarsa individualità
del tipo, la potenza, in lui quasi violenta, dell'effetto plastico, il genio della scul-
tura veneta, Antonio Rizzo, che forse non invano conobbe il genio della pittura si-
cula, Antonello, e anzi si strinse, secondo il Vasari, in amicizia con lui. Diciamo, di
Antonello, genio della pittura, ma sebbene avvolga nel lucente vivido smalto dei suoi
colori le forme possenti, egli è anzitutto un plastico, che anche della luce solare si vale,
non come i Fiamminghi ad animar di riflessi il morbido velluto dell'ombra, ma ad
isolar dai fondi le sue geometriche architetture marmoree: esempio sublime la Vergine
leggente di Palermo. Il busto campeggia solitario sul fondo nero, e si fissa, per le ap-
piombate pieghe della stoffa, al tavolo, che serve di base al grande costrutto cono della
lìgura. Entro l'apertura del manto, composta con regolarità suprema dalle cilindriche
pieghe, che una mano della Vergine fiss;i al petto, s'affonda la tenebra, accentuando
il rilievo del volto abbacinato dal sole, la immacolata purezza della forma ovoidale,
il plastico sboccio delle labbra cilindrate, la convessità delle palpebre, gusci di lucida
seta sopra l'occhio di un greve, opaco, languente nero arabico; ed ecco la mano destra,
aprendosi a cenno di sorpresa, arrestarsi paurosa al limite dell' ombra. Ogni par-
ticolare della composizione è distribuito con architettonico rigore; il leggìo, spostato
dal centro del quadro, e la marmorea figura formano un tutto inscindibile, rientrando
nei limiti del cono plasmato da un lento rotear delle forme intorno all'asse' mediano
della composizione; le pagine del libro scattano a tracciare nell'ombra una mezza ruota
di luce; un cauto perfetto contrappeso regola l'inclinazione del volto e delle mani, la
distribuzione delle pieghe affusate lucenti, regolari volumi entro il volume totale, ele-
menti essenziali della cristallina struttura, lì, precorrendo di più di un secolo un genio
che onorerà delle sue opere la nostra terra, Michelangelo da Caravaggio, il grande
Sicido esalta il valore plastico della forma, ad essa convergendo la luce, strumento di
sintesi nelle mani del potente costruttore

Contro la natura propria di Antonello, figlio di scultore, e rivolto a forme scul-
torie, agì l'arte fiamminga, che il nostro pittore vide dapprima attraverso forme in-
portate da Catalogna nell'Isola, poi nei nobili saggi di Colantonio a Napoli, e forse
negli esempi di Giovanni Van Eyck alla Corte aragonese. Certo non bastò, che, verso
le Fiandre dovette veleggiare l'artista intorno al 1465, in quel tempo in cui la stessa
vita animava l'Italia e le Fiandre, i due paesi, per l'arte pittorica novatori, avanguardie
 
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