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ISCRIZIONI TESSALICHE

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sempre il xoiròg itvodóxog è un magistrato speciale ;
qualche volta ne esercita le funzioni un xayóg (Heu-
zey, 4). Accanto al xoivòg gevoòóxos clic è evidente-
mente il garante della manomissione in nome dello
stato, sono qualche volta menzionati dagli ì'óioi 2-evo-
óóxoi (ibid.) che equivalgono senza dubbio ai ftspmaj-
xr^sg privati dalle iscrizioni delfiche.

Due parole siili' importare di questa tassa. Essa
è di 15 stateli o di 22 denari e i . Dunque lo sta-
terò tessalo equivale ad un denaro e mezzo. Infatti
in Tessaglia si conia dal 198 accanto ad una dramma
di peso variabile tra gr. 4,08 e gr. 4,30, corrispon-
dente alla dramma attica, uno staterò di un peso va-
riabile tra gr. 5,57 e gr. 6,50, corrispondente all' an-
tica dramma eginetica. Quello staterò equivale a due
vittoriati, il vittoriato avendo il valore di tre quarti
di denaro. E non manca neppure il pezzo di mezzo
staterò, che corrisponde precisamente al vittoriato
(cf. Catal. of Greek Coins in the Dr. Museum, Thes-
salij to Aetolla, p. XXI). La riduzione degli stateri
in denari spetterebbe secondo Ussing, p. 14, seguito
da Heuzey et Daumet, p. 422, all'impero di Augusto.
Non tutto quel che Ussing nota a questo proposito è
esatto : nella sostanza però mi sembra che egli abbia
ragione. Sarebbe tuttavia erroneo il credere che le
iscrizioni in cui la tassa è computata in stateri siano
sempre le più antiche: vedasi p. e. il mio n. 19 molto
più recente dei nn. 15 e 18, sebbene in questi si
parli di denari, in quello di stateri. Persino in una
iscrizione assai tarda di Tricca troviamo ancora, ac-
canto ai denari, menzionati gli stateri (sotto n. 90).

Eesta un altro punto di grave importanza, di cui
fin qui s'è tenuto ben poco conto. In alcune iscri-
zioni il nome del liberto è seguito da un genitivo o
da un aggettivo patronimico che è o no quello del
nome del padrone. Più esempì renderanno chiara la
cosa. 11 caso più semplice è quello in cui il genitivo
o V aggettivo son precisamente quelli del nome del
padrone. Così 2oi(fog &iot,6[rsiog dnsXsvb-tqslpO-ig
dnò Qio£óxoi MeyaXoxX[iaCor\ {Mitth. XIV, 59 segg.
a 9) ; Ilagafiovog Nixonò\_Xe(o~\g dnò NixonóXsmg xov
Aydi+mrog (Ussing, 6, v. 7. Cito secondo un apografo
meno incompleto preso da me e dal sig. E. Pridik).
Quando i padroni sono più, il patronimico (lo dirò
così per brevità) che si unisce al nome del servo è
naturalmente uno : ndoig Q>iXoXdetog ò (pd/isvog dnsi-

XevlhsQovalhtiv dnò 'ÀQticfi'cc xcà <l>iXoXdoi (ViXoXaetovv
(BCH. XIII, 381 segg., v. 39); IwGxqdxv] ^[>o>
dnò Aq%Cov xal J»][a,o(pt'Xov xmi <2>t2[of vov (Ussing, 6,
v. 34). Quando padrona è una donna, il patronimico
del servo coincide qualche volta con quello della pa-
drona, p. es. : \M~\a%dnoXig Aqxtov dnò (fvXag xrig
Aqxt'ov (Ussing, 0, v. 27), ma qualche volta no, p. es. :
filava XaQiàd/isia d (pafit'ia dneiXsvfrsQovGtteiv dnò
'Em/isXsi'ag JafifiaxqisCag (BCH. 1. C, V. 32); Ayd&a
—wndxQov dnò cHytj\jfovg^\ xrjg Qsoytvovg (Ussing, 6,
v. 18). Anche quando il manumissore è un uomo,
accade qualche volta che il patronimico del servo coin-.
cida con quello del padrone, p. es. : Ilaod Meyiaxag
Avxiyt'vsog xdg dnsXsvdsquìO-fitìag dnò ^oìGixSxQdxov
xal I/vi)(o)xXtovg xmv Avxiyt'rsog (Sitsungsber. der
Beri. Akad. 1887, p. 557 segg., I, 9); qualche volta
però il patronimico del servo non ha nulla che fare
nè col nome del padrone, nò con quello del costui
padre, p. es. : KXevtfog^ AqiaxoxXtovg dnò Osfiiaxo-
xXt'ovg xov Z\jon;~]vQi'wrog (Ussing, 6, V. 19); naqd
Éiqdvag xdg ^/lotfdvxov dnsXsvO-SQm Ositiag dnò

KvXXov xov [^A^qiGxovixov (Sitzungsber., 1. cit., I, 6).
In presenza di questi testi non mi pare da dubitare
che il nome aggiunto in genitivo o come aggettivo
patronimico dietro al nome dello schiavo è quello del
suo nQoffxdxrjg legale ('). Di fatti il liberto, come il
meteco in genere, aveva bisogno di un patrono, che,
secondo le iscrizioni citate, nel caso più semplice
era il manumissore stesso; se i manumissori erano
più, era uno di essi; se la padrona era una donna,
eia il xvQiog della donna, padre, marito o tutore che
fosse ; se i padroni erano minorenni, era il loro padre
o tutore; se finalmente erano stranieri o meteci, era
un cittadino necessariamente diverso dal padrone. Che
così infatti si abbia da spiegare l'ultimo dei casi ac-
cennati sopra, ce lo indicano le stesse iscrizioni. Per
esempio troviamo 'Enixx^cig (PtXinnov dnò Il{_aQi.C\e-
vtóxov. Parmenisco non ha padre legale, quindi non
è cittadino (Qssing, 0, v. 29). Poi Ndva Jioówqov
dnò IlaGimvoq xov QsoSuìqov Av\jiio%t'a}g^\ (Mitth. VII,
p. 226, v. 12). Pasione è straniero; Nana se vuole
restare nella città bisogna che abbia un nqoGxdxi]g
cittadino. Abbiamo ragione di supporre che anche

(') Servi o anche liberti pure col nome del padrone in
genitivo, CIA. II, 959.
 
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