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NAPOLI NOBILISSIMA
Pecchè, destante da lo cemeterio
Seie passe, nc’è no bello refettorio,
Dove la mbriachezza regge mperio,
Ed ognuno se leva quarche sborio,
Co suone, cante, allucche e strillatorio
De perchie, de zantraglie a mille a mille
Ch’arreccià te faceano li capille (i).
Del resto, sebbene nel 1668 fosse bandito che « conve-
« nendo al servizio del pubblico, e per la magnificenza
« della fedelissima città, essendo molto necessario abbellire
« la strada di Poggioreale », dovessero a cura dei posses-
sori dei territorii vicini rinnovarsi le piante dei salici, sotto
pena di ducati dieci; sebbene un anno dopo, il viceré don
Pietro d’Aragona facesse riparare, a spese della città, le
fontane costruite sulla pubblica via al tempo del conte di
Benavente; ci voleva ben altro per rendere a quei luoghi
l’incanto delle perdute attrattive.
Il Celano che, intorno al 1644 quand’era fanciullo, aveva
veduto ancora intatto il palazzo, ed ancora i giardini, om-
brosi d’alberi, ed abbelliti da fontane, scrisse che, dopo
quarantacinque anni, per le tante sciagure, Poggioreale non
era più quello di prima. Divorate dal tempo le pitture di
fuori; quelle delle stanze superiori raschiate ed imbiancate;
solo nel piano inferiore se ne scorgevano alcune, degne
d’esser ammirate, nelle quali riconoscevansi i ritratti di
uomini vissuti al tempo di Alfonso II, e le fogge delle
armi e delle vesti. Delle immagini a mezzo rilievo in terra
cotta, spezzate o distrutte a colpi di schioppo, avanzavano
solamente i rottami; le fontane « tramandavano acqua alla
« buona », e « i giuochi d’acqua erano tutti andati via
« essendo stati dall’indiscreta avidità d’alcuni tolti i con-
« dotti di piombo che stavano sotterra ». Al modo stesso
era sparito il boschetto « ceduto a diversi », e dentro al
giardino « non si vedeva più negli alberi d’aranci, se non
« quello che li dà la natura, perchè l’arte aveva lasciati
« di coltivarli ».
Ma la completa distruzione avvenne negli ultimi anni
del secolo XVII. Il Re Cattolico aveva dato il palazzo già
cadente e il deserto giardino al duca di Campomele di
casa Miroballo (* 1 2 3 4 5); e in breve quel luogo già di spasso dei re-
gnanti, si ridusse a tale stato che « invitava più tosto a
(1) Valentino, 1. c.
(2) Nel luglio dell’anno 1723 i Deputati del Tribunale di Fortifica-
zione, acqua e mattonata fecero murare « con volta di fabbrica » un
« alveo di marmo scoverto » sito nel giardino di Poggioreale, « per
« dove s’immetteva l’acqua dentro questa fedelissima città.onde
« l’acqua predetta fosse stata custodita e lontana da ogni immonditia ».
Ma di ciò si dolse Riccardo Miroballo, che, con istanza avanzata presso
quel Tribunale, dichiarò sia in nome proprio, sia come tutore dei figliuoli
ed eredi del duca di Campomele suo fratello, che: « ciò far non poteasi
« per difetto di giurisdizione, essendo quel luogo non già proprio e
« privato di essi di Miroballo, ma luogo reale, solamente dato in loro
« piangere le sue rovinate delizie. e ne’ suoi vestigi
« non additò altro che le rovine di un maestoso palazzo
«su cui si poteva scrivere: qui fu Poggioreale » (0.
L’antica dimora di Alfonso II non fu così mai più ado-
perata a pubblici ritrovi; ed invece, mentre il tempo, l’in-
curia, e l’avidità del guadagno la venivano distruggendo,
vi si macinò dentro la creta, che serviva alla Regia fab-
brica di porcellana. Un ricordo del molino destinato a
quell’uso, fa supporre che il palazzo nel 1748 fosse ancora
in piedi. Ma, dopo, se qualche volta è interrotto il silenzio
che lo circonda, non si parla che di ruderi e rovine. E
al 1776 trovo scritto che tutto era andato a male, e appena
si scoprivano le posizioni delle antiche lodevolissime cose (2). E
al 1789, che il palazzo era diruto totalmente ed appena la-
sciava vedere le antiche vestigia (3). Ed oggi anche queste
quasi del tutto scomparvero.
Del monumentale palazzo aragonese non resta ora che un
misero avanzo, che si scorge appena in una bettola surta
ivi dintorno, del quale altrove riprodussi un disegno (4).
Fine.
Antonio Colombo fu Gaetano.
LE FONTANE DI NAPOLI
La Fontana di Spinacorona.
Il popolino la chiama la fontana delle zizze, e chiama
anche da essa la vicina chiesa di S. Caterina Spinacorona,
S. Caterina delle zizze (5). Infatti, l’acqua sgorgava una
volta dalle mammelle della Sirena, che domina la fontana.
Un’altra fontana delle zizze, forse per la stessa rappresenta-
zione, era tra le non poche che abbellivano il delizioso
Poggioreale.
Chi non ricorda, o non ha sentito parlare del famoso
Mannefien-piss di Bruxelles, il bronzeo puttino del Du-
quesnoy, che, mostrando « qualcosellina al sole », inaffia
i buoni Brussellesi; quel più antico borghese di Bruxelles,
come anche lo chiamano; così graziosamente indecente?
Ma è ben più gentile, ed è certo meno indecente, la Si-
rena che dalle mammelle versa agli assetati l’acqua, questo
latte onde la gran madre Terra ristora i suoi figli.
« custodia ed utile, e colla detta fabbrica s’era affatto tolto quel ch’era
« di delizia, e l’utile non poco diminuito », etc. Arch. Municipale, Tri-
bunale della Fortificazione, Conclusioni, voi. 9, fol. 41, t.
(1) Parrino, 1. c., p. 275
(2) Carretti, Topografia della città di Napoli, pag. 340.
(3) Sigismondi, Descriz. della città di Napoli e suoi borghi, T. 3, p. 15.
(4) Art. cit. neWArch. Star. Napol.
(5) Zizza, mammella. Si dice anche in altri dialetti italiani.
NAPOLI NOBILISSIMA
Pecchè, destante da lo cemeterio
Seie passe, nc’è no bello refettorio,
Dove la mbriachezza regge mperio,
Ed ognuno se leva quarche sborio,
Co suone, cante, allucche e strillatorio
De perchie, de zantraglie a mille a mille
Ch’arreccià te faceano li capille (i).
Del resto, sebbene nel 1668 fosse bandito che « conve-
« nendo al servizio del pubblico, e per la magnificenza
« della fedelissima città, essendo molto necessario abbellire
« la strada di Poggioreale », dovessero a cura dei posses-
sori dei territorii vicini rinnovarsi le piante dei salici, sotto
pena di ducati dieci; sebbene un anno dopo, il viceré don
Pietro d’Aragona facesse riparare, a spese della città, le
fontane costruite sulla pubblica via al tempo del conte di
Benavente; ci voleva ben altro per rendere a quei luoghi
l’incanto delle perdute attrattive.
Il Celano che, intorno al 1644 quand’era fanciullo, aveva
veduto ancora intatto il palazzo, ed ancora i giardini, om-
brosi d’alberi, ed abbelliti da fontane, scrisse che, dopo
quarantacinque anni, per le tante sciagure, Poggioreale non
era più quello di prima. Divorate dal tempo le pitture di
fuori; quelle delle stanze superiori raschiate ed imbiancate;
solo nel piano inferiore se ne scorgevano alcune, degne
d’esser ammirate, nelle quali riconoscevansi i ritratti di
uomini vissuti al tempo di Alfonso II, e le fogge delle
armi e delle vesti. Delle immagini a mezzo rilievo in terra
cotta, spezzate o distrutte a colpi di schioppo, avanzavano
solamente i rottami; le fontane « tramandavano acqua alla
« buona », e « i giuochi d’acqua erano tutti andati via
« essendo stati dall’indiscreta avidità d’alcuni tolti i con-
« dotti di piombo che stavano sotterra ». Al modo stesso
era sparito il boschetto « ceduto a diversi », e dentro al
giardino « non si vedeva più negli alberi d’aranci, se non
« quello che li dà la natura, perchè l’arte aveva lasciati
« di coltivarli ».
Ma la completa distruzione avvenne negli ultimi anni
del secolo XVII. Il Re Cattolico aveva dato il palazzo già
cadente e il deserto giardino al duca di Campomele di
casa Miroballo (* 1 2 3 4 5); e in breve quel luogo già di spasso dei re-
gnanti, si ridusse a tale stato che « invitava più tosto a
(1) Valentino, 1. c.
(2) Nel luglio dell’anno 1723 i Deputati del Tribunale di Fortifica-
zione, acqua e mattonata fecero murare « con volta di fabbrica » un
« alveo di marmo scoverto » sito nel giardino di Poggioreale, « per
« dove s’immetteva l’acqua dentro questa fedelissima città.onde
« l’acqua predetta fosse stata custodita e lontana da ogni immonditia ».
Ma di ciò si dolse Riccardo Miroballo, che, con istanza avanzata presso
quel Tribunale, dichiarò sia in nome proprio, sia come tutore dei figliuoli
ed eredi del duca di Campomele suo fratello, che: « ciò far non poteasi
« per difetto di giurisdizione, essendo quel luogo non già proprio e
« privato di essi di Miroballo, ma luogo reale, solamente dato in loro
« piangere le sue rovinate delizie. e ne’ suoi vestigi
« non additò altro che le rovine di un maestoso palazzo
«su cui si poteva scrivere: qui fu Poggioreale » (0.
L’antica dimora di Alfonso II non fu così mai più ado-
perata a pubblici ritrovi; ed invece, mentre il tempo, l’in-
curia, e l’avidità del guadagno la venivano distruggendo,
vi si macinò dentro la creta, che serviva alla Regia fab-
brica di porcellana. Un ricordo del molino destinato a
quell’uso, fa supporre che il palazzo nel 1748 fosse ancora
in piedi. Ma, dopo, se qualche volta è interrotto il silenzio
che lo circonda, non si parla che di ruderi e rovine. E
al 1776 trovo scritto che tutto era andato a male, e appena
si scoprivano le posizioni delle antiche lodevolissime cose (2). E
al 1789, che il palazzo era diruto totalmente ed appena la-
sciava vedere le antiche vestigia (3). Ed oggi anche queste
quasi del tutto scomparvero.
Del monumentale palazzo aragonese non resta ora che un
misero avanzo, che si scorge appena in una bettola surta
ivi dintorno, del quale altrove riprodussi un disegno (4).
Fine.
Antonio Colombo fu Gaetano.
LE FONTANE DI NAPOLI
La Fontana di Spinacorona.
Il popolino la chiama la fontana delle zizze, e chiama
anche da essa la vicina chiesa di S. Caterina Spinacorona,
S. Caterina delle zizze (5). Infatti, l’acqua sgorgava una
volta dalle mammelle della Sirena, che domina la fontana.
Un’altra fontana delle zizze, forse per la stessa rappresenta-
zione, era tra le non poche che abbellivano il delizioso
Poggioreale.
Chi non ricorda, o non ha sentito parlare del famoso
Mannefien-piss di Bruxelles, il bronzeo puttino del Du-
quesnoy, che, mostrando « qualcosellina al sole », inaffia
i buoni Brussellesi; quel più antico borghese di Bruxelles,
come anche lo chiamano; così graziosamente indecente?
Ma è ben più gentile, ed è certo meno indecente, la Si-
rena che dalle mammelle versa agli assetati l’acqua, questo
latte onde la gran madre Terra ristora i suoi figli.
« custodia ed utile, e colla detta fabbrica s’era affatto tolto quel ch’era
« di delizia, e l’utile non poco diminuito », etc. Arch. Municipale, Tri-
bunale della Fortificazione, Conclusioni, voi. 9, fol. 41, t.
(1) Parrino, 1. c., p. 275
(2) Carretti, Topografia della città di Napoli, pag. 340.
(3) Sigismondi, Descriz. della città di Napoli e suoi borghi, T. 3, p. 15.
(4) Art. cit. neWArch. Star. Napol.
(5) Zizza, mammella. Si dice anche in altri dialetti italiani.