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NAPOLI NOBILISSIMA
.Ma anche per la honestità atteso in detta casa dipoi è
stato costrutto detto monasterio hanno habitato studenti preiti
et altre persone senza donne honorate.
.et di continuo se è cantato abballato con viola et altri
istrumenti et cantato ad alta volce senza nullo respecto a diete
venerabili monache.
Item dieta casa have le finestre sopra dicto monasterio et
quod peius tutto quello se ragiona, canta, sona et se responde et
se sente dentro dicto Monasterio.
Inutilmente, infine, le Monache hanno richiesto che non vo-
lessero fare abitare nè studenti, nè altre persone di mala vita,
ma persone honorate e con famiglia.(i).
Ma ogni difficoltà doveva essere superata e nel 1639 si
iniziarono gli acquisti delle case. Più a lungo durò la con-
troversia col monastero della Sapienza, che fu risoluta sol-
tanto nel 1646 con l'arbitrato di due fra i maggiori feuda-
tarii del regno, Tiberio Carafa principe di Chiusano e
Nicola Giudice principe di Cellammare, i quali d'accordo
col Nunzio, Emilio Alferio, vescovo di Camerino, stabili-
rono e la distanza fra le due clausure e l'altezza della nuova
costruzione (2).
Le carmelitane avevano trovate nel Principe di Cellam-
mare un protettore potente. Egli, che aveva nel monastero
tre figliuole: Aurelia, Maria ed Eleonora, e la cognata Eleo-
nora Palagano, non soltanto con la sua autorità di consi-
gliere del Collaterale rimosse gli ostacoli che si oppone-
vano alla nuova costruzione, ma vi provvide generosamente
col suo denaro spendendovi più di settantamila ducati e
assistendo di persona all'opera. Tutto ciò fu riconosciuto
solennemente in un istrumento, nel quale le monache per
contraccambio si obbligarono di far celebrare quattro messe
al giorno, di porre una epigrafe commemorativa nella sala
del Capitolo, di accettare per monaca una quarta figlia del
Principe, e di permettere alla Principessa e alle altre figlie
(ne aveva, come si vede, un bel numero) e a tre matrone
di sua scelta l'entrata nella clausura dodici volte all'anno (3).
Ma altre notizie, e per noi più importanti, risultano da
questo istrumento e dalle polizze di banco che vi sono
alligate. Si assoda prima di tutto in modo indubbio che
nei lavori eseguiti tra il 1643 e il 1654 non fu menoma-
mente toccata la chiesa; ma si attese a ricostruire tutto
il monastero. Ebbe la direzione Francesco Antonio Pic-
chiatti che si servì del maestro muratore Fieramonte Pa-
duano, dei fabbroferrai Antonio de Sio e Fabrizio de Mar-
tino, dello scalpellino Carlo Gadioso, dei mattonari Fran-
cesco Alfiero e Carlo Palmiero e del falegname Giovanni
Antonio Vitagliano.
(1) Monasteri soppressi, voi. 3624.
(2) Ivi, vol. 3605, f. 27.
(3) Ivi, vol. 3610, f. 16 e seg.
I marmorai Pompeo e Antonio Solato lavorarono i
capitelli pel chiostro, e il secondo di essi scolpì una « No-
stra Signora del Carmine posta in opera di mezzo rilievo
sopra la porta della clausura ».
Francesco Antonio Picchiatti aveva intorno a 25 anni
quando si iniziò questa che fu la prima fabbrica impor-
tante da lui diretta. Fino a quel tempo si era educato al-
l'arte sotto la guida del padre, Bartolomeo Picchiatti, fer-
rarese, ingegnere maggiore del regno, il quale fu anche
interrogato e diede forse le prime idee per la costruzione
del nuovo monastero della croce di Lucca. Troviamo in-
fatti che nel 1642 gli si fece un pagamento « a conto della
pianta » 0), ma dopo nei registri appare sempre il nome di
Francesco Antonio: il padre deve essere morto nel 43,
come si argomenta anche dalle cedole della Tesoreria,
che dopo quell'anno non ci danno più notizia di lui (2).
Il giovane architetto che, pur indulgendo allo spirito
del tempo nella ricca ornamentazione plastica, continuava
la tradizione della scuola dei Fontana, nella magnificenza
classica e nella solida struttura degli edifici, riscosse l'ap-
plauso generale. La nuova clausura, prima che le mona-
che vi si trasferissero nel 1649, rimase aperta al pubblico
per qualche giorno e fu « oggetto di stupore » — scrive
un contemporaneo — per quanti la visitarono (3). La ri-
putazione di Francesco Picchiatti fu così definitivamente
stabilita, e gli furono dati da ogni parte nuovi incarichi.
Aveva appena compiuta l'opera della Croce di Lucca (4),
quando nel 1655 fu chiamato a disegnare il nuovo gran-
dioso edificio pel Monte della Misericordia; e mentre ne
sorvegliava l'esecuzione (durata dal 16,8 al 78), ideò l'obe-
lisco di S. Domenico (1658) e costrusse il palazzo del
Monte dei Poveri Vergognosi in via Toledo (trasformato
recentemente in magazzino del Bocconi), il convento di
S. Maria dei Miracoli (1662-75), il campanile di S. Pie-
tro Martire (1665-67). Qual ingegnere regio attese a varie
(1) Ivi, fol. 42.
(2) Archivio di Stato, Cedole della tesoreria, vol. 468, f. 103: « 1640,
31 marzo, a Bartolomeo Picchetti ingegnere maggiore per Sua Maestà
in questo regno due. 427 per suo sostentamento de mesi sette feniti
a ultimo de ottobre 1639 ». — Vol. 471, f. 31 : « 1643, 30 giugno,
a B. P. ecc. due. 244 per suo soldo de mesi quattro finiti a novembre
1642 a ragione de duc. 61 il mese ». — Bartolomeo Picchiatti è ap-
pena nominato dal De Dominici (Vite, III, 393), che gli attribuisce,
sbagliando, la chiesa del Monte della Misericordia, che fu invece opera
del figlio. Bartolomeo si era formato alla scuola dei Fontana, ed era
già a Napoli nel 1612 quando diede i disegni per il solenne funerale
celebrato il 26 e 27 febbraio di quell'anno nel Duomo (cfr. Ottavio
Caputi, Relatione della pompa funerale ecc., Napoli, Longo, 1612) in
onore di Margherita d'Austria. Le principali opere sue furono le chiese
del Monte dei Poveri Vergognosi (1614), di S. Giorgio dei Genovesi
(1620) e di S. Agostino alla Zecca (1641), per le quali vedi Celano,
ed. Chiarini, IV, 316, 356, 373 e Sigismondo, IV, 173.
(3) De Lellis, Supplemento alla Napoli sacra, Napoli, 1654, p. 58.
(4) L'ultimo pagamento fatto dietro il suo benestare è del 26 marzo
1654 al falegname S. A. Vitagliano.
NAPOLI NOBILISSIMA
.Ma anche per la honestità atteso in detta casa dipoi è
stato costrutto detto monasterio hanno habitato studenti preiti
et altre persone senza donne honorate.
.et di continuo se è cantato abballato con viola et altri
istrumenti et cantato ad alta volce senza nullo respecto a diete
venerabili monache.
Item dieta casa have le finestre sopra dicto monasterio et
quod peius tutto quello se ragiona, canta, sona et se responde et
se sente dentro dicto Monasterio.
Inutilmente, infine, le Monache hanno richiesto che non vo-
lessero fare abitare nè studenti, nè altre persone di mala vita,
ma persone honorate e con famiglia.(i).
Ma ogni difficoltà doveva essere superata e nel 1639 si
iniziarono gli acquisti delle case. Più a lungo durò la con-
troversia col monastero della Sapienza, che fu risoluta sol-
tanto nel 1646 con l'arbitrato di due fra i maggiori feuda-
tarii del regno, Tiberio Carafa principe di Chiusano e
Nicola Giudice principe di Cellammare, i quali d'accordo
col Nunzio, Emilio Alferio, vescovo di Camerino, stabili-
rono e la distanza fra le due clausure e l'altezza della nuova
costruzione (2).
Le carmelitane avevano trovate nel Principe di Cellam-
mare un protettore potente. Egli, che aveva nel monastero
tre figliuole: Aurelia, Maria ed Eleonora, e la cognata Eleo-
nora Palagano, non soltanto con la sua autorità di consi-
gliere del Collaterale rimosse gli ostacoli che si oppone-
vano alla nuova costruzione, ma vi provvide generosamente
col suo denaro spendendovi più di settantamila ducati e
assistendo di persona all'opera. Tutto ciò fu riconosciuto
solennemente in un istrumento, nel quale le monache per
contraccambio si obbligarono di far celebrare quattro messe
al giorno, di porre una epigrafe commemorativa nella sala
del Capitolo, di accettare per monaca una quarta figlia del
Principe, e di permettere alla Principessa e alle altre figlie
(ne aveva, come si vede, un bel numero) e a tre matrone
di sua scelta l'entrata nella clausura dodici volte all'anno (3).
Ma altre notizie, e per noi più importanti, risultano da
questo istrumento e dalle polizze di banco che vi sono
alligate. Si assoda prima di tutto in modo indubbio che
nei lavori eseguiti tra il 1643 e il 1654 non fu menoma-
mente toccata la chiesa; ma si attese a ricostruire tutto
il monastero. Ebbe la direzione Francesco Antonio Pic-
chiatti che si servì del maestro muratore Fieramonte Pa-
duano, dei fabbroferrai Antonio de Sio e Fabrizio de Mar-
tino, dello scalpellino Carlo Gadioso, dei mattonari Fran-
cesco Alfiero e Carlo Palmiero e del falegname Giovanni
Antonio Vitagliano.
(1) Monasteri soppressi, voi. 3624.
(2) Ivi, vol. 3605, f. 27.
(3) Ivi, vol. 3610, f. 16 e seg.
I marmorai Pompeo e Antonio Solato lavorarono i
capitelli pel chiostro, e il secondo di essi scolpì una « No-
stra Signora del Carmine posta in opera di mezzo rilievo
sopra la porta della clausura ».
Francesco Antonio Picchiatti aveva intorno a 25 anni
quando si iniziò questa che fu la prima fabbrica impor-
tante da lui diretta. Fino a quel tempo si era educato al-
l'arte sotto la guida del padre, Bartolomeo Picchiatti, fer-
rarese, ingegnere maggiore del regno, il quale fu anche
interrogato e diede forse le prime idee per la costruzione
del nuovo monastero della croce di Lucca. Troviamo in-
fatti che nel 1642 gli si fece un pagamento « a conto della
pianta » 0), ma dopo nei registri appare sempre il nome di
Francesco Antonio: il padre deve essere morto nel 43,
come si argomenta anche dalle cedole della Tesoreria,
che dopo quell'anno non ci danno più notizia di lui (2).
Il giovane architetto che, pur indulgendo allo spirito
del tempo nella ricca ornamentazione plastica, continuava
la tradizione della scuola dei Fontana, nella magnificenza
classica e nella solida struttura degli edifici, riscosse l'ap-
plauso generale. La nuova clausura, prima che le mona-
che vi si trasferissero nel 1649, rimase aperta al pubblico
per qualche giorno e fu « oggetto di stupore » — scrive
un contemporaneo — per quanti la visitarono (3). La ri-
putazione di Francesco Picchiatti fu così definitivamente
stabilita, e gli furono dati da ogni parte nuovi incarichi.
Aveva appena compiuta l'opera della Croce di Lucca (4),
quando nel 1655 fu chiamato a disegnare il nuovo gran-
dioso edificio pel Monte della Misericordia; e mentre ne
sorvegliava l'esecuzione (durata dal 16,8 al 78), ideò l'obe-
lisco di S. Domenico (1658) e costrusse il palazzo del
Monte dei Poveri Vergognosi in via Toledo (trasformato
recentemente in magazzino del Bocconi), il convento di
S. Maria dei Miracoli (1662-75), il campanile di S. Pie-
tro Martire (1665-67). Qual ingegnere regio attese a varie
(1) Ivi, fol. 42.
(2) Archivio di Stato, Cedole della tesoreria, vol. 468, f. 103: « 1640,
31 marzo, a Bartolomeo Picchetti ingegnere maggiore per Sua Maestà
in questo regno due. 427 per suo sostentamento de mesi sette feniti
a ultimo de ottobre 1639 ». — Vol. 471, f. 31 : « 1643, 30 giugno,
a B. P. ecc. due. 244 per suo soldo de mesi quattro finiti a novembre
1642 a ragione de duc. 61 il mese ». — Bartolomeo Picchiatti è ap-
pena nominato dal De Dominici (Vite, III, 393), che gli attribuisce,
sbagliando, la chiesa del Monte della Misericordia, che fu invece opera
del figlio. Bartolomeo si era formato alla scuola dei Fontana, ed era
già a Napoli nel 1612 quando diede i disegni per il solenne funerale
celebrato il 26 e 27 febbraio di quell'anno nel Duomo (cfr. Ottavio
Caputi, Relatione della pompa funerale ecc., Napoli, Longo, 1612) in
onore di Margherita d'Austria. Le principali opere sue furono le chiese
del Monte dei Poveri Vergognosi (1614), di S. Giorgio dei Genovesi
(1620) e di S. Agostino alla Zecca (1641), per le quali vedi Celano,
ed. Chiarini, IV, 316, 356, 373 e Sigismondo, IV, 173.
(3) De Lellis, Supplemento alla Napoli sacra, Napoli, 1654, p. 58.
(4) L'ultimo pagamento fatto dietro il suo benestare è del 26 marzo
1654 al falegname S. A. Vitagliano.