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Napoli nobilissima: rivista d' arte e di topografia napoletana — 1.1892

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NAPOLI NOBILISSIMA

Restarono poi lettera morta le prammatiche posteriori,
massime quella del viceré don Pietro Giron, con la quale
s’ingiungeva a quelli che col cedo bonis pagavano i loro
creditori, a portare « le loro barrette o cappelli di color
« turchino con bambacini intorno apparenti, durante la
« lor vita, e quei segni dovevano ponersi in croce sopra
« i cappelli, perchè si rendessero noti a tutti ».
Ai contravventori era minacciata la galera (0.
Ed a richiamar ulteriormente in vigore la prammatica
del Cardinal d’Aragona, emanata allo scopo di porre un
argine alle spesse e fraudolenti fallenze, e che comminava
la pena della morte e della fuorgiudica, vi volle un editto
del Re Cattolico (1 2 3 4 5).
Le antiche leggi di eccezione del cessato governo delle
due Sicilie sanzionavano che il fallito ammesso al benefi-
cio della cessione, era tenuta a farla di persona dinanzi
ai creditori alla udienza del Tribunale (3); ed il Codice
italiano aggiunge che questa dichiarazione va fatta alla
cancelleria entro tre giorni dalla cessazione dei pagamenti,
col deposito del bilancio e dei libri corrispondenti.
Nè solo nel napoletano stette questa ignominiosa pena
in vigore, ma ancora in altre regioni d’Italia.
In Firenze i debitori decotti battevano in Mercato nuovo
il sedere su di una lastra di marmo tonda, che chiamavasi
Carroccio, perchè ivi fermavasi il Carroccio sul quale sven-
tolava l’insegna dei Fiorentini, quando si arrolavano per
combattere.
A quest’usanza alludendo il Lippi, trova nell’inferno
quelle
Donne, che feron già per ambizione
D’apparir gioiellate e luccicanti
Dare il culo al marito sul lastrone (4).
La letteratura popolare, sorgente inesauribile di usi e
costumanze patrie, non lascia la colonna della Vicaria lì
in asse senza un rammarico (5), uno scherzo (6), una me-
tafora.
Filippo Sgruttendio la rassomiglia al niveo collo della
sua Cecca :

(1) Pramm. sotto il titolo de cessione bonorum, pubblicata ai 23 di
marzo 1585; comincia: L’occasioni che succedono ecc.
(2) Pramm. pubblicata a 30 marzo 1606.
(3) Art. 565.
(4) Malmantile racquistato, sesto cantare st. 73.
(5) « ... e pe chesto l’abbesogna pe forza, o morire dinto a le car-
« cere, overo, se vo’ scire, sbregognarese a la colonna de la Vecaria,
« co fare zitabona ». Bartolommeo Zito, annot. al canto V. c. II
della Vaiasseide.
(6) Più o meno varia, è nota questa quartina:
Colonna santa, colonna viata,
Tutte li diebbete tu m’hai levata;
Si sapeva primma la tua vertù,
N’havarria fatto duciento de cchiù.

Accossì liscio e tunno, justamente
Pare colonna de la Vicaria
Ma si tu, Cecca la vuoie fare bona,
Già che de guste m’aie fatto pezzente,
Famme fa a ssa colonna zita bona (1)
La colonna della Vicaria scomparsa agli occhi del po-
polo, nel 1856, quando si pose mano al restauro del vec-
chio e deforme castello con un acconcio e ben ideato pro-
getto dell’ispettore generale del Genio Civile signor Gio-
vanni Riegler, non serviva solo all’uso, cui ho accennato.
Essa era pure la Morgue del governo viceregnale e di
quelli che lo seguirono.
Quivi esposta più di una creatura umana ha fatto fre-
mere, inorridire, piangere per compassione.
Bastava appena la voce che un morto trovavasi sotto
la colonna della Vicaria, che la piazza si riempiva di gente
che affluiva dai quartieri bassi e dai più remoti della città.
E a gruppi, a capannelli, questa gente oziosa, che si
trova sempre presente alla festa, come al mortorio, ne fa-
ceva la storia. Storia che di bocca in bocca passando si
allargava, si snaturava, pigliava proporzioni enormi, fanta-
stiche, paurose.
L’infelice era stato trovato morto a colpi d’achibugio
sull’albeggiare in una viuzza di Napoli da una ronda di
birri ritardatarii in perlustrazione.
E in mezzo a un gruppo uno scrivano con voce sten-
torea e con parole, che agli astanti saper dovean d’ama-
rico diceva : — vedete, l’infelice è vulneratum duobus vul-
neribus ictu archibusii. È fuxtce staturae, barbae nigrae; po-
trà avere una quarantina d’anni, porta un cappello « di
« feltro negro e un gippone di fustagna ». E vi posso
assicurare che in sacculis gli hanno trovata una borsa.
Ed aggiungeva : delle due ferite l’una in pectore sub mam-
milla sinistra delatere ad latus, è penetrante; l’altra nel brac-
cio, pure sinistro, suptus cubitum (2).
Intanto il povero ignota restava indarno esposto alla cu-
riosità del volgo per tutto quel giorno e l’altro e l’altro
ancora, nè se ne poteva constatare l’identità e appurare
la cagione del misfatto.
E queste scene truci e strazianti, con pochi risultati e
meno provvidenze di giustizia, si ripetevano spesso.
Nel 1634 uno spettacolo simile al narrato, ma più rac-
capricciante pel modo, venne ammannito al pubblico con

(1) Tiorba, Corda I, Son. XIX.
(2) È una delle tante formole di cui si servivano gli scrivani, i ma-
strodatti, i giudici ecc. Un libro molto curioso, perchè contiene quasi
tutti i modelli di queste formole, e ancora « un breve trattato dei ve-
ci leni, dello.e notomia della parte » è quello che col titolo
di Guida informativa criminale stampò in Napoli nel 1712 il sacerdote
Ottavio Liguoro, diocesano d’Aversa, con licenza dei superiori.
 
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