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Napoli nobilissima — 1.1892

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

35

cano, Velleio, Scimno, non parlano addirittura che di una
Napoli. Altri, dicendo che Napoli, città dei Calcidesi, dal
tumulo della Sirena era chiamata Partenope, come Plinio,
o che una delle Sirene, Partenope, diede il nome suo me-
morabile alle mure Acheloie, come Silio, non lasciano in-
travedere se ebbero il pensiero d’un vero nome officiale,
Partenope. Altri, come Strabene e Lutazio, non hanno al-
tra mira evidentemente se non spiegarci il significato storico
di Nuova Città (Neapolis); ed è più che verisimile che, a
corto di altre notizie, resistessero alla tentazione di dar un
nome all’antica, che forse non trovavano in modo solenne
chiamata diversamente, e la denominassero con quello, che
essi avevan come sotto mano, Partenope, risolvendo così il
dubbio che i due nomi, messi uno di fronte all’altro, crea-
vano ad essi non meno che a noi. Solino, anzi, spinse il
suo zelo fino ad immaginar che il nome di Napoli non
fosse imposto a Partenope se non da Augusto, che le mo-
nete con quel nome precedono almeno di cinque secoli,
scovrendo così meglio l’intenzione degli altri due scrittori :
contro cui, del resto, oltre che il loro stesso linguaggio sta il
silenzio di tutti gli altri — ed è gravissimo che anche Li-
vio non faccia parola di questa Partenope, dove si occupa
delle origini di Napoli —, e le due domande : dove do-
vrebbe collocarsi questa Partenope? come mai non ci re-
sta una sola moneta col suo nome? Alla prima, non v’è
dubbio, essi rispondono indicando come sede di Partenope
la Napoli dei loro tempi, e, almeno in questo, certamente
erravano : sul suolo di quella Napoli — lo abbiamo visto
— non vi fu, prima, altra città. La seconda, per noi come
per tutti i topografi di Napoli, rappresenta una difficoltà
insormontabile, giacché il dir che il suolo di Napoli non
abbia ancora svelato a noi, ma nasconda gelosamente nel
suo seno le monete dell’antica città, quando è copiosissimo
il numero delle monete, e dei tempi più antichi, col nome
di Napoli, ch’esso non è stato geloso di custodire, mi pare
più che poco serio, assurdo oramai. A una Partenope, dun-
que, non a un sepolcro, che pur potesse qui esistere, in
cui la Dea-uccello, per questa sua seconda qualità, natural-
mente non ebbe l’obbligo di risiedere, anche se a malin-
cuore, bisogna rinunziare.
Continua.
Vittorio Spinazzola.

LA VILLA DI GHIAIA
(Continuazione, v. num. prec.)
IL
L’incarico dell’opera del Reai Passeggio fu dato a Carlo
Vanvitelli, figliuolo del celebre Luigi, che vi rispose con
una relazione in data del 13 giugno 1778, approvata pochi
giorni dopo.

E subito fu scritto al segretario d’azienda Goyzueta, per-
chè « da oggi in avanti tutte le sfabbricature della città che
« si scaricano al Ponte della Maddalena e alla Vittoria, a
« bell’agio dei trainanti si facciano scaricare dentro il re-
« cinto di questo nuovo passeggio in quella parte che dal
« detto signor Ingegnere verrà prescritta ». Ed egualmente,
alla Segreteria di guerra, « per la somministrazione di quei
« disterrati e forzati coi loro agozzini », che sarebbero
stati necessarii (T).
Si cominciò collo sgombrare il luogo dagl’impedimenti.
Fu comprata la palude di Satriano (1 2 3 4 5); la baracca della do-
gana fu trasportata altrove (3); furono tolti i dieci lavatoi
pubblici della spiaggia; e furono « posti altrettanti lavatoi
« nel muro del giardino vicino la porta di un basso di
«una casetta» di un certo Pollastri (4); gli ordegni per
le sarte dei bastimenti furono trasportati di là da San Leo-
nardo (5).
Ma le donne del borgo di Ghiaia, quando si fu al to-
gliere i lavatoi, tumultuarono : il capodieci decano, Mariano
Ceriello, di professione calzolaio, prestò mano forte all’in-
gegnere, adoperandosi ad « appattumare le donne, che con
« le loro pitulanze trattenevano il principio del nuovo
« passeggio », e fu « in procinto » — diceva poi lui —
« di perdere quasi tre volte la vita per le mani di dette
« donne » (6 7). Una morte da Orfeo, ch’egli proprio non
desiderava !
Un altro tumulto minacciavano i marinai per l’imma-
gine miracolosa, venerata nella cappelluccia ch’era sulla
spiaggia, e doveva essere abbattuta; i quali « non hanno
« mancato di dire pubblicamente, che, qualora si fosse de-
« molita la cappella suddetta, senza levar prima la sacra
« immagine, col dovuto rispetto, e processualmente non
« si fosse situata in altra cappella, che essi ci si sarebbero
«opposti». Il Vanvitelli propose, e fu approvato, che
quella cappella si situasse in un basso del R. Orfanotrofio
di S. Giuseppe (7).
Ai principi! del 1780, fu espropriato il Casino d’invitti
a Ghiaia, e demolito: pel materiale, si ebbe l’offerta di com-
pra di 2100 ducati (8).
Il noto Padre Rocco aveva cominciato a far edificare
un’altra cappella, più in là di S. Leonardo, servendosi dei
disterrati con assistenza di truppa. All’avviso datone dal
Tribunale di fortificazione, fu ordinato che subito venisse

(1) Al Vanvitelli, e al Goyzueta, ecc., 16 giugno 1778. — Teatri, f. 22.
(2) Vanvitelli, 25 luglio; Tribunale della fortificazione, 11 novembre 78,
ivi, f. 22.
(3) A Goyzueta, 27 giugno 1778 — ivi, f. 22.
(4) C. Vanvitelli, 2 settembre 1779, ivi, f. 23.
(5) C. Vanvitelli, 3 novembre 1779, f. 23.
(6) Vedi le sue molte suppliche per avere un compenso, ivi, f. 22, 23, 24.
(7) Vanvitelli, 1 agosto, 20 agosto, 1780, ivi, f. 23.
(8) Vanvitelli, 25 marzo 1780, ed altre carte, ivi, f. 23.
 
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