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Napoli nobilissima — 1.1892

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

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Certo, il rifacimento seicentistico è evidente nella nicchia
e negli ornati laterali dell’iscrizione, che son formati da
due grosse volute barocche; come è anche evidente la dif-
ferenza d’arte colla scultura della testa di Medusa. Ma la
statua, che non si trova menzionata nè dal Summonte nè
dal Celano, fu anche posta da Don Pietro d’Aragona? E
rappresenterebbe, allora, non un re aragonese, ma un re
spagnuolo ?
Il silenzio del Summonte perde ogni importanza, appunto
perchè è seguito dal silenzio del Celano. Se la statua fosse
stata messa da Don Pietro d’Aragona, il Celano, che scri-
veva intorno al 1690, avrebbe dovuto, a ogni modo, par-
larne. Ne tacque, perchè gli parve che non valesse la pena
di discorrerne. Il Summonte potè, dunque, tacerne per la
stessa ragione; e per questa via non c’è da conchiuder
nulla.
Del resto, il Parrino, con temporaneo di D. Pietro d’A¬
ragona, parlando della statua come fa, se fosse stata messa
da quel viceré, e se rappresentasse un re spagnuolo, lo
avrebbe detto di certo. Invece, dice, senz’altro, che essa
rappresenta Ferrante d’Aragona. E perciò il dubbio che
la statua non risalga al secolo XV, non ha ragion d’es-
sere.
Resta l’altro dubbio: se essa rappresenti Ferrante d’A¬
ragona, come dice il Parrino, o il figliuol di lui, Alfonso II,
come si dice comunemente. La credenza comune mi par
derivata dalla lettura frettolosa dell’iscrizione : essendosi la
gente fermata, come si suol dire, alla prima bottega, cioè
alle parole : Alfonsus, ecc., senza badare al sèguito : jussu
patris ecc. Ed è certo più naturale che il Duca di Cala-
bria, nel rifarsi la fontana per ordine del padre, vi facesse
mettere la statua di questo.
Noi abbiamo ritratti tanto di Ferrante quanto di Alfonso :
ma il confronto di essi con la statua non può aiutarci in
niente, perchè, già, è dubbio se quel fantoccio abbia mai
somigliato ad un essere umano qualunque; e, in ogni caso,
nello stato presente, somiglia solo a se stesso!
Secondo il Chiarini, il volgo Napoletano, guardando a
questa statua, chiama Re di mezzocannone ogni persona che
sia « di statura men che mezzana, panciuta, rabbuffata, e
«si dia aria di gravità» C). Certo, u Rre’e miezocannone
ricorre in molti paragoni popolari; e lo strano nome, col
rimbombante Cannone, colpisce la fantasia. Non è stato
male ricordare che il cannone, in questo caso, non è
quello di Krupp, ma un inoffensivo cannello di fontana!

Luigi Conforti jun.

(1) Celano, ed. cit., IV, 101.

LA COLONNA DELLA VICARIA

hi per quel lungo budello, che si addimanda strada
Tribunali, — che nel suo lungo percorso di 710 metri (0,
da S. Pietro a Maiella all’angolo del largo del palazzo di
Giustizia dà sbocco ed accesso ai più popolosi quartieri
della città, — perveniva al largo, propriamente detto, della
Vicaria, vedeva a man destra del largo in linea retta della
porta d’ingresso al palazzo una bianca colonna di marmo,
sopra base quadrata di pietra.
Essa, secondo le vecchie leggi, era l’ara espiatoria del
debitore, quando faceva, di tutti i suoi beni, cessione al
creditore.
Questo miserabile auxilium gli veniva accordato a patto
di formalità umilianti.
Egli doveva dichiarare di essere caduto in miseria; do-
veva giurare di non esser solvente; assoggettarsi ad una
esposizione oscena, a mostrare cioè nude le carni ai suoi
creditori, nell’atto di pronunciare le parole : cedo bonis, chi
ha d’avere, si venga a pagare (1 2 3).
Quando don Pietro di Toledo, dal vicolo degli Orimini,
presso il campanile di S. Giorgio Maggiore, trasportò la
gran Corte della Vicaria, con gli altri tribunale, che tro-
vavansi sparsi in vari luoghi della città, in Castel Capua-
no, essendo reggente della gran Corte don Ferdinando
Figueroa, vi fe’ innalzar la colonna; ma l’ignominiosa pena
era già abolita. Ed egli, pochi anni appresso, con pram-
matica datata da Pozzuoli, 17 aprile 1546, ordinava che
il fallito che si appellava al miserabile beneficio dovesse
salire super lapidem per palmos tres supra terram erectum
(sulla base della colonna) e dopo che il precone con chiara
ed alta voce, avesse preferite le formole sacramentali, e
gridato il nome del fallito, egli, il fallito, doveva restare
per un’ora a capo scoperto, abbracciato alla colonna (3).

(1) Elenco delle strade, larghi ecc. della città di Napoli, compilato per
cura del Consiglio direttivo della Pianta di Napoli. Napoli, 1869.
(2) Cod., Lib. VII, Tit. LXXI, Qui bonis cedere possunt.
(3) Cf. Surgente, De Neap. illustr., e Bartolommeo Capasso, La
Vicaria vecchia, Napoli, 1889. — Sulla base della colonna vi era scol-
pita la seguente epigrafe:
D. PETRUS DE TOLEDO MARCHIO VILLAE FRANCHAE
Caesareae et catholicae MAIESTATIS
IN PRAESENTI REGNO VICEREX
LOCUMTENENS ET CAPITANEUS GENERALIS
PRINCEPS JUSTISSIMUS
EXCELLENTI MILITE V. I. D. FERDINANDO FIGUEROA
PATRICIO HISPANO
REGENTE MAGNAM CURIAM VICARIAE CURANTE
AD ILLORUM MOREM ABOLENDUM QUI CLAM NEMINE SPECTANTE
BONIS CEDEBANT
HUNC LOCUM ERIGENDUM MANDAVIT
UT QUI EO POSTHAC BENEFICIO UTI VOLENT
SAEPIUS HIC ITERATO SPECTACULO
ID COMMODUM MAGNO CUM OPPROBRIO COMPENSENT
ANNO DOMINI MDLIII.
 
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