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Napoli nobilissima — 5.1896

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Colonna di Stigliano, Fabio: Castel Sant'Elmo
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https://doi.org/10.11588/diglit.69898#0185
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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

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non si sa bene perchè, fu arrestato nel luglio del 1741 e
chiuso nelle carceri della Vicaria; poi, dopo tre mesi, in
quelle di Sant’Elmo, dove morì il 12 marzo dell’anno se-
guente (’).
Ma il regno di Ferdinando IV fu invece, com’è noto,
turbato da rivolgimenti profondi, nei quali appunto castel
Sant’Elmo ebbe importantissima parte. Dei castellani di
quest’epoca ricorderò il generale duca di Rebuttone, il cui
nome appare fini dal 1762, e il maestro di campo Fran-
cesco Pignatelli, che gli successe venti anni dopo.
Nel 1793 la venuta nel golfo della flotta francese co-
mandata dal La Touche dette ardire a tutti coloro che
anelavano novità. Nacquero le prime congiure e i primi
arresti seguirono. Nè dee credersi che congiura non vi
fosse stata, perchè nel 1794 s’era fatto un piano completo
per tórre di mezzo la sovranità borbonica; e s’era stabi-
lito di sorprendere con una mano d’arditi i castelli della
capitale, di sollevare il popolo, d’incendiare l’arsenale e
la darsena, e d’approfittar della confusione per cercar di
trucidare la famiglia reale e i magistrati (1 2 3 4 5). Anzi quando
in seguito fu arrestato Luigi de Medici, l’antico favorito
di Maria Carolina, fu imputato tra l’altro d’aver conse-
gnato ai giacobini i rilievi topografici dei castelli (3).
Di coloro che furono arrestati per queste pratiche, pa-
recchi furon chiusi in Sant’Elmo, tra i quali Mario Pa-
gano, Giuliano Colonna di Stigliano, Gennaro Serra di
Cassano, Ippolito Berarducci ed Ettore Carafa d’Andria.
Quest’ultimo, arrestato nel luglio del 1795, riuscì a fug-
gire dalla fortezza tre anni dopo, nell’aprile del 1798. Du-
rante la prigionia conobbe in Sant’Elmo Ferdinando Pepe,
tenente de’ cacciatori, e gli fece parte de’ suoi disegni di
fuga, invitandolo ad aiutarlo. Ma il Pepe, consigliatosi col
fratello Florestano, ricusò l’aiuto; e il Carafa dovette ten-
tare altra via (4). Riuscì a farsi portare dal fratello Carlo
dodicimila ducati (5) : e con questi corruppe alcuni guar-
diani che lo fecero uscire una notte per una porta segreta,
mentre il custode della bandiera del forte, compro anche
esso, aveva appesa una fune alla torre dove s’inalbera lo
stendardo, a simulare una fuga per quella via (6). Ma più
poeticamente di tutti racconta la fuga il Botta, che l’at-

(1) Croce, I teatri di Napoli, Nap. 1891, pagg. 360-361. Vedi an-
che ivi alcuni particolari circa le cause probabili della disgrazia del
Carasale, circa i suoi funerali, e circa il luogo, oggi ignoto, di sua se-
poltura.
(2) Rossi, Nuova luce risultante dai veri fatti accaduti in Napoli po-
chi anni prima del 1799, Firenze, 1890, p. 84.
(3) Rossi, Nuova luce etc., p. 229.
(4) Memorie del generale Guglielmo Pepe, Lugano, 1847, I, 25.
(5) R. Carafa d’Andria, Ettore Carafa conte di Ruvo, Roma, 1886,
p. 16.
(6) Ettore Carafa conte di Ruvo. Relazione del suo cameriere Raf). Fi-
noia, in Arch. Star. Nap., X, 276.

tribuì all’amore onde s’era accesa pel Carafa la figlia d’un
ufficiale del presidio (0.
Fuggito da Sant’Elmo, Ettore Carafa riuscì a raggiun-
gere i Francesi a Milano: e coi Francesi egli dovea l’anno
seguente tornare in patria.
Infatti, giunto in Napoli Nelson, vincitore ad Aboukir,
cominciarono alla corte borbonica quei maneggi segreti
che dovean condurre il Regno alla guerra con la Francia.
Non ricorderò le vicende di quella guerra nello Stato ro-
mano sul finire del 1798: ricorderò solo l’avanzarsi mi-
naccioso dei Francesi contro il Regno. Fu allora che pre-
cipitaron gli eventi: i Giacobini scriveano al generai Cham-
pionnet incitandolo a proseguire innanzi e promettendogli
aiuto; e la famiglia reale, incerta e paurosa, vinta dal ter-
rore, il 21 dicembre s’imbarcava, abbandonando Napoli
alla sua sorte e fuggendo in Sicilia. Restò vicario il gene-
rai Pignatelli, con ordine — si disse — d’incendiar l’ar-
senale e di bombardar Napoli da Sant’Elmo. Cert’è che
Pignatelli non eseguì tutte le istruzioni ricevute, prova ne
sia la pessima accoglienza ch’ebbe dai sovrani quando si
rifugiò anch’egli a sua volta in Sicilia (2).
Priva dei suoi sovrani, Napoli, lacerata dagli opposti
partiti, parve in preda all’anarchia. Intanto, avanzando i
Francesi, il vicario Pignatelli il 12 gennaio 1799 concor-
dava con essi una tregua, cedendo Capua, stabilendo i con-
fini e promettendo che Napoli pagherebbe due milioni e
mezzo di ducati. Sparsasi per la città la notizia, giunti la
sera del 14 i delegati francesi per riscuotere la metà della
somma pattuita, i lazzari e il volgo s’ammutinarono, e
credendo non si cedesse la capitale in mano ai Francesi,
scoppiarono in aperto tumulto. La mattina seguente la
folla disarmava certe truppe ch’eran nel porto, ed arma-
tasi essa a sua volta s’impadroniva successivamente dei
castelli del Carmine, dell’ Ovo e Nuovo. « Ritrovando
alzato il ponte a quello di Sant’Elmo non gli è venuto
fatto; ma il dopo pranzo, non so come, se ne sono resi
padroni egualmente ». Così scrive il diarista Marinelli, che
fu spettatore di quegli avvenimenti, e che registra anche
la voce che lo stesso Pignatelli avesse incitato i lazzari a
quella rivolta (3). E la voce dovea coglier nel segno: come
spiegare altrimenti una sì facile e pronta conquista di quat-
tro fortezze per parte di un volgo malamente armato?
Venuto in potere delle fortezze il popolo si credè so-
vrano. Nominò suoi generali il principe di Moliterno e il
duca di Roccaromana, nominò i comandanti dei quattro

(1) Botta, Storia d’Italia dal 1789 al 1814, Milano, 1854, IV, 128.
Cfr. sul Carafa la monografia di G. Ceci, Ettore Carafa, Trani, 1889.
(2) Diario di Diomede Marinelli, ms. Bibl. Naz. segn. XV C 43-44,
voi. I, f. 401.
(3) Diario citato, I, f. 370.
 
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