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c amarin a

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e di leone (Head, p. 507) del V sec, nelle quali però,
attese le dimensioni, sfugge il dettaglio. Nè meno
arcaico è il carattere della doppia testa di ariete
nei tetradrammi di Delfi, che pure soglionsi attri-
buire alla metà del sec. V('); essa ha poi impronta
decisamente primitiva in tutta la ricca serie di mi-
nuscoli pezzi della stessa zecca, usciti nella prima
metà del sec. VI (2). Altre città dell'Asia Minore,
come Klazomenai e Kyzikos, ebbero da tempo remoto
l'impresa della protome d'ariete nelle loro monete.
Ma a me non occorre invadere di troppo un campo
alquanto discosto dal nostro, e mi basti averne toccato
i punti salienti, non fosse altro per avvertire che di
preferenza sulle coste asiatiche fu prediletto questo
tipo artistico.

Così accenno solo di passata al bello studio com-
parativo, che, parallelamente al nostro, dovrebbesi
intraprendere sull'arte animalistica arcaica nelle teste
di leone (simai con grondaie, umboni di scudi, mo-
nete, ecc.), di bove (splendido esempio nel rython
tarentino di argento, ora a Trieste, nel quale si è pure
voluto riconoscere un prodotto dell' arte ionica della
seconda metà del V secolo, fatto in Asia, ed a Taranto
su modelli asiatici) (3) ecc., ecc.

Ma ritornando al nostro compito, due ricerche ci
resta ancora da instituire; anzitutto quella della desti-
nazione della testa di ariete, e quindi anche della
figura muliebre assieme ad essa rinvenuta; e poi
quella della scuola, della officina, da cui uscirono i
nostri bronzi, dell'indirizzo artistico a cui essi sono
informati, dell'età approssimativa cui risalgono.

Quanto alla prima indagine parmi non vi debba
essere dubbio di sorta; testa e figura appartenevano
alla decorazione di un grandioso lebete in bronzo,
sorretto da un tripode, del quale, che io mi sappia,
nessun esemplare analogo è a noi pervenuto, attese
le rilevanti dimensioni che esso doveva avere. Si pos-
sono imaginare le figure muliebri alternate colle teste
ovine, tre o quattro per ogni specie; oppure, e certo
meglio, le corai-cariatidi disposte al piede in numero

di tre (xQCrtovg) coll'ufficio tectonico di sostegni al
vaso (vnóxJrj/iia, V7róffT)][ia, VTtoxQrjzriQiSiov, vtioxqktÌ]-
qiov); le teste invece distribuite attorno al labbro, o
sull'aggetto del ventre, col compito di maniglie.

Tale ricostruzione di un pezzo, che dovremo re-
putare insigne, se ci fosse pervenuto nella sua inte-
grità, mi è suggerita e confortata dal famoso cratere
colossale offerto, circa il 632-628, da quei di Samos
al santuario di Hera, e descrittoci da Erodoto, IV, 152 :

TtSQlè dè CCVZOV YQVTIÒÓV X£(fC<XcÙ 01 TCQOXQOGffOl fìffl'

xcà àvéS-rjxav sg tò 'HqccTov vno(Srrtauvn-i; civiìp
TQsìg %alxéov<; xoXoGGoòi sntunrjxi-ag, xoìdi yovvaai
sQi^sKXfit'vovs Andando più avanti potremo anche ri-
cordare, sebbene con più lontana analogia, il « mare
di bronzo » del tempio di Salomone, sorretto da tori
di bronzo (').

È dunque eccezionale l'interesse dei bronzi cama-
rinesi, in quanto sono gli unici, che ci mostrino la
decorazione labiale del lebete, congiunta a quella della
base ossia del sostegno. Quanto alla prima parte noi
eravamo ormai assai bene istruiti dalle teste di grifone
in bronzo di Olimpia (2), imitate poi in terracotta
ed in bronzo, od anche trasformate in protomi leonine
in Etruria (3), cioè in una regione che è stata a lungo
sotto l'influenza dell'arte ionica-orientale (4). Quanto
alla seconda parte nissun pezzo metallico ci ha for-
nito la Grecia, ed è anche qui l'Etruria, che ci soc-
corre con il documento più attendibile per la ricostru-
zione. Premetto però un vaso di Rodi (?) che gioverà
molto alla nostra ricerca (5) ; è un incensiere in forma
di coppa sorretta da quattro cariatidi, simili a léceva

(') Head, op. cit., p. 288; Imhoof-Blumer, tav. Ili, 24.

(2) Svoronos, No[iiopctnxr] xav JeXjay in BCH. 1896,
pp. 19-26, tav. XXV.

(3) Winter, Jahreshefte des archaeol. oester. Institutes
1902, p. 126; Beiblatt, 1903, pp. 61-62; Laigue, Le rython
d'argent du Museo Civico de Trieste (RA. 1902).

(') Prestel, Baugeschichte der jiidischen Heiligthums unii
der Tempel Salomons; Perrot, Histoire de l'art dans Vanti-
quité, voi. IV, pp. 327-230.

(2) Furtwaengler, Olympia. Die Bronzen, tavv. 46-49,
pp. 114-126.

(3) Martha, L'art étrusque, p. 107; Barnabei, Antichità
del territorio folisco, p. 266, tav. VII. 15, V. 1, IV. 10 ecc.
Vedi anche il breve articolo di De Eidder, in Daremberg et
Saglio, Dictionnaire ecc., alla voce : Lebes.

(4) Tocco qui appena le urne ovolari in bronzo di Cuma
e Suessola, decorate nel coperchio di figurine fuse; forme che
si discostano un po' dalle nostre per l'età, ma che rientrano,
come molti dei lebeti nella categoria dei vasi cinerari, e, ciò
che più monta, emananti dalla stessa corrente ionio-calcidese,
attardata sin dentro il sec. V (Von Dubn, Roem. Mitlheil, 1887,
p. 269 segg.).

(5) Pottier, Vases du Louvre, tav. XIII, 396; Catalogue,
p. 168.
 
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