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Napoli nobilissima — 1.1892

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

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sabetta e S. Giovanni, e più dietro S. Giuseppe occupato
a leggere C1). Nella nave di sinistra è un’altra cappella di-
pinta da Bernardino Siciliano. La tela dell’altare rappre-
senta S. Carlo Borromeo inginocchiato avanti una statua
in marmo della Vergine : e gli affreschi della volta e della
cupoletta contengono varii episodii della vita dello stesso
santo. Nella cappella dell’immacolata la cupoletta contiene
dipinti di Agostino Beltrano (1659) e un quadro di altare
di Massimo Stanzioni, rimasto incompiuto. Nel fondo di
questa nave tra due colonne di nero antico è un’altra pit-
tura del Giordano : un S. Gaetano.
Niente poi vi ha di notevole in fatto di sculture, se ne
togli i bassorilievi di Tito Angelini nella cappella gentilizia
di casa Serra di Gerace, corretti di disegno ma senza vita.
Nelle tombe giacciono patrizi Napoletani e grandi dignitari! :
i Serra di Gerace, un Don Ottavio Conteimo Duca di
Popoli (t 1639), un Giovan Battista Caracciolo (t 1637);
i Cavalieri di S. Giacomo Emmanuele Carrillo di Toledo
Maresciallo di Campo (11636) e Filippo de Zunica Hen-
riquez Commissario Generale della Cavalleria (f 1662);
Monsignor Giuseppe Lucatelli Nunzio Apostolico presso la
Corte di Napoli (t 1736), e Fra Nicola da S. Biase Gran
Croce dell’Ordine Gerosolimitano (t 1739)- Vi ha pure
dei giureconsulti : Tommaso de Gemmis e Angelo Maria
Abatemarco.
Anche la casa, ora completamente trasformata, « era
« nobilissima — scrive il Celano — e degna di essere
« osservata. Vi è un allegrissimo ed ampio refettorio di-
« pinto dal Caselli con bellissime prospettive : vi sono de-
« liziosi giardini e logge di ricreazione che vanno sul mare.
« L’architetto di così nobil casa fu il P. Giovanni Guarini
« della stessa Religione » (2 3 4 5).
Resta infine a parlare dell’Egiziaca, che fu fondata nel
1639 da alcune monache dell’antico monastero di S. Maria
Egiziaca a Forcella. Desiderose di « vivere più perfetta-
« mente in communità sotto voto di povertà e velate af-
« finché mai da uomo mortale fosse visto il loro volto »,
decisero di riformare più strettamente la regola di S. Ago-
stino e di separarsi dalle compagne, fondando un nuovo
monastero nelle case dei Toledo a Pizzofalcone. Le ricin-
sero di altissime mura, e nella domenica 9 ottobre del 1639
andarono a stabilirvisi. Le cinque fondatrici — Suor Te-
resa Tocco, Suor Maria Francesca Lombardo, Suor Eusta-
chia Caracciolo, Suor Eugenia Mattadaro, Suor Dorotea
Severino — furono accompagnate in magnifiche carrozze
da tutta la nobiltà napoletana alla nuova dimora, « ove
« giunte furono da Monsignor Tramaglia velate, avanti

(1) De Dominici, op. cit., voi. Ili, p. 331; Filangieri, op. cit.
(2) Celano, ediz. Chiarini, voi. 4, p. 262.

« del quale ferono voto di perpetua clausura in detto
« nuovo monastero, di vivere in communità, povertà, ca-
« stità e di osservare la regola di S. Agostino» (*).
Questo convento, che per la posizione e i giardini e gli
edifici! era annoverato dal Celano tra i deliziosi che siano
a Napoli, dovette il suo maggior incremento alla rivolu-
zione del 1647, come si vedrà nel seguente articolo.
Continua.
Giuseppe Ceci.

LA LANTERNA DEL MOLO

INjon mi è riuscito di sapere in qual punto del porto
di Napoli era messa la lanterna, che certamente fin dai
tempi più remoti indicava la via ai naviganti. Qualcuno
ha creduto che sorgesse alla sommità della colonna mar-
morea eretta nel 1307 presso l’Arsenale. Ma il diploma di
Carlo II d’Angiò, da cui questa notizia fu tolta, parla del-
l’innalzamento di una colonna prò urmiczandis in ea vas-
sellis ad portum ipsum declinantibus: essa serviva dunque
unicamente per l’ormeggio, e costò tari 14 e grana 9%;
nel qual prezzo erano comprese grana 19 % per le spese
di trasporto dalla piazza di S. Paolo (2).
Le prime notizie intorno alla edificazione di una torre
per uso della lanterna sono del 1487. In quell’anno Ferdi-
nando I d’Aragona, dopo aver ampliato il molo, il dì 8
di settembre diede incarico a Luca Bengiamo — uomo,
dice il diploma, molto ingegnoso — di costruire in cubito
ipsius molis una torre sive lanterna cum incluso lumine. Il
Bengiamo dovea sostenere tutte le spese di fabbrica e di
manutenzione ed ebbe in compenso la concessione di esi-
gere un dritto sulle navi che entravano nel porto, secondo
la consuetudine degli altri porti del Regno, e di edificare
nello stesso luogo un mulino a vento (3).
Luca Bengiamo chiese poi la conferma del ius lanter-
nae (4) a Carlo Vili di Francia, il quale con diploma del 1
aprile 1495 non solo lo riconfermò, ma fece anche i ca-
pitoli dei diritti che dovevano esigersi sulle navi (5).
Ma poco dopo, ritornati in Napoli gli Aragonesi, la
torre fu distrutta. Si racconta nella cronica anonima dal
1444 al 1496, che « a 24 di luglio (1495) fu pigliata la
« torre della lanterna a lo modo (dai soldati Aragonesi) e

(1) Monasteri soppressi, voi. 2450.
(2) Registri Angioini, 1307, n. 167, fol, 382.
(3) Arch. di Stato di Napoli: Monasteri soppressi, voi. 1798 bis.
(4) Bianchini. Storia delle Finanze di Napoli, voi. I, p. 76.
(5) Del Giudice. Apologia, p. 126. Il Diploma originale è conser-
vato nell’Arch. di Stato, Sezione Diplomatica, Pergamene dei Mona-
steri soppressi, voi. 94, n. 2707. È da osservare che nei diversi do-
cumenti ora si trova Bigiam ora Bugiam, Biam, Bongiamo e Bengiamo.
 
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