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Napoli nobilissima — 1.1892

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Ó2

NAPOLI NOBILISSIMA

« randone la nettezza e l’ornamento, e secondo la sua
« possa facea celebrarvi il sagrifizio dell’altare. Ivi passava
« i giorni e le notti, tenendo lontano da sè ogni pensiero
« di cure mondane e i tumulti del secolo, intento assi-
« duamente alla preghiera, cercando diligenza nel divino
« servizio, evitando la troppa frequenza del conversare
« con altri (x). » E quivi perì vittima di un assassinio, che
la pia leggenda spiega coll’istigazione diabolica. La regina
Maria, moglie di Carlo II d’Angiò, venerava grandemente
l’anacoreta e lo soccorreva di vivande per mezzo di un
suo paggio, chiamato Pierottino, che talora passava la notte
nell’eramo.
«Era la notte dell’n maggio dell’anno 1310 — tra-
« scrivo ancora un brano dell’ingenua narrazione -— ed
« eccoti Pierottino sen viene all’eremo solo ed armato,
« ed ascoltando che Nicolò vegliava assorto nella preghiera,
« domanda di essere introdotto nella chiesa dandosi a co-
« noscere dalla voce. Quegli alla nota voce affettuosamente
« e volentieri apre la porta; ma poiché al chiaror della
« lampada del tempio scorge in armi colui che solca ve-
« nire pacificamente, con amichevole sorriso l’interroga,
« perchè così fosse venuto armato, e l’altro tosto : Per
«ucciderti, risponde. Tremò il buon anacoreta: a chi
« rivolgersi ? Il luogo deserto e le tenebre della notte fa-
« vorivano il misfatto; egli inerme, l’altro armato e riso-
« lutamente deciso al delitto. Cominciò allora a dissua-
« derlo dal reo proposito con buone parole e con esempi;
« ma Pierottino ripetea : A che ti adopri invano ed affa-
te tichi inutilmente; scegli delle due, o tu uccidi me o
« io te ».
Al rifiuto dell’eremita, Pierottino, imbrandita la spada,
lo trafisse. Ma compiuto il misfatto, egli non potette più
muoversi, e quando nel mattino seguente i lavoratori delle
cave vicine vennero a riprendere gli ordegni, che solevano
riporre nell’atrio dell’oratorio, fu trovato immobile a con-
templare la sua vittima. Fu, naturalmente, preso e condan-
nato ad essere appiccato.
Il corpo dell’eremita ancora si venera in Santa Resti-
tuta, e l’oratorio di S. Maria a circolo passò cogli altri
beni del cenobio di S. Salvatore al monastero di S. Pietro
a castello e poi a quello di S. Sebastiano, nelle carte del
quale se ne trovano notizie fino ai primi anni del se-
colo XVII. (2)
Continua.
Giuseppe Ceci.

LA TOMBA DI TEODORO

La chiesa di Donnaromita in via del Salvatore è nota
a tutti i napolitani. Chi visitandola s’avanza oltre la balau-
stra della tribuna, e si ferma a osservare la quarta e ul-
tima cappella a mano sinistra, nota subito il monumento
sepolcrale che mi propongo d’illustrare (x). E credo di do-
verlo illustrare, perchè le solite guide e i soliti libri non
ne danno che notizie assai poco sufficienti e assai poco
esatte. Il monumento, dunque, aderisce alla parete sinistra
della cappella anzidetta, alto un paio di metri, largo poco
più che un metro e mezzo, ma sporgente alquanto nella
parte inferiore.
La parte superiore consta di due lapidi, quella di sopra
con un’epigrafe greca, fatta a rammentare come qualmente
il duca Teodoro avesse fondato, fra il settembre dell’a. 720
e l’agosto del 721, il tempio nel quale ebbe poi sepoltura;

(Riprod. dall’op. del Capasso. Tav. XII).


e l’altra con un’epigrafe latina, che vorrebbe essere tradu-
zione dell’epigrafe precedente. La parte inferiore è un’arca
di marmo, infissa nel muro in modo da lasciar vedere
quasi solamente il fronte e appena le estremità dei lati.
Due colonnine, scolpitevi nel mezzo con basi e capitelli
e sormontate da un arco, formando in mezzo una specie
di nicchia, dividono la parte visibile dell’arca in tre scom-
partimenti. Di questi, i due laterali rappresentano due sce-
nette mitologiche. In quello di sinistra, presso la colon-
nina, sta una baccante dalle sparse chiome, che, suonando
il timpano, si volge indietro a Pane; e il capripede dio,
pigliandole con la mano destra il lembo della tunica, agita
con l’altra mano la face ed ha ai piedi un capretto e una
maschera d’istrione. A destra, accanto all’altra colonna si
vede Bacco, ammirato dalle bellezza d’Arianna che, gia-
cente per terra di fronte a lui, afflitta e sonnolenta viene
additata a lui da Amore. Il piccolo dio aligero sta accanto
alla derelitta con la face nella mano manca, e le solleva

(1) Cito dalla traduzione del Galante nelle Memorie della vita e del
culto del Beato Niccolò Eremita di S. Maria a circolo in Napoli, Napoli,
1875-77.
(2) V. Galante, Memorie cit. ■— e cfr. la rassegna che fece di que-
sta monografia il Capasso in Arch. St. Nap., anno III, p. 104 e seg.

(1) Ricavo quest’articolo dal terzo volume, or ora venuto in luce,
pe’ Monumenta ad Neapolitani Ducatus historiam pertinentia di B. Ca-
passo, pp. 215-217.
 
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