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Ducati, Pericle
L' arte classica — Torino, 1939

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https://doi.org/10.11588/diglit.43346#0664
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6i6

PERIODO SESTO

di Fucino sotto Claudio e, soprattutto, gli acquedotti dell’Aniene e dell’acqua Claudia
dovuti a Caligola e a Claudio. Erano lunghi viadotti (quello dell’acqua Claudia, per
esempio, è lungo km. 68), che trasportavano freschezza e limpidezza di acqua dalle
sorgenti montane sino a Roma, offrendo a questa città una enorme ricchezza del liquido
prezioso, fonte di gioia e di salute. Ed è, come si è detto, uno degli spettacoli più suggestivi
della deserta e solenne campagna romana (fig. 754) la vista di queste lunghe file di
arcate, che purtroppo la vandalica mano dell’uomo ha spezzato, distruggendo in parte
quanto la sapienza e la grandezza di Roma imperiale avevano saputo innalzare. E se
si pensa che, secondo ogni probabilità, la linea degli archi dell’acqua Claudia, che ora
sono quelli che in grado maggiore suscitano nel visitatore della campagna di Roma
la più viva impressione, era intatta nel percorso di circa sette miglia sino al 1585, cioè
sino a quando Sisto V ne decretò la parziale distruzione per il suo acquedotto dell’acqua
Felice, più acuto è reso l’accoramento per tale rovina.
La Porta Maggiore a Roma (fig. 755), costruita tra il 38 ed il 52, portava nei canali,
aperti nello spessore dell’alto attico, le correnti dello Aniene Nuovo e dell’acqua Claudia,
e ciò risulta dalla epigrafe tuttora leggibile. È questa costruzione una porta a due pas-
saggi alta m. 14, la quale diventò uno degli ingressi della città, quando si innalzarono
le mura aureliane tra il 270 ed il 282, ma che prima aveva semplicemente servito di
conduttura delle acque al di sopra della confluenza delle due vie Prenestina e Labicana.
I passaggi sono larghi m. 7,50 e tra passaggio e passaggio ed ai lati sono tre pilastri,
in cui una coppia di mezze-colonne sostiene un architrave ed un frontone, mentre
nell’intercolunnio si apre una nicchia. Incontriamo in tal modo uno schema di deco-
razione, che verrà poi applicato con grande favore in edifizi dell’impero, per esempio
nel Pantheon, e che è la traduzione in pietra del sistema di decorazione ad edicola
nella pittura decorativa dei primi tempi dell’impero. La parte più bassa della Porta
Maggiore è di blocchi di travertino scabri e rozzi e tutto ciò, insieme coi fusti delle
colonne lasciati a bella posta incompiuti, accentua fortemente la potenza di tutta la
parte inferiore della costruzione, che serve perciò come di base al tripartito e liscio
attico recante la pomposa epigrafe.
Il tempio di Giove Eliopolitano a Baalbeck. — Ai primi tempi dell’impero, secondo le
più attendibili indagini, risale il grandioso santuario di Giove Eliopolitano a Baalbeck,
che un tempo concordemente si attribuiva all’età di Antonino Pio. In questa località
della Siria, vicino alle falde dell’Antilibano il classico romano Giove, assumendo l’epiteto
di Eliopolitano, veniva assimilato al vetusto dio siriaco Baal. Tale travestimento romano
del nume siriaco è il risultato della trasformazione di Baalbeck in colonia romana, nella
Colonia Julia Augusta Heliopolitana, al tempo di Augusto. E con l’inizio della novella
vita romana pare assodato che coincida l’inizio del colossale santuario, le cui imponenti
rovine in così remota regione esprimono all’ammirato visitatore la gloria di Roma.
Il santuario (fig. 756), che si estolle trionfante sulle vicine minori costruzioni romane
e sul misero abitato odierno e sulla pianeggiante campagna, pur possedendo i caratteri
puramente classici, anzi ellenistici, nei vari suoi membri, palesa, nella disposizione e
nella riunione delle parti in cui viene a dividersi, in modo assai chiaro, l’influsso dei
santuari fenici. Esso era, si conceda il paragone di cose minime con cose grandi, come
un orientale vestito alla romana.
 
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