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Napoli nobilissima — 1.1892

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

89

Più oltre una terza fontana avea un Giove col fulmine
in mano e l’augello al fianco, e varii gruppi negli angoli :
a destra un villano
col suo barile in mano
in atto di gettar l’acqua nel vaso
che sotto il piè voi la vedeste spaso.
Et è così lo scaricar gentile
col borbottar dell’acque nel barile
nel naturai suo segno
che l’un stimarebbe huom, l’altro di legno,
e una vecchia che lava dei panni; a sinistra un pescatore
coll’amo e una contadina, che va
a trar dell’acqua a la fontana.
Ond’è con la lancella
l’atto a veder di quella
leggiadra villanella
così gentil, che all’hor tanto mi piacque
che stei per dir: dammi da ber dell’acque.
Ma — osserva il buon del Tufo, che mi fornisce
questi bei fiori di lingua e di poesia —

dei Ciccarelli. Cadde in eredità al Marchese di Toriglia,
nipote della Principessa di Sulmona Donna Costanza de
Carretto Doria, il quale lo vendette nel 1595 ai Teatini
da questi passò al Principe di Squillace e poi nel 1692 a
D. Pietro Castelletto, Reggente della Vicaria. Questi lo
decorò con magnificenza, raccogliendovi pure dei bassori-
lievi e delle iscrizioni romane; e ivi andò a smontare il
Cardinal Zapatta, quando nel 1620 venne a Napoli ad as-
sumere la carica di Viceré.
Luigi Castelletto, figlio di D. Pietro, vendè nel 1642 il
palazzo ad un altro Reggente, D. Diego Bernardo Zufia,
il quale alla sua morte lo divise tra le figlie Giuseppa e
Isabella, moglie del Marchese di S. Marcellino (0.
Continua.
Giuseppe Ceci.

CAVAGNI CONTRO FONTANA
A PROPOSITO DELLA REGGIA DI NAPOLI.

quel che dà più segno e indizio chiaro
del luogo altero e raro
oltre i cedri, gli aranci, oltre le teste,
i grottoni di pampane e verdure,
le strade così pure,
ch’ivi donne mie sempre vedreste,
tanti pozzi abbondanti
d’acque chiare e grillanti,
statue, marmi, colossi, antri, ombrie et archi
d’ogni bellezza carchi,
era che dal giardino si poteva agevolmente entrare nel
primo appartamento del palazzo d’onde si aveva una splen-
dida veduta sul golfo e sulla riviera di Sorrento.
Don Luigi di Toledo aveva spesi ben sessantamila scudi
nel costruire questa villa; ma alla sua morte tutte le scul-
ture furono trasferite altrove, in Ispagna forse, dove andò
il famoso Ercole del Marchese di Trevico, e la casa col
giardino pervenne a Francesca di Toledo, sua figlia, mo-
glie al Conte di Pacentro Orsini. Un figlio di costui ven-
dette la proprietà nel 1639 alle monache dell’Egiziaca, che
vi fondarono il monastero, di cui parlerò più oltre.
In tal modo Pizzofalcone si andò popolando di palazzi
di patrizii Napoletani e di Spagnuoli venuti nel Regno per
esercitarvi delle cariche. Ve n’era uno del Principe di
Stigliano Luigi Carafa, che lo vendette a Luisa Henriquez,
dal quale passò ad Antonio de Leyva Principe di Ascoli,
e poi ad Antonio Manriquez Marchese di Girella, ed in-
fine alla Principessa di Marano Caterina Manriquez. Altri
ne possedevano gli Alarcon de Mendozza, il Duca di Mon-
talto d’Aragona, i Del Carretto Doria Principi di Melfi.
A quest’ultima famiglia apparteneva nel 1575 il palazzo
all’angolo della piazza di S. Maria degli Angeli, che è ora

I.

(Quando in un precedente scritto (1 2 3) lodai il prospetto
della Reggia di Napoli, e mi mostrai così poco contento
delle innovazioni che ne alterarono ai dì nostri l’antica

fisonomia, a tutto pensavo fuorché alla possibile esistenza
di un inedito Discorso sopra la fabrica del nuovo Regio Pa-
lazzo che si va fabricando nel largo di Santo Aluigi sotto
la guida del Cavalier Fontana (3).
Fino a qual punto destasse la mia curiosità l’inaspettata
e fortuita scoperta di un siffatto scritto, lo lascio immagi-
nare a quei che passano le lunghe ore in simili ricerche.
Cominciai a leggere; ma non di seguito : volevo subito far-
mi un’idea dell’intiero contenuto di quel discorso, e leg-
gendo a sbalzi mi venivano sott’occhio parole come queste :
« Nel particolare dell’architettura di questo Novo Regio Palazzo, dico
non esserci cosa che stia per il verso, et questo nasce per essere con-
dotto da persona che non abbia disegno. Il che tanto viene a essere
uno architetto senza disegno quanto un cieco che non sa dove ca-
minare se non è condotto da un altro che ci veda lume. »

E su questo tono seguitavo a leggervi :
« Così fa questo Cavalier Fontana, il qual forzatamente bisogna che
se esso vuol fare qualche cosa così nel disegnare, come anco nel met-
tere in opera habbia appresso di sè persone che lo guidino et l’aiu-
tino a portar inanzi le opere che esso si mette a voler fare. »
Dopo ciò l’anonimo autore, che in più d’un luogo si
dà a conoscere per essere anch’ egli architetto, si do-
manda :

(1) V. la cit. rei. del Galiuccio.
(2) La facciata della Reggia di Napoli. V.: Napoli nobilissima, n. 1-2.
(3) Sta in un Ms. Brancacciano, su cui avrò a ritornare più d’una
volta.
 
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