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Napoli nobilissima: rivista d' arte e di topografia napoletana — 1.1892

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NAPOLI NOBILISSIMA

Non sciolse il cinto; e, finché lei sotterra
Non chiamò Cloto a riveder l’amante,
All’altar delle Dee consolatrici
Sacrò gl’inni e il dolor, vergine ancella.
Versi divini, dolcissimi, pieni di passione, sarei per dire
insuperabili! — Ma il tema è così drammatico che anche
Senofonte Efesio, il romanziere greco della decadenza,
seppe animarlo e porre sulle labbra d’Anzia parole evi-
denti di rammarico : « Io prima fui menata ad Abrocome
« sposo, e ci accompagnò il fuoco d’amore, e si cantava
« Imeneo sopra nozze felici. Ora, che farai, Anzia ? Ol-
« traggerai Abrocome lo sposo, l’amato, quello ch’è morto
« per te ? Non così io sono poco virile, nè fra le miserie
« codarda. Già è risoluto; bevo il veleno. Abrocome es-
« ser deve mio marito: lui, ancor morto, io voglio».
Anzia ed Ifianea sono gentili creature nate e vagheg-
giate nelle menti dei poeti. E poi, esse piansero la morte
del fidanzato. — Ma quanto maggior dolore si diffonde
sulla figura giovanile di Antonietta Caudino! Ella visse ve-
ramente, ella morì, il 30 dicembre 1530, giorno delle sue
nozze, a quattordici anni.
Era nata da Giovannello Caudino e da Eliodora Bossa.
Figlia unica, dell’inutil vita unico fiore, i genitori l’adora-
vano e l’aveano concessa sposa a Girolamo Granata « gio-
vine ornatissimo ».
Berardino Rota compiangeva il povero padre in un epi-
gramma sensibile che però malamente finisce in un giuo-
chetto di parole : « Preparasti tu forse le tede a tua figlia,
«o Caudino? L’aspettato Imeneo offre a te simili gioie?
« Mentre tutti agognano d’andare alle liete nozze, (ho,
« dolore!) ecco vengono mesti alle esequie! Che nello
« stesso giorno in che la sposa dovea volgere al talamo
« maritale, condotta è invece all’odiato tumulo. E tu vivi,
« o Caudino, ora che tua figlia è sepolta, nè il dolore è
« potente a rompere gli stami della vita. Va, padre infe-
« lice, nasconditi vivo nel sepolcro. Non ti diano nome
« i gaudi, ma le lagrime! »
Hasne tuae taedas natae, Caudine, parasti?
Haecne tibi optatus gaudia praeebet Hymen?
Ut dum quisque hilares contendit adire Hymeneos,
Proh dolor, ecce venit maestus ad exequias.
Et qua forte die thalamo spectanda mariti
Nupta erat, invisum ducitur ad tumulum.
Et tu vivis adhuc nata, Caudine, sepulta,
Nec potis est vitae rumpere fila dolor.
I, pater infelix, vivum te conde sepulcro;
Nec tibi dent nomen gaudia, sed lacrymae.
La povera Antonietta fu tumulata nella chiesa di Santa
Chiara in Napoli, presso una porta secondaria, a sinistra.
Il monumento, con la statua di lei giacente, fu commesso
dai genitori infelicissimi a Giovanni da Nola, ma un esame

diretto dell’opera ci ha data la convinzione che all’insi-
gne scultore si debba soltanto la figura d’Antonia e che
tutto il resto del lavoro sia stato condotta dagli scolari su
disegno del maestro.


(Da fotografia della ditta Sommer).

La statua della fanciulla è addirittura deliziosa : sembra
una scoltura greca, oppure l’opera d’un imitatore dell’arte
greca che sa trarre ogni partito nell’antica perfezione, fon-
dendolo ad un gusto tutto personale e moderno. Ricorda
qualche statua muliebre del Canova, ma del Canova più
leggiadro e più perfetto. Antonia è distesa sull’arca, co-
perta d’un velo leggerissimo, sotto le cui pieghe lunghe
e sottili si disegna tutta la delicata formosità del corpo :
le mammelle giovanilmente erette, le gambe lievemente
inclinate, i piedi sottili e un po’ lunghi, i piedi veramente
belli, non i piedi goffi vantati dai poeti « rotondetti e corti ».
Col braccio destro nudo e con la mano distesa regge il
capo inghirlandato di alloro. Il volto, con gli occhi chiusi,
è di una grande dolcezza e di una bellezza ingenua e buona,
il braccio sinistro discende lungo il corpo sino a ripiegare
la mano sopra un libro che le poggia alla coscia destra.
In tutte le sculture del monumento si rileva come una
allusione alla coltura della fanciulla morta. Non fiori d’a¬
rancio allusivi alle nozze, non rami di cipresso allusivi alla
morte; ma l’alloro al capo e un libro alla mano. Nel fre-
gio dell’arca si scorgono scolpite diverse suppellettili o ar-
nesi d’uso e d’eleganza femminile, panieri, fasce ricamate,
vasi, cofanetti, pettini, ecc., ma abbondano i libri. Dei due
geni di rilievo (che sono negli specchi laterali della base
 
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