De gli antichi.
4*7
8^
h«h
«sien^neg
spopolo
palepcr
gio.
Quetta è colei, che tanto è fotta in crocea ,
Pur da color , che le deurian dar lode^J *
Dandole hiasino a torto, e mala voce^i ».
Cosi dice Dantedella Fortuna, da che ho voluto comin*
! ciare, donendo già proporre la suaimagine,conciosia che à co
Rei danno i mortali colpaditutto quello, che in trauiene fuo-
ri del loropen lamento, recandoli a malespesso quello, che
più tosto gran bene dourebbono giudicare , E par , che vo-
gliono, che l’acquisto, la perdita de gli h onori, & delle ric-
chezze venghi dalla Fortuna, &il nuolgimen ro di tutte le
cose mondane- Onde il Petrarca nella Canzone,
feM
refe
Tacer non sojjo, e temo , &c.
k> che ella così gli dice di sé stessa;
Petrar*
ceu «
lo fon d'altro foter, che tu non credi ,
E so sar lieti, e triftì in vn momento |
Ptù leggera che vento
E reggo, e voluo guanto al mondo vedi*
Etquindi nascono gli infinitibiasmi, ch’ella di sé ode poi
tutto il dì ; perciochepare, chequeste cose, lequalidimandia- fortu»
mo beni di Fortuna, yadiaoperlo pitia chi n’cmen degno , na fer^
&chenerestimiseramente priuato chi piu gli meriterebbe . che
lidie sella bene, 0 male , lal’cio considerai a chi può vedere fidata.
quanti noiosi pensieri, quanti tramagli > e quanti pericoli por*
tino secoi beni di questo mondo; imperoche pochi sono, che
mettano mente a questo, ma ricerchiamo quali tutti Tempre ^orsuJ\
di tauerne; e perche non potiamo satiate il disordinato nostro rht n6
desiderio, ci lamentiamo poi della Fortuna, la quale secondo Giuue<*
la opinione di molti non è ; onde Giuuenale cosi ne dille ; nalu.
One prudenza sia , non ha s eterea
alcuno la fortuna 9 é* tl fuo nume^
D o
Etutts
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spopolo
palepcr
gio.
Quetta è colei, che tanto è fotta in crocea ,
Pur da color , che le deurian dar lode^J *
Dandole hiasino a torto, e mala voce^i ».
Cosi dice Dantedella Fortuna, da che ho voluto comin*
! ciare, donendo già proporre la suaimagine,conciosia che à co
Rei danno i mortali colpaditutto quello, che in trauiene fuo-
ri del loropen lamento, recandoli a malespesso quello, che
più tosto gran bene dourebbono giudicare , E par , che vo-
gliono, che l’acquisto, la perdita de gli h onori, & delle ric-
chezze venghi dalla Fortuna, &il nuolgimen ro di tutte le
cose mondane- Onde il Petrarca nella Canzone,
feM
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Tacer non sojjo, e temo , &c.
k> che ella così gli dice di sé stessa;
Petrar*
ceu «
lo fon d'altro foter, che tu non credi ,
E so sar lieti, e triftì in vn momento |
Ptù leggera che vento
E reggo, e voluo guanto al mondo vedi*
Etquindi nascono gli infinitibiasmi, ch’ella di sé ode poi
tutto il dì ; perciochepare, chequeste cose, lequalidimandia- fortu»
mo beni di Fortuna, yadiaoperlo pitia chi n’cmen degno , na fer^
&chenerestimiseramente priuato chi piu gli meriterebbe . che
lidie sella bene, 0 male , lal’cio considerai a chi può vedere fidata.
quanti noiosi pensieri, quanti tramagli > e quanti pericoli por*
tino secoi beni di questo mondo; imperoche pochi sono, che
mettano mente a questo, ma ricerchiamo quali tutti Tempre ^orsuJ\
di tauerne; e perche non potiamo satiate il disordinato nostro rht n6
desiderio, ci lamentiamo poi della Fortuna, la quale secondo Giuue<*
la opinione di molti non è ; onde Giuuenale cosi ne dille ; nalu.
One prudenza sia , non ha s eterea
alcuno la fortuna 9 é* tl fuo nume^
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