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Napoli nobilissima — 1.1892

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

189

re avea lasciato ai frati di S. Domenico qual pegno del suo
amore per essi:
Carolus.... cor nobis pignus amoris
Servandum liquit....
come dice l’iscrizione sulla porta del monastero. C’erano
altri tre ostensori d’argento, nei quali erano riposti i cuori
di Alfonso I, Ferrante I, e Ferrante II d’Aragona. Ma nei
primi anni del secolo presente, quando il nostro paese fu
occupato dalle armi francesi, un individuo, che faceva
parte del nuovo governo, forse nemico degli antichi re,
ma certamente amico degli ostensorii preziosi, li tolse
via, e di essi non si ebbe più notizia.
Ludovico de la Ville Sur-Yllon.

LA POSTA VECCHIA

IX/Iolta gente, attirata dal tintinnio delle sonagliere e
dal fragore dei pesanti carrozzoni, si raccoglieva fino al
principio di questo secolo, all’arrivo del Procaccio. E i
corrieri, che giungevano stanchi dal viaggio, troppo felici
se non avevano incontrato i briganti in qualche gola di-
rupata della Calabria e della Basilicata, o i corsari, ve-
nendo dalla Sicilia, dovevano pur alle volte soddisfare la
curiosità degli sfaccendati e dare le notizie dei paesi che
avevano attraversato.
La prima istituzione delle poste rimonta fra noi alla
metà del secolo XVI; ma un vero ordinamento non l’eb-
bero se non due secoli dopo, nel 1742. Si stabilirono due
classi di corrieri, una detta di gabinetto portava la corri-
spondenza alle varie corti straniere, l’altra detta di Cala-
bria per il servizio del pubblico. Ad entrambe presiedeva
il Corriere Maggiore (*).
Gli antichi ufficii postali erano all’angolo della strada di
S. Brigida; ma distrutti da un incendio, furono trasferiti
poco prima dell’occupazione francese nell’edificio che an-
cora porta il nome di Posta Vecchia. Esso è unito per un
un arco al Teatro del Fondo, e fu, secondo congettura il Chia-
rini, opera dello stesso architetto: Francesco Securo (1 2).
Sotto l’arco, e nel vicolo che lo precede, si annidò e fiorì
un utile mestiere, che l’inclemenza dei tempi, voglio dire
l’istruzione obbligatoria e i regolamenti municipali, hanno
quasi interamente distrutto : il mestiere degli scrivani pub-
blici. Se ne vedono ancora nelle vicinanze del palazzo

(1) Giustiniani, Prammatiche, voi. Vili; Galanti, Descrizione geo-
grafica e politica del Regno di Napoli, I, 216.
(2) Chiarini, nelle note al Celano, IV, 347.

Gravina — dove le poste furono trasferite nel 1859 —
e sotto i portici del San Carlo; ma quanto mutati dai
loro predecessori! Essi hanno fornito dei curiosi tipi alla
commedia dialettale e agli osservatori dei costumi napo-
letani. Lascio stare il bozzetto, che ne scrisse il Dalbono,
illustrando un disegno di Filippo Palizzi nell’opera del
Bouchard sugli Usi e costumi di Napoli. Pel Dalbono lo
scrivano serve di pretesto ad una lagrimosa novella, nella
quale il nostro eroe fa una pessima figura. Immaginate,
che egli intasca i denari ma non spedisce all’amante lon-
tano le lettere di una povera fanciulla del popolo. L’amante,
adirato, credendosi tradito si dà ad altro amore : e la fan-
ciulla muore per l’abbandono! (*).
Un profilo più benevolo, ebbero gli scrivani pubblici
dal Kotzebue nei suoi ricordi di viaggio. Nel vico tra il
Teatro del Fondo e la Posta « stanno — egli scriveva
« nel 1804 — una mezza dozzina di piccole tavole, e
« avanti ad esse siedono una mezza dozzina di uomini, i
« cui abiti sono così gualciti come le loro fisonomie.
« Hanno davanti i fogli per scrivere, e in mano le penne :
« basta perciò che le intingano nel calamaio per essere
« pronti ad indirizzare tutte le lettere immaginabili a tutte
« le quattro parti del mondo. Una seconda sedia, dirim-
« petto, invita chi ha bisogno del loro mestiere, a sedersi
« e manifestare i propri pensieri per l’ulteriore manipola-
li zione. Qui vengono la vecchiarella e l’onesto marinaro,
« qui il soldato valoroso, e la donnina allegra, che hanno
« o figli o madri o affari di cuore di ogni sorta, vicino
« o lontano, nel vecchio o nel nuovo mondo : essi scana-
li bierebbero volentieri i loro pensieri coi cari lontani,
«ma non possono farlo senza l’aiuto altrui».
Il Kotzebue descrive una scena a cui si trovò ad assi-
stere : « Una vecchietta si siede avanti al primo epistolo-
11 grafo, un uomo senza naso (il che a Napoli non è raro).
« Questi scrive subito in cima ad un foglio Napoli, q
« novembre i8oq, per non perder tempo. E fa bene, giac-
« che la vecchia ha molta fretta : il suo unico figliuolo
« è in viaggio ed essa vorrebbe averlo a casa, sentendosi
11 mancare la vita : la sua malattia è infatti provata dai
11 frequenti colpi di tosse profonda che interrompono le
« sue parole; e la brama intensa delle lagrime che le ba-
li gnano le guance ».
La vecchia espresse tutto ciò con un fiume di parole.
« L’uomo senza naso l’ascoltò pazientemente, ne cavò il
« succo, e pose la penna in movimento. L’altra che era
« ancora munita di naso, e non trovava perciò nessun
« impedimento a inforcare gli occhiali, seguiva cogli oc-
« chi ogni movimento della penna, con una attenzione
« così intensa, che si sarebbe potuto sospettarla capace di
(1) Bourcard, Usi e costumi di Napoli, 151.
 
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