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Napoli nobilissima — 1.1892

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

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altre che si leggono per le vie di Napoli, Non ricordi tu, p. e., l’iscri-
zione in Piazza Trinità Maggiore nella quale la Provincia di Napoli
con dolore cattolico e con devozione civile rammemora Cesare Locateli!,
spirito impaziente dei Birri e dei Farisei? E l’altra a Monteoliveto nella
quale Napoli consacra i suoi vergini e pertinaci e santi odii contro la im-
mane esarchia della Giunta di Stato? E quella a S. Maria la Nuova,
dove campeggia l’esclamazione o Lino o Cleto o Anacleto, come se Cleto
ed Anacleto fossero due persone diverse, laddove tutti sanno che que-
sti nomi designano entrambi il secondo successore del Maggior Piero,
detto da alcuni autori Cleto, da altri Anacleto? E quella. Ma non
posso raccogliere in questa lettera il Tesoro Epigrafico moderno di Na-
poli. Volevo semplicemente dirti che i tuoi lamenti per le iscrizioni
sul Caracciolo possono estendersi, di molto accresciuti, alle tante altre
iscrizioni che sono state messe in Napoli in questi ultimi anni.
Un assiduo.
*
* *
Nomi delle nuove vie.
E ancora:
Sulla tabella viaria all’angolo della nuova Piazza Depretis hanno
scritto: Via Corso Re d’Italia.
Qualcuno ha fatto notare che una Via — Corso è uno sproposito.
Sento dire che si pensa di correggere così: Via — Stradai
Perchè no? A una via del Pendino non hanno dato il nome di Via
Rua Toscana, quando tutti sanno che Rua (frane, rue') significa via?
Accanto a Via Rua Toscana hanno messo una Via Federico d’Ara-
gona. Come c’entra? La Relazione della Commissione consultiva per
queste denominazioni propose un tal nome, ma per una delle vie della
Duchesca, l’antico palazzo e giardino del Duca di Calabria.
Gli spropositi sono tanti e così grossolani che bisogna proprio sup-
porre una malattia speciale che colpisca chiunque scriva epigrafi o
qualunque altra cosa da incidersi sul marmo e da esporsi in pubblico.
Quos. dementai deus!
*
* *
I Manoscritti della Biblioteca Nazionale.
Tra le tante note melanconiche, che formano ordinariamente il
contenuto di questa rubrica, ne segno volentieri una lieta.
Una nuova disposizione si sta dando nella nostra Biblioteca Na-
zionale alla ricca collezione dei manoscritti, che verranno così in mi-
glior luce, e saranno meglio conservati. Già la sala che li contiene
ha in gran parte mutato aspetto. Ai vecchi scaffali, tarlati e sganghe-
rati, si vanno man mano sostituendo i nuovi di forma semplice e de-
corosa, quale si addice alla severità dell’ambiente. Questi hanno sul
davanti una vetrina a piano inclinato, ove saranno esposti, ordinati
per lingue e per secoli, i più preziosi manoscritti, le mappe, i disegni,
le miniature, gli autografi più insigni.
Già un saggio ne offrono gli scaffali messi a posto, ove chiusi da
cristalli fanno di sè bella mostra i più antichi monumenti della scrit-
tura latina, quali sono taluni frammenti in un codice palimsesto scritti
a lettere capitali, che possono rimontare al III secolo; un papiro del
tempo di Odoacre; un codice a caratteri onciali del VII secolo; due
in maiuscolo del IX. Seguono Bibbie e libri liturgici del IX e del X
secolo, scritti in caratteri latini e longobardi, e adorni di fregi colo-
rati. Dopo questi son riuniti insieme parecchi manoscritti latini dell’XI,
XII e XIII secolo: il più importante dei quali è un Martorologio Cas-
sinese del secolo XI con disegni a penna. La serie dei codici latini
sarà continuata pei secoli successivi fino a raggiungere l’età della Flora
e degli altri famosi libri di ore e ufficii, già noti ai visitatori della Bi-
blioteca. È anche già completa l’esposizione dei codici greci, degli orien-
tali e degli italiani. Fra i primi si ammirano due Evangeliarii dell’XI
secolo: uno con figure dipinte, e l’altro scritto in parte a lettere d’oro
e vagamente adorno. Degli orientali ognuno meriterebbe un cenno a
parte: ve ne ha in ebraico, in copto, in indiano, in cinese, in arabo,
in persiano, in turco. I più belli sono i persiani. Molti di tali mano-
scritti conservano le loro legature originali. Fra gli italiani infine
spiccano tre codici della Divina Commedia, uno del trecento con dise-
gni marginali a penna, e altri due del quattrocento ornati con figure
e fregi miniati.

*
* *
Un precursore.
Tra i manoscritti della biblioteca della nostra Società storica, ho
trovato una relazione all’Accademia Ercolanese, scritta, come si ar-
guisce dal carattere, da Giuseppe Castaldi. Porta la data del 19 feb-
braio 1818 e riguarda la conservazione dei « monumenti di belle arti
« e di Storia patria tanto antichi che moderni, che sono in questa
« città e nei suoi contorni, i quali mentre per la loro bellezza ed an-
« tichità attirano fra noi con vantaggio nostro dalle più lontane re-
« gioni uomini dottissimi, se per altro tempo resteranno abbandonati
« come per lo addietro, essi si distruggeranno per nostra somma tra-
ci scuratezza, che con ragione potrà anche credersi figlia della nostra
« ignoranza ».
Come vedete, nell’opera patriottica e spesso —pur troppo! — in-
fruttuosa, che i componenti la commissione dei monumenti compiono
da anni con una intelligenza e una pazienza mirabili, essi hanno
avuto un precursore. Può dirsi che questa relazione del Castaldi apra
una serie interminabile di verbali, di relazioni, di lettere oratorie che
si vanno ammucchiando nell’Archivio della Commissione, ordinati con
tanta cura dall’ottimo segretario Colonna.
Il Castaldi fu indotto a scriverla dal Ministro degli affari interni, il
quale aveva saputo da un tale Pucci, eletto del quartiere Mercato,
dello stato deplorevole in cui si trovavano la statua cosidetta della
Madre di Corradino e le lapidi del ponte della Maddalena.
*
Le proposte del Castaldi.
Dopo aver deplorato che si lascino senza custodia i ruderi di Pesto,
e che i Capuani abbiano quasi diroccato il loro anfiteatro per costruire
delle chiese e lastricare delle strade, egli fa un breve elenco dei mo-
numenti Napoletani antichi e moderni che sono esposti ad un sicuro
deperimento. Propone che gli antichi sieno portati a completare le col-
lezioni già esistenti nel Museo Borbonico, e che per i moderni s’inizii
una nuova collezione, dove gli oggetti si dispongano cronologicamente
per osservarsi « lo stato progressivo delle belle arti in questo regno,
« e non fare andare a male tante memorie di nostra storia ».
Pei monumenti antichi cita la lapide greca di Tettia Cassia, il fram-
mento bilingue situato all’Annunziata, l’iscrizione greca situata vicino
alla scala del Banco dei Poveri, e quella latina « che vedesi nel cor-
« file di S. Antonio Abbate e che comincia L. Munctio Concessiano. »
Passa poi agli oggetti dei mezzi tempi e moderni e mette in primo
luogo « il leone di marmo, che tiene al di sotto fra gli artigli le mi-
« sure di capienza incavate anche in marmo, e che furono adoperate
« negli scorsi secoli da Napoletani, sistente nel cortile di Castel Ca-
«puano, fatte d’ordine di Ferdinando I d’Aragona con questa iscri-
« zione :
FERDINANDUS REX
IN UTILITATEM REIPUBLICAE
MENSURAS PER MAGISTROS RATIONALES
FIERI MANDAVIT.
Accenna poi ai busti che erano nel chiostro di S. Giovanni a Car-
bonara, e specialmente a quello di Girolamo Seripando, e fa infine un
lungo elenco di chiostri che per la soppressione dei Conventi erano
rimasti abbandonati.
Il collega Di Giacomo vi ha dato un esempio, parlandovi del Car-
mine, dello stato in cui alcuni si sono ridotti.
*
Una lettera inedita di Alfonso d’Aragona.
Uno dei nostri colleghi, rivedendo certe sue vecchie carte, ha tro-
vato la copia d’una lettera d’Alfonso d’Aragona, estratta dall’Archivio
della Corona d’Aragona, la quale egli ebbe, alcuni anni sono, in Bar-
cellona dall’illustre direttore di quell’Archivio, D. Marcello Bofarull.
 
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