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CROMA

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volta in errore dal luogo di Nipso «si in agro a'ssignato
aliquis modus vacaverit, ne putes subsecivum reman-
sisse, quaere primum anne post aes fixum et machina
sublata, secunda assignatione alicui assignatum sit » ('),
crede « gromam fixam mansisse usque dum divisto
assignatioque peracta crai », mentre il passo vuol dire:
«... informati in prima se dopo la compilazione della
prima pianta topografica (post aes fixum) (!), e dopo
che la grernia ebbe finito di operare (et machina sublata) (3)
il campo, che apparentemente ti sembra non assegnato
(subsedvus), non sia stato a qualcuno attribuito con
una seconda assegnazione ». E dalla lettura dei gro-
matici risulta esplicitamente, e non da un luogo solo,
che « Vistrumento agrimensorio spostatasi continua-
mente ». Il van Goes passa a notare, in quanto alle varie
accezioni della voce groma, che « locus ubi groma ponebatur
a memore et ipse groma appellabatur », ma non avverte
che però « tale accezione assume la par ola soltanto in re-
lazione ni centro inaugurale dell' ager limitatus » (4),
ed erra poi quando, occupandosi della voce tetrans,
attribuisce ad essa, oltre al significato fondamentale,
di punto d'incontro di due rigores ad angolo retto, ed
al significato traslato di termine, o cippo lapideo in-
fisso in quel punto d'incontro, anche l'altro, preteso,
di groma, associandosi in ciò al Eigault (5). Osserva
poi che « la machinula. la quale s'infiggeva nel suolo
(figebatur humi), si chiamava promiscuamente groma
e ferramentum: che aveva quattro bracci (cornicula),
da ognuno dei quali pendeva un filo e un perpendicolo
per tirare le visuali » ; e che doveva avere un quinto
perpendicolo nel mezzo, che cadesse sul cippo lapideo;
ma pone fine alle sue osservazioni combattendo l'opi-
nione del Saumaise che la machinula si componesse
di due pezzi principali, ferramentum e groma, e soste-
nendo che nel riportato luogo di Igino « ferramento
groma superponatur », il super in composizione col verbo
abbia valore temporale e non locativo : è indotto perciò

(») Gr. vet. p. 295, 9-12.

(2) Frequenti sono i lunghi dei gromatici (Gr. Vet., voi. II,
pp. 405-40(5, riassunto del Rudorff ; e ind. verb., alle voci forma,
aes, lypus, mappa, scarifum, etc.) relativi ai rilievi topografici.

(3) Cfr. Rudorff, Grom, Instit, Gr. Vet.., II, p. 338.

(4) Tale centro in un luogo di Igino (Gr. vet., p. 180. 8) si de-
nomina anche tetrans (in castris groma ponitur in tetrantem), ma
con evidente anticipazione, non essendovi tetrans che non sia
determinato dalla groma.

(6) v. sopra, p. 9.

ad affermare « non enim groma ferramento imponitur,
sed, posilo ia.m ferramento sive dioptra geometrica, eius
auxilio postea in terra designatiti- groma ».

Dall'esame di questi risultati chiaro apparisce che,
malgrado la dottrina di tali benemeriti studiosi, per
aversi idee più precise sulla costruzione della groma
e sul suo funzionamento, occorreva altro materiale di
studio, che non venne fuori nemmeno nel secolo seguente.
Nel secolo XIX il lume esteriore interviene, e filologi,
archeologi e fisici in cospicuo numero riprendono ad
occuparsi dell'argomento con brillante successo.

Primo, in ordine di tempo e di merito, è G. B. Ven-
turi ('), l'eminente fisico nostro, al quale devesi la prima
tiaduzione del « Traguardo » (Ileoì Siómoag) di Erone
di Alessandria (2). Alla descrizione della perfettissima
òionxqa, la quale si conserva presso che identica nel
moderno « teodolite » dei nostri geometri, Erone faceva
seguire, in primo luogo, la critica dell'affine strumento,
àGtc'giTxog (= groma), mercè il quale i Romani agri-
mensori erano in grado di eseguire solo alcune fra le
tante operazioni geodetiche consentite dalla sua diot-
tra, ed offriva, in secondo luogo, una elegante dimo-
strazione matematica, atta a provare che, operando
con la groma, non sempre si era sicuri che i piani tirati
per le fila fossero perpendicolari fra loro. Ecco la cri-
tica testuale di Erone, che giova trascrivere (3) :
Ks (p . Xy'

'Enei ovv xivìg %qùivxui iw xaXov^it'i m àGitgi'Gxoi
nqòg òXCyag navitXwg òionxqixàg xqsi'ag, si'Xoyov
i)yov/.ieda xù usql avxàiv Gi'j.i§aivorxa [iinvvGai loie
7i£iQO)/.uvoig xqrjGaGtim ccvzm, oncog /à,Ìj naqà trjv
ayvoiav a/iiaqxdvovxeg XavOàvwGi. Tore (lèv ovv
x?%q£uévovg oij-iai TteiqùGtìat zìfi ó~vGxqi]Gxi'ag avrwv,
ozi al Gnàqxai, tov jà flagri xQé^iavcai, ov xa-
Xà'oog fjQSfxovffir, àXXà %qórov àrafisronGi xirov/xsvat,
xal fidXirsxa oxav Gqpoóqòc dvsfiog Tirsi]. Jiò nsi-
gwvxai nife, naqa;ìoì]6tìv f}ocXó/.isroi tavTjj xfj óvG-
iqtGxia. ì-vXivag Gvqtyyag xoikag noiorvxtg, è/iifiu-
Xsìv tèi §àqiq tig xavxag, S)Gxt (ir) imo tov àvé(iov

(1) G. li. Venturi, Commentarvi sopra la storia e le teorie
dell'ottica, Bologna, 1814.

(2) Per le altre opere pervenuteci di Enme il Meccanico,
opere di matematica e d'ingegneria militare, cfr. Mathemaiici
vetercs, Parigi, 1693.

(3) Dalla edizione di Vincent, in « Notices et, extraits de la
lìibl. imp.» Institut de Franee, voi. XIX, p. II, pp. 298 e 300.
 
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