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Napoli nobilissima — 1.1892

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I58

NAPOLI NOBILISSIMA

Allo spalto di legno che la divideva dal mare, vennero
sostituiti alti e forti cancelli di ferro; alla illuminazione ad
olio, quella a gas; le case laterali a sinistra, prima di varie
forme ed altezze, rese tutte uniformi; Ponte nuovo demo-
lito e livellato alla strada con due ponti, uno in ferro ed
un altro in fabbrica. Tutte le sopra dette opere in ferro fu-
rono lavorate nell’opificio Filangieri in Satriano di Calabria.
La chiesa di S.a Maria del Rimedio, ch’era anticamente
tutta ornata di stucchi, e della cui fondazione ho discorso
di sopra, fu quasi a metà demolita insieme alle case, che
le erano accosto per dare maggiore ampiezza alla strada del
Molo, e ricostruita più in dentro, nel luogo dove oggi si
vede, con prospetto di ordine ionico e volta piana soste-
nuta da pilastri e mura angolari, con sei colonne scana-
late di stucco (*).
Il palazzo della Conservazione dei grani, ch’era stato fin
dal 1827, sotto il regno di Francesco I, ceduto dalla Città
alla Direzione dei dazi indiretti, divenne nuova gran do-
gana e si estese, presso i due sopradetti ponti, sul bacino
del molo piccolo, il quale anche oggi comunica col porto.
E queste opere disegnate e iniziate dall’architetto Ste-
fano Gasse, furono continuate e menate a termine dal
maggiore del genio comm. Clemente Fonzeca, che sul
luogo dove sorgeva la demolita chiesa di S.a Maria del
Filar (1 2), vi ideò una fontana con vasca e cavalli marini,
scolpiti da Gennaro Aveta.
Secondo il disegno dell’architetto Gasse, la nuova gran
dogana, pria che l’avesse guasta quella enorme tettoia di
zinco, che le han posta d’innanzi, si presentava al riguar-
dante in forma rettangolare. Dalla facciata principale verso
oriente sporgeva un peristilio dorico di opera avanzata,
formato da tre archi di fronte e due laterali con colonne,
che sostenevano un frontone triangolare.

(1) Chiarini in Celano, voi. IV, p. 407.
(2) Malgrado tutte le ricerche, non ho potuto fissare l’anno della
demolizione di questa chiesa. Una volgare tradizione, confermatami
dall’uomo più vecchio della contrada, fattomi conoscere dall’egregio
amico mio signor Vincenzo Cimmino, dà per certo, ch’essa fu demo-
lita in tempo della dominazione francese per dar luogo, non so più a
quale macchinario od attrezzo utile al servizio del porto ed al miglior
comodo del commercio.
E la volgare tradizione aggiunge, che i poveri marinai, a cui era
stato ceduto momentaneamente l’uso della chiesa, poco discosta, di
S. Nicola —- intorno alla quale, per illustrarla, lavoro con intelletto
d’amore — per averne definitivamente il possesso appostavano re
Gioacchino, e lo raggiunsero un giorno al varco, proprio sul posto,
nella strada del Piliero, mentre passava a cavallo. Circondarlo, fer-
margli per la briglia il cavallo, domandargli con alte e pietose voci
grazia, porgergli il memoriale fu tutt’uno. Il valoroso che sbaragliava
l’inimico alla testa dei suoi squadroni senza adoperare la sciabola, ma
col frustino alla mano, non s’intimorì dell’assalto, nè se l’ebbe a male;
e calmandoli con la parola e con i gesti, tolse il memoriale e vi se-
gnò, com’era uso, al margine, sorridendo, accordé, tra gli applausi e
la commozione di tutti.
È bella la leggenda, ed io volentieri, anche a rischio di passar per
poeta, ho voluto riferirla.

I lati maggiori del rettangolo erano di palmi 252, gli
altri minori di 201, e tutti occupavano 52 mila e 72 palmi
quadrati (0.
Nè voglio impazzare in altre descrizioni.
La vaporiera, che sul mare passa sbuffando e porta
merci al punto franco, mi ammonisce che tutto quaggiù
si trasforma e devolve.
Potesse così la Storia cancellare dalle sue pagine lo
strazio che nel 1799, sul declivio di Ponte nuovo, verso
Porta di Massa, una plebe feroce ed inumana inflisse a
due nobili gentiluomini, ai fratelli Filomarino, bruciandoli
vivi sopra un rogo di aride legna e rottami incatramati
di barche.
Vincenzo D’Auria.

I CASALI DI NAPOLI

(Contin. e fine, v. num. prec.)
Le relazioni tra Napoli ed i suoi casali sono state sem-
pre strettissime; e i vantaggi, che ritrassero dalla vicinanza
di questo centro così importante, se non grandissimi, co-
me ora, sono stati sempre per lo meno notevoli. Dovet-
tero tutti a Napoli : sta a provarlo il fatto, che la popola-
zione dei casali crebbe parallelamente a quella della città
(tranne nel principio dell’epoca viceregnale, in cui il grande
aumento della popolazione di Napoli fu dovuto ai baroni,
che lasciavano i loro feudi per venire nella capitale) e poi,
negli ultimi anni, in proporzione sempre crescente. Ed è
appunto per tali vantaggi, che nell’epoca angioina gli abi-
tatori dei casali, oltre alle collette ed alle altre fiscali im-
posizioni (che non sono state mai poche) soggiacevano a
maggior peso degli altri sudditi del regno, cioè al paga-
mento annuale alla regia Corte di tre tareni.
Politicamente, avevano il privilegio di essere del regio
Demanio : ma tal privilegio, di cui godettero anche sotto
gli Angioini, non fu veramente molto rispettato, e vennero
dati parecchie volte in feudo: alcuni si ricompravano al-
lora col loro denaro in virtù del jus praelationis, ma ciò
non ostante e in barba ai loro reclami, erano riconcessi
in feudo, sopratutto in quell’epoca viceregnale, in cui tanto
denaro fu estorto a Napoli a beneficio dei re spagnuoli.
Al tempo del viceré conte di Monterey, in un momento
di strettezza, fu risoluto vendere tutte le terre demaniali,

(1) Anche per questa ultima rimodernazione non mancò l’epigrafe,
e fu dettata dal can. Francesco Rossi, così: — Ferdinandus II \\Regni
utriusque Siciliae et Hierusal. 7ò?x||P. F. A.\\Nonnullis aedibus solo ae-
quatis\\Viam antehac angustam in ipso mari\\Ex parte stratam\\Amplio-
ribus extendit spatiis\\Ferreis cancellis munivit\\Veterique lapideo ponte\\
Ad exigui huius fauces deiecto\\F erreum posuit\\Quo planior via foret\\
Nec naviculis difficilior aditus\\Pecunia ex publico aerarlo desumpta\\Et
ne portoria fraudarentur\\V ectorias naves\\More dispendiis eliminatisi
Ad ipsam portitorum mensam\\Parvulis Cymbis'\\Merces importare ius-
sit\\Anno MDCCCXXXIX sui IX.
 
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