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Napoli nobilissima — 1.1892

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

dato nella città di Egra, dispose che tutto il dippiù che
sopravanzava di quei possessi, tolte le occupazioni a farsi,
restasse come feudo nel dominio di D. Pietro di Toledo,
al quale, con altra carta del 7 settembre 1551, quel mo-
narca concedeva ancora di poter censire ed alienare le do-
nate possessioni, derogando, così, a tutte le leggi e con-
suetudini, che prescrivevano il contrario.
D. Pietro morì nel 23 febbraio 1553, ed il suo primo-
genito D. Federico, per testamento del dì 8 gennaio 1552,
ereditò la Duchesca. E costui, avvalendosi delle ottenute
facoltà, dava in varie volte in enfiteusi perpetua alcune
parti di quel possesso. Ma costruiti abusivamente edificii
e senza veruna concessione, D. Federico, nel 16 febbraio
1566, chiedeva nella Corte della Vicaria, sia la devoluzione
di essi, come pure il pagamento di annualità non soddi-
sfatte. In seguito, per cessione fattane nel 1569, quel feudo
pervenne al fratello D. Garzia, suo legittimo successore,
che ne prese possesso nel 4 giugno di quell’anno, per
mezzo del Reverendo Matteo Colli Abbate di S. Maria
della Vittoria, che poco innanzi, con istrumento redatto
in Pisa nel 23 aprile, egli aveva costituito suo procura-
tore. E il documento che tuttora rimane fra i processi della
Sommaria, mentre ci porge notizie non dubbie dei confini
che circoscrivevano l’indicato possedimento, che sito presso
Porta Capuana protraevasi sino ai giardini di S. Pietro ad
Aram e di S. Crispino, della topografia del luogo, e del
cresciuto numero dei suoi edificii, ci ricorda del pari che
l’antico palazzo della Duchesca trovavasi in quel tempo
tuttora esistente. Perchè risulta, fra l’altro, che nella Du-
chesca grande vi era un fondaco confinante con le case di
Marco Antonio Cuccurullo; una Cappella sotto il titolo
di S. Clemente, edificata da un tal Clemente Gabba, ed
altre case appartenenti a Giovan Domenico de Auria, a
Tiberio Delega, al notaio Antonio Capurio, e finalmente
quella di Francescantonio Malliano, che era posta presso
la Chiesa di S. Crispino. Altre case, poi, trovavansi nella
Duchesca piccola, ove era pure un fondaco di proprietà di
Scipione de Avigliano, ed un forno che apparteneva a Be-
nedetto de Bonis, che stava proprio al di sotto del palazzo
della Duchesca.
A D. Garzia di Toledo successe in quel dominio Don
Pietro iuniore suo figlio, e da costui passò al figliuolo, un
secondo D. Garzia; e quindi alla sua morte pervenne a
D. Federico Ossorio di Toledo suo nipote, dal quale al
figlio D. Giuseppe Federico. Da costui nacque D. Fede-
rico Vincenzo Alvarez di Toledo, che possessore anch’egli
di quel feudo, lasciollo poscia al suo figliuolo D. Antonio,
Marchese di Villafranca e Duca di Ferrandina. Finché que-
sti alla sua volta con istrumento del 23 luglio 1760 ne
vendette il possesso consistente in case, censi, rendite, strade
e piani, al Principe di S. Nicandro D. Domenico Cattaneo

per ducati 107593 e gr. 80; prezzo che venne elevato sulla
rendita netta del fondo, in ducati 4517.44 13/io, a norma
della perizia eseguita dai regi Tavolarii Vetromile e Vec-
chione nel 30 giugno dell’anno suddetto. Nella indicata pe-
rizia, tanto utile per la topografia del luogo, si notano le
strade ed i vichi che attraversano il possesso, del quale
s’indicano i confini; si enumerano i monisteri, le chiese, e
gli edificii esistenti minutamente descritti, e si segna pure
che le case censuate rendevano annui ducati 2663.43,
e quelle di dominio pieno del possessore davano una ren-
dita annua di ducati 1854.
Così, caduto per vetustà, o abbattuto per servirsi dello
spazio ad altro uso, disparve in tutto il monumento ara-
gonese; e se, come ricordo del palazzo e dei giardini,
non ha guari fu proposto che alle nuove vie che fram-
mezzano ora la Duchesca, fosse dato il nome di Duca di
Calabria, d’Ippolita Sforza e di Federigo d’Aragona (x), per
conto mio fo voti, che anche un’apposita lapide rammenti
che ivi surse la prediletta dimora di Alfonso d’Aragona.

Antonio Colombo fu Gaetano.

IL SEPOLCRO D’ANTONIA CAUDINO
IN SANTA CHIARA

D alle nozze alla morte. La festa d’imeneo, inter-
rotta dalla tragica fine d’uno degli sposi, è nell’arte, nella
storia e nella leggenda vivamente efficace pel contrasto
morale. Come un carro funebre che traversa a sera una
strada dove imperversa il carnevale pazzo e rumoroso,
come l’urlo d’un ferito fra le danze scompigliate dal ter-
rore improvviso; la morte d’una sposa, che sui capelli
ha i fiori d’arancio, è argomento eternamente pietoso. Chi
non ricorda il soave lamento d’Ifianea nelle Grazie?
Sventurata! piangetela donzelle;
Vergine sventurata! Arcade ell’era,
E di Tessalo amante; e l’amò pria
Che sì bello e gentile il conoscesse:
E spesso al canto ei l’invitava, e spesso
Su’ labbri il canto le rompea co’ baci.
Già vicina alle sue nozze, beata
Le ghirlande apprestava; e le fu spento.
Senza lacrime a terra muta cadde;
Ma le Grazie l’accolsero morente
Nelle pietose braccia, ed una nuova
Aura di vita le spirar. La mesta

(1) Sulla Denominazione delle vie di Napoli. Risultanti dal Piano di
Risanamento. Relazione alla Giunta Comunale. Napoli, Giannini, 1890.
 
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