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Napoli nobilissima — 1.1892

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i8

NAPOLI NOBILISSIMA

Qui dà un favorevole giudizio sui modelli delle statue
del Corsini, indi prosegue :
« Ma conviene, dissi, supplire con l’arte la certissima
deformità che quei colossi veduti da vicino recherebbero
ad ogni riguardante, moderando le figure di marmo sol-
tanto nell’altezza di palmi 8, e sollevarle in compenso
dentro le nicchie mediante due zoccoli scorniciati di pie-
tra colorita, e quindi alti due palmi... »
Si potrebbe osservare non essere questo precisamente
il caso nostro; mentre qui si parla d’un luogo chiuso e an-
gusto, e la reggia di Napoli è situata in una vasta piazza.
Al che risponderei che l’inconveniente derivante dall’angu-
stia del loco, giusta il Vanvitelli, cioè l’essere costretti a
guardare delle figure colossali troppo da vicino, esiste per
noi lo stesso; giacche il lato della piazza dove la Reggia
si estende, è il più frequentato e di transito; e però non
si può fare a meno di sperimentare quanto sia vera la pre-
visione del Vanvitelli circa la certissima deformità che recano
ad ogni riguardante i colossi veduti da vicino.
Alfonso Miola.

LE CHIESE DI NAPOLI
SANTA MARIA DEL CARMINE MAGGIORE.
I.
La chiesa fin al 1300.
Il nome d’essa sarebbe assai men famoso, pur di que-
sti tempi, se non lo accompagnasse il ricordo incancella-
bile di due fatti sciagurati : l’esecuzione capitale del nipote
di Manfredi, là, in sulla piazza ove la chiesa or disserra
la sua porta maggiore, la bizzarra, e pur sanguinosa, fine
d’un tumulto popolare, che trasse a morte, nel tempio
profanato, l’infelice Masaniello, da prima semplice e schietto
uom di popolo, poi megalomane pericoloso. Ma intorno
alle circostanze peculiari d’entrambo questi avvenimenti
non è qui luogo da discorrere, nè pur lo potrei fare, nè
vorrei farlo, da che, fino a quest’ora, esse s’adombrano
della nebbia della leggenda in molte lor parti o se ne ri-
mangono, aspettando più fortunati ricercatori, tra certe
oscurità della tradizione. In verità, chi potrebbe ancor af-
fermare che proprio sia stata una Margherita, madre di
Corradino, quella che venuta a Napoli pel riscatto del fi-
gliuolo, invano adoperatavisi, abbia finito per metter nelle
mani de’ buoni frati del Carmine l’inutile denaro, perchè
lo spendessero in opere d’ampliamento e di miglioramento
della chiesa, oltre che in messe per l’anima del biondo
svevo? Il Bohemer, ne’ suoi Regesta imperii, il Capasse no-
stro medesimo ci dicono che non Margherita ma Elisa-

betta ebbe nome la madre infelice, e aggiungono che, a
quanto n’è risaputo, mai la povera donna capitò a Napoli.
Se fin a’ principi! di questo secolo è rimasta, secondo la
credenza popolare, a dimostrar il contrario — in sulla por-
teria del convento — una muliebre figura marmorea e si
è immaginata, dalla borsa che si reca fra mani quella
donna, una pietosa raffigurazione della madre di Corra-
dino, sarebbe bastato il chiaro documento della sua co-
rona, l’indicazione de’ gigli che gliela compongono, per
riconoscerla principessa angioina, non sveva.
Che cosa, dunque, vi sarebbe di vero nell’intervento,
per la ricomposizione della chiesa, di Elisabetta sveva, o
in quel di quell’altra donna di cui ci rimane, offesa dalle
ingiurie del tempo, fors’anco da quelle degli uomini, la
statuina rosa e malconcia? Risaliamo alle origini della
chiesa medesima; le sue vicende metteranno a lume, ben
presto, quelle due figure muliebri, intorno alle quali è pur
un’aura di poesia che la tradizione, il popolo, gli stessi
scrittori hanno amato di conservare.
*
* *
Una piccola chiesa intitolata al vescovo di Mira S. Ni-
cola era, ne’ principii del VII secolo, a Napoli, presso alla
marina e, naturalmente, fuori della città. Quel che il Pa-
dre Ludovico da Casoria fece, recentemente, a Posillipo,
in quel tempo pur alcuni caritatevoli uomini avevano fatto :
un ospizio era stato fabbricato, in sulla riva, pe’ vecchi con-
tinuatori del mestiere di Sant’Andrea e, accanto all’ospi-
zio, era sorta, per le occorrenze religiose degl’invalidi
pescatori, una piccola chiesa. Or, capitati a Napoli, scam-
pando dalle persecuzioni de’ Saraceni, alcuni degli eremiti
del Monte Carmelo — è il P. Giov. Battista Lezzana,
dello stesso ordine, che raccoglie una simile tradizione e
le dà fede — l’ospizio e la chiesa, come costoro li do-
mandarono, vennero loro ceduti. Una immagine della Ma-
donna della Bruna, che i buoni eremiti s’ostinavano a cre-
der dipinta da S. Luca, gli aveva accompagnati dall’oriente
e s’era salvata con loro, anzi — non offendiamo, in ri-
tardo, la lor fede — diciamo pur, gli aveva salvati. Essa
ebbe posto nella chiesa antica de’ vecchi marinari e le
dette nome nuovo : la chiesetta fu chiamata, da quell’ora
avanti, della Vergine della Bruna del Monte Carmelo, os-
sia de’ frati di 5. Maria del Carmino, denominazione con
la quale la si trova indicata nel XIII secolo.
Ho detto più su che ad una simile tradizione quegli
che presta maggior fede e che, a un tempo, l’avvalora con
i suoi scritti, è, giusto, un carmelitano, il P. Lezzana,
scrittor grave ed autorevole delle cose dell’ordine suo.
Soggiungo, per la verità, che le opinioni di lui, pur so-
stenute dal Padre Ventimiglia e da Francesco Bonae Spei,
vennero in tutto respinte da un altro monaco storiografo,
 
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