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Napoli nobilissima: rivista d' arte e di topografia napoletana — 1.1892

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

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all’urna) l’uno alza un serto d’alloro, l’altro un libro a-
perto, le due cose appunto che abbiamo vedute adorna-
mento della statua.
Nello zoccolo, è in mezzo un teschio fra due croci e,
ai lati, i due stemmi dei genitori di Antonia : il leone
rampante dei Caudino; il bue con le tre stelle dei Bossi.
Ma se in tutto il monumento si scorge un solo concetto,
un solo spirito inventivo ed esplicativo; l’esecuzione della
figura distesa appare all’incontro infinitamente più fina, più
leggiadra, più bella. Gli ornati invece sono un po’ stentati;
le targhe e il teschio e le croci duramente disegnate e
scolpite. I due geni poi sono lavoro tutt’affatto mediocre,
quasi meschino, per la mancata abilità dello scalpello e per le
non superate difficoltà di dar moto e vita alle due figurine.
Nessun dubbio, che a Giovanni da Nola spetta l’intero
concetto e disegno del monumento : ma nessun dubbio del
pari che, durante l’esecuzione, egli si limitò a scolpire la
statua della Caudino.
Nè solo d’artista eletto è l’opera di marmo; che di va-
lente letterato è anche l’epigramma e il sottoposto epi-
taffio, l’uno e l’altro incisi nello specchio centrale, l’uno
e l’altro dettati da Marc’Antonio Epicuro, che, sino a que-
sto secolo, ebbe la sua tomba poco lontano da quella di
Antonia.
« Figlia — ahimè, misero! — figlia di me misero pa-
« dre, figlia unica perchè fosse unico il dolore; io ti pro-
« cacciava lo sposo, la fede, il talamo, ed ecco che ese-
« quie e sacrifizi angosciato ti preparo. Avremmo dovuto
« esser sepolti e padre e madre insieme a te, cosicché
« quest’urna a tre sventurati fosse apprestata. Ma sia tu,
« figlia, erede del sepolcro e noi di perpetuo lamento,
« poiché gli empi fati così vogliono ». — Abbiamo tra-
dotto con queste parole un po’ largamente l’epigramma
che segue :
Nata (eheu misurum) misero mihi nata parenti,
Unicus ut fieres, unica nata, dolor:
Nam tibi dumque virum, tedas, thalamumque parabam,
Funera et inferias anxius ecce paro.
Debuimus tecum poni materque, paterque,
Ut tribus haec miseris urna parata foret.
At nos perpetui gemitus, tu nata sepulchri
Esto haeres, ubi sic impia fata volunt.
L’epigrafe incisa sotto l’epigramma dice :
ANTONINE FIL. CHARISS. QV2E
HIERONYMO GRANATA IVVEN. ORNATISS.
DESTINATA VXOR. ANN. NONDUM XIIII
IMPLEVERAT
IOANNEL. GAUDINVS ET HELIODORA BOSSA
PARENTES INFELICISS. POS.
RAPTA EX EORVM COMPLEXIB.
ANN. SAL. M.D.XXX PRID. ID. CAL. IAN.

Dopo quanto abbiamo scritto, questa iscrizione deve ap-
parir abbastanza chiara anche a chi non sa di latino!
Nulla più. — Antonia Caudino fu certamente assai sven-
turata, ma la pietosa sua fine è oggi ad usura compensata
dall’arte e dalla poesia. La prima perpetuò la sua bellezza;
l’altra, il suo dolore, procurandole il sospiro di tutte le
anime sensibili (T).
Corrado Ricci.

PIZZOFALCONE
11.
Il bastione aragonese - I PALAZZI del secolo XVI.
Nel 1442 Alfonso di Aragona stringeva di assedio in
Napoli il suo rivale Renato d’Angiò. Una parte dell’eser-
cito aragonese era accampata nelle paludi che circondano
la città ad oriente, l’altra era sull’altura di Echia, posi-
zione diventata molto importante, dopo che per la costru-
zione del Castello nuovo e delle case dei principi Angioini
nelle sue vicinanze, le abitazioni erano giunte fin quasi
alle falde di questa collina. Sull’alto di essa sorse allora
per comando di Alfonso un bastione, che nel marzo di
quell’anno, mentre durava l’assedio, era già compiuto ed
armato ed era dato in custodia al contestabile Alfonso
de Vargas con 20 fanti (1 2 3).
Dopo la vittoria delle armi aragonesi e la conquista del
regno la piccola fortificazione rimase a difesa della città,
e per congiungere il Castel Nuovo con quello dell’Ovo. E
quando nel 17 febbraio 1495, al declinare della domina-
zione di casa d’Aragona, la guarnigione Napoletana, non
potendo frenare l’insurrezione che si era prodotta nella
città all’annunzio della venuta di Carlo Vili, si chiuse nei
castelli, una parte dei soldati si ricoverò appunto nel jor-
tellicio di Pizzofalcone. Ma questo dovè subito rendersi
(3 marzo) ai Francesi, i quali vi trasportarono le artiglierie
per bombardare Castel dell’Ovo (3).
Tre giorni dopo ebbe luogo nelle sue vicinanze un col-
loquio tra Carlo Vili e Federico d’Aragona. Questi, par-
titosi da Ischia — racconta un cronista contemporaneo —

(1) Berardino Rota, Poesie, Napoli, 1726, Tom. II, p. 165. —-
Fr. Fiorentino, M. A. Epicuro nel Giornale napoletano della Domeni-
ca, Ann. I, n. 29. — Erasmo Pèrcopo, M. A. Epicuro nel Giornale
storico della Letteratura it., Voi. XII (1888), pp. 53 e 76. — Per Gio-
vanni da Nola vedi qualche notizia nel libro di Gustavo Frizzoni,
Arte italiana del Rinascimento, Milano, 1891, pp. 83-88.
(2) Minieri-Riccio, Alcuni fatti di Alfonso l di Aragona in Arch.
Si. Nap., voi. VI, p. 29 e seg.
(3) Delaborde, L’éxpediction de Charles Vili en Italie, Paris, 1888,
p. 552.
 
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