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Napoli nobilissima — 1.1892

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I2Ó

NAPOLI NOBILISSIMA

stro Francesco. Masuccio II ebbe due scolari : Giacomo de
Santis, e Andrea Ciccione, e quest’ultimo, alla sua volta,
fu maestro dell’Abate Antonio Bamboccio da Piperno. Alla
scuola di un figliuolo di Mastro Simone, e a quella di
Gennaro di Cola, studiò Colantonio del Fiore, come anche
Agnolo Franco, che fu padrino di Pietro e Polito Del Don-
zello, scolari dello Zingaro, ossia di Antonio Solario. Dalla
scuola dello Zingaro, uscirono anche Angiolillo Roccadirame,
Simone Papa il vecchio, Niccola de Vito. Scolaro di Co-
lantonio fu Buono dei Buoni, pittore, padre dell’altro pittore
Silvestro Buono, che fu a sua volta maestro del Tesauro.
Colantonio ebbe un figlio che fu scultore, e si chiamò
Angelo Agnello di Fiore.
Tra questi artisti — che, o dolce spettacolo!, son tutti
parenti tra di loro e ribadiscono i vincoli della parentela
con quelli della scuola (T) — il De Dominici distribuisce
tutte le opere di architettura, scultura e pittura, che si
veggono o si vedevano in Napoli. E di ogni opera ei sa
l’autore, e di ogni autore le opere.
E quando lasciando i tempi più antichi, varcando il se-
colo XV, giungiamo a tempi più recenti, l’opera del De
Dominici, se non contiene più nomi d’artefici prima ignoti,
contiene, in cambio, notizie minutissime sulla vita e le
opere degli artisti già noti : di Andrea da Salerno e di
Giovan da Nola, di Michelangelo Naccherino e di Salva-
tor Rosa, dello Spagnoletto e di Mattia Preti, di Micco
Spadaro e di Nicola Vaccaro. Il De Dominici conosce
tutte le date di nascita e di morte, le relazioni di famiglia,
le armi e gli amori di ciascun artista : e ci racconta la
pietosa storia di Annello di Massimo, e l’eroiche imprese
della Compagnia della morte formata da Salvator Rosa ed
altri artisti, e l’omicidio commesso da Mattia Preti, e tanti
e tanti curiosi e appetitosi aneddoti.
Continua.
Benedetto Croce.

notizie ed osservazioni.
Nelle Chiese.
Continua sempre, come sapete, l’uso d’ingombrarle di ornamenti di
un gusto molto discutibile. Lascio stare le addobbature, che si fanno
in occasione delle feste: di esse e dei danni che hanno prodotto e
seguitano a produrre, mi occuperò un’altra volta. Voglio per ora ac-
cennare ai parati d’altare, alle statue di legno dipinto, alle stampe
colorate, alle oleografie et similia: cose che fanno rassomigliare qual-
che nostra chiesa alla parrocchia di Panicocoli.

(i) Per questo rispetto, l’opera del De Dominici potrebbe essere
utilmente consultata dal Prof. Lombroso per le sue ricerche eredi-
tarietà del genio. Non sarà un fonte meno impuro degli altri dai quali
l’egregio uomo attinge, ordinariamente, le sue notizie!

Una confraternita o un rettore non crede di aver provveduto bene
al decoro della chiesa, che ha in custodia, se non ne orna l’altare
con i soliti immensi candelieri dorati e colle giarre panciute, sulle
quali si elevano le grosse frasche di cannottiglia d’argento. Costano
un patrimonio, e tolgono gran parte dell’effetto al quadro dietrostante.
Spesso al parato si aggiunge un’oleografia racchiusa in una cornice
vistosa, o uno scarabattolo di legno verniciato contenente una statua
lucida lucida, vestita di seta e carica di gioielli: e allora il quadro
scompare addirittura.
E questi ornamenti si spandono anche sulle pareti, interrompendo
le linee dell’architettura, covrendo bassorilievi e sepolcri di importanza
storica o artistica.
Sarò costretto, pur troppo, a denunciare spesso simili sconci: un
giro per le nostre chiese darebbe materia ad un volume; e comincio
ora da una delle più importanti.
*
# *
S. Maria delle Grazie a Caponapoli.
Chi entra in questo tempio, vero museo della più pura arte del ri-
nascimento, mentre ne intravede le bellezze soffocate, come al solito,
da iniqui restauri, cerca un cantuccio dove posare l’occhio stuzzicato
e non appagato e si ricorda di una certa cappella innanzi alla quale
si fermò altre volte quasi estasiato. Era la prima a sinistra, tutta di
marmo bianco, coll’altare semplice ed austero, e su di esso un’edicola
e in questa un bassorilievo: a destra sorgeva un monumento sepol-
crale con una figura giacente di uomo armato. Il colto lettore ha già
inteso, che parlo della cappella Giustiniani, della famosa scultura rap-
presentante la Deposizione ed attribuita a Giovan da Nola, e della
tomba eretta a tempo di Carlo V al genovese Giovan Battista Giusti-
niani. Tutte queste cose stanno ancora al posto loro: non sono nè
rotte nè guaste; ma chi può vederle, coverte come sono da una mol-
titudine di anime purganti di cartapesta colorata? Ce ne ha sull’altare,
sulla tomba, per ogni dove; l’opera insigne del Merliano ne resta este-
ticamente se non materialmente distrutta.
Anche la mensa dell’altare, dai candidi marmi foggiati in linee pu-
rissime, è scomparsa sotto uno straccio di tela, dove « certe figure
« lunghe, serpeggianti, che finiscono in punta, e che nell’intenzione
« dCCartista e agli occhi degli abitanti del vicinato voglion dire fiam-
« me; e alternate con le fiamme certe altre figure da non potersi
« descrivere, che voglion dire anime del Purgatorio! » Appunto come
sul tabernacolo posto al crocicchio dove si fermò Don Abbondio!
*
* *
A PROPOSITO DELLE EPIGRAFI PEL CARACCIOLO.
L’egregio sig. Michelangelo d’Ayala, con una sua lettera nel Pun-
golo del 17-18 agosto, fa sapere al pubblico che gli autori delle epi-
grafi criticate nel numero scorso da Don Fastidio non sono, addi-
rittura, scrittorucoli: della prima, è autore Mariano d’Ayala, della terza
Scipione Volpicella. La seconda fu poi composta dal Dott. Brancaccio
di Torre del Greco.
E sta bene: perchè Don Fastidio professa molto e vero rispetto per
uomini di tanto valore e di tante benemerenze, quali il D’Ayala e il
Volpicella. Ma — da parte gli autori — obiettivamente considerando,
non è per lo meno comico che i tre non si sieno messi d’accordo sul
genere di morte, fatto patire al Caracciolo? Questo soltanto s’era vo-
luto rilevare.
Svelato come autore della terza epigrafe il Volpicella, purgatissimo
scrittore, cade il sospetto che coìVimpeso l’autore abbia italianizzato il
napoletano ’mpiso, essendo invece provata l’altra ipotesi che ha voluto
usare una parola del più puro trecento.
Ma, per carità, coi trecentismi!
*
* *
Ancora gli epigrafisti.
Sempre allo stesso proposito, ricevo e pubblico volentieri :
Caro Don Fastidio,
Ho letto le tue curiose osservazioni sulle tre epigrafi pel Caracciolo.
Ma quelle epigrafi sono macchiate di peccatucci veniali, rispetto alle
 
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