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NAPOLI NOBILISSIMA
Nel Campo di Napoli, l'anno 1140, dopo la capitolazione
della città assediata da Ruggiero normanno, i magnati, i
cavalieri ed i cittadini napoletani uscirono incontro al re
vittorioso e Io accompagnarono nel suo ingresso per Porta
Capuana C).
Questo luogo ancora nel secolo XV era detto Campus
veteris o Campo vecchio.
L'Engenio, il Celano ed altri più recenti, parlando del-
l'origine della parola Carbonara, credono che questo nome
sia nato o perchè vi furono le case di una antica famiglia
detta Carbonara, o perchè vi si facevano i carboni: ma
l'una e l'altra etimologia sono assolutamente erronee.
Nel medioevo quasi tutte le città aveano fuori le loro
mura delle fosse destinate a ricevere le acque luride,
le carogne degli animali ed ogni altra sorte d'immon-
dizia, ed il luogo era detto Carbonario o Carboneto. Così
troviamo nella cronaca di Falcone Beneventano che, nel
1139, il re Ruggiero, avendo presa la città di Troia in
Puglia, ordinò che il cadavere del duca Rainulfo di Pie-
trastornina, suo cognato e nemico, morto pochi giorni
prima, fosse cavato dal sepolcro e gettato fuori della
città nel fosso Carbonario, che era uno stagno fangoso e
putrido (2).
A Napoli il fosso Carbonario era posto nel sito dove
ora sono la strada e la chiesa di S. Giovanni a Carbo-
nara, che da quello presero il nome.
Le mura orientali di Napoli, da questa parte, in tutto il
medioevo sino alla fine del secolo XV, partendo da Ca-
stel Capuano lambivano la piazza de' SS. Apostoli e per
Donna Regina volgevano verso Porta S. Gennaro: tutto
lo spazio fuori di esse si chiamava Piazza di Carbonara
e vi si facevano i giuochi gladiatori e le giostre.
Nella Cronaca di Partenope (3) è così raccontata la isti-
tuzione di questi giuochi:
Como fo ordinato lo loco ad Carbonara.
Et in quello tempo anchora lo ingenioso Poeta (Virgilio) or-
dinao che ogni anno se facesse lo ioco de Carbonara non con
morte de homini come de po è facto: ma esercitare li homini
ali facti de larme; et donavansi certi doni ad quelli, che erano
vincitori. Et hebbe principio lo dicto ioco dal menare de li ci-
trangoli, a lo quale da po successe lo menare de le prete (4) et
(1) « An. 1140. Cives igitur simul cum militibus civitatis foris portam
Capuanam exierunt in campum quem Neapolim dicunt » etc. Falc.
Ben., Cron., ediz. Del Re, I, p. 251.
(2) « Deinde reversi usque ad carbonarium foris civitatem, ubi
stagnum luteum putridumque inerat, Ducis ipsius suffocaverunt cada-
ver ». Falc. Ben., ed. cit., I, 247.
(3) Croniche de la inclita cita de Napole (ed. del 1526), cap. XXVII,
fol. XL.
(4) Questa sarebbe l'origine delle famose petriate, che fino ai prin-
cipii del secolo XIX si usarono in Napoli. L'Arenaccia fu il campo
dei sassaioli, che arrivarono qualche volta fino a duemila tra un par-
tito e l'altro, perchè si sfidavano i diversi quartieri. V'erano individui
po ad macze: ma stavano col capo coperto con bacinetti et ermi
di coiro. Et de po più nanzi venne al tempo di anni MCCC che
quelli chenze iocavano non obstante che se armavano de tutte
arme infiniti ce ne morevano; et è chiamato Carbonaro, in nel
quale loco se solevano gettare le bestie et mondezze.
La Piazza di Carbonara godeva dell'immunità, per la
quale due persone o due brigate potevano battersi fino
all'ultimo sangue; e chiunque fosse stato offeso da un suo
nemico, poteva sfidarlo in questa piazza e vendicarsi dell'of-
fesa senza pena alcuna. Era diventata consuetudine ed era
uno spettacolo, a cui assisteva non solo il popolo, ma
anche i signori ed i principi di sangue reale 0).
Francesco Petrarca, che vide uno di questi giuochi, lo
narra in una lettera al cardinal Giovanni Colonna (2):
.... A pieno giorno, alla vista del popolo, al cospetto del
re, in questa città d'Italia con ferocia da disgradarne i barbari,
si esercita l' infame giuoco dei gladiatori; e come sangue di pe-
core, l'umano sangue si sparge, e, plaudendo 1' insano volgo af-
follato, sotto gli occhi dei miseri genitori si scannano i figli, e
tiensi per disonore l'offerire con ripugnanza la gola al pugnale,
quasi che per la gloria 0 la vita celeste si combattesse. Di tutto
questo inconsapevole, io fui condotto un giorno a certo luogo
vicino la città chiamato Carbonaria: nome veramente acconcio
alla cosa: imperocché quella scellerata officina deturpa e denigra
gli spietati fabbri, che ivi si affaticano sull'incudine della morte.
Era presente la Regina (Giovanna I), presente Andrea, re fan-
ciullo, che di sè promette riuscir magnanimo, se pur riesca a
porsi in capo la contrastata corona: v'erano le milizie di Na-
poli, delle quali invano cercheresti le più attillate e più ele-
ganti: popolo v'era venuto in folla da tutte le parti. A tanto
concorso di genti e a tanta attenzione d'illustri personaggi so-
speso, fiso io guardava aspettando di vedere qualche gran cosa;
quand'ecco come per lietissimo evento, un indicibile universale
applauso s'alza alle stelle. Mi guardo intorno e veggo un bellis-
simo garzone trapassato da freddo pugnale cadérmi ai piedi.
Rimasi attonito, inorridito; e dato di sproni al cavallo, rampo-
gnando l'inganno dei miei compagni, la crudeltà degli spettatori,
la stoltezza dei combattenti, all'infernale spettacolo ebbi volte
le spalle.
così bravi nel tirare di fionda, che dove segnavano con l'occhio ivi
colpivano (Celano, giorn. I.a, 14). Molti vicerè promulgarono pram-
matiche contro la petriata: D. Diego di Mendoza nel 1577, il Conte
di Benavente nel 1606, il Duca d'Ossuna nel 1616, il cardinal Zapata
nel 1622. Ma nel 1625 il Duca d'Alba, più pratico dei suoi predeces-
sori, vedendo che i bandi e le proibizioni non servivano a nulla, fece
arrestare nelle loro case trenta capi sassaioli e li mandò in galera.
Così cessò per qualche tempo la petriata. Ma nel secolo seguente fu
ripreso l'usò, perchè troviamo due prammatiche di Ferdinando IV del
1778 e del 1781 che la vietano e minacciano gravi pene ai trasgres-
sori (v. Giustiniani, Prammatiche, voi. VII, De lapidibus).
(1) « Erat priscis temporibus... in nobilissima civitate Neapolis piena
militibus, armisque fiorentissima, campus pugnatorius appellatus Car-
bonaria, in quo quisque suas offensas et injurias vindicabat impune ».
Paride Del Pozzo, De re militari, lib. I, cap. IV.
(2) Petrarca, Lett. fam., lib. V, lett. 6.a, trad. di G. Fracassetti
(Firenze, Lemonnier, 1892), II, p. 31.
NAPOLI NOBILISSIMA
Nel Campo di Napoli, l'anno 1140, dopo la capitolazione
della città assediata da Ruggiero normanno, i magnati, i
cavalieri ed i cittadini napoletani uscirono incontro al re
vittorioso e Io accompagnarono nel suo ingresso per Porta
Capuana C).
Questo luogo ancora nel secolo XV era detto Campus
veteris o Campo vecchio.
L'Engenio, il Celano ed altri più recenti, parlando del-
l'origine della parola Carbonara, credono che questo nome
sia nato o perchè vi furono le case di una antica famiglia
detta Carbonara, o perchè vi si facevano i carboni: ma
l'una e l'altra etimologia sono assolutamente erronee.
Nel medioevo quasi tutte le città aveano fuori le loro
mura delle fosse destinate a ricevere le acque luride,
le carogne degli animali ed ogni altra sorte d'immon-
dizia, ed il luogo era detto Carbonario o Carboneto. Così
troviamo nella cronaca di Falcone Beneventano che, nel
1139, il re Ruggiero, avendo presa la città di Troia in
Puglia, ordinò che il cadavere del duca Rainulfo di Pie-
trastornina, suo cognato e nemico, morto pochi giorni
prima, fosse cavato dal sepolcro e gettato fuori della
città nel fosso Carbonario, che era uno stagno fangoso e
putrido (2).
A Napoli il fosso Carbonario era posto nel sito dove
ora sono la strada e la chiesa di S. Giovanni a Carbo-
nara, che da quello presero il nome.
Le mura orientali di Napoli, da questa parte, in tutto il
medioevo sino alla fine del secolo XV, partendo da Ca-
stel Capuano lambivano la piazza de' SS. Apostoli e per
Donna Regina volgevano verso Porta S. Gennaro: tutto
lo spazio fuori di esse si chiamava Piazza di Carbonara
e vi si facevano i giuochi gladiatori e le giostre.
Nella Cronaca di Partenope (3) è così raccontata la isti-
tuzione di questi giuochi:
Como fo ordinato lo loco ad Carbonara.
Et in quello tempo anchora lo ingenioso Poeta (Virgilio) or-
dinao che ogni anno se facesse lo ioco de Carbonara non con
morte de homini come de po è facto: ma esercitare li homini
ali facti de larme; et donavansi certi doni ad quelli, che erano
vincitori. Et hebbe principio lo dicto ioco dal menare de li ci-
trangoli, a lo quale da po successe lo menare de le prete (4) et
(1) « An. 1140. Cives igitur simul cum militibus civitatis foris portam
Capuanam exierunt in campum quem Neapolim dicunt » etc. Falc.
Ben., Cron., ediz. Del Re, I, p. 251.
(2) « Deinde reversi usque ad carbonarium foris civitatem, ubi
stagnum luteum putridumque inerat, Ducis ipsius suffocaverunt cada-
ver ». Falc. Ben., ed. cit., I, 247.
(3) Croniche de la inclita cita de Napole (ed. del 1526), cap. XXVII,
fol. XL.
(4) Questa sarebbe l'origine delle famose petriate, che fino ai prin-
cipii del secolo XIX si usarono in Napoli. L'Arenaccia fu il campo
dei sassaioli, che arrivarono qualche volta fino a duemila tra un par-
tito e l'altro, perchè si sfidavano i diversi quartieri. V'erano individui
po ad macze: ma stavano col capo coperto con bacinetti et ermi
di coiro. Et de po più nanzi venne al tempo di anni MCCC che
quelli chenze iocavano non obstante che se armavano de tutte
arme infiniti ce ne morevano; et è chiamato Carbonaro, in nel
quale loco se solevano gettare le bestie et mondezze.
La Piazza di Carbonara godeva dell'immunità, per la
quale due persone o due brigate potevano battersi fino
all'ultimo sangue; e chiunque fosse stato offeso da un suo
nemico, poteva sfidarlo in questa piazza e vendicarsi dell'of-
fesa senza pena alcuna. Era diventata consuetudine ed era
uno spettacolo, a cui assisteva non solo il popolo, ma
anche i signori ed i principi di sangue reale 0).
Francesco Petrarca, che vide uno di questi giuochi, lo
narra in una lettera al cardinal Giovanni Colonna (2):
.... A pieno giorno, alla vista del popolo, al cospetto del
re, in questa città d'Italia con ferocia da disgradarne i barbari,
si esercita l' infame giuoco dei gladiatori; e come sangue di pe-
core, l'umano sangue si sparge, e, plaudendo 1' insano volgo af-
follato, sotto gli occhi dei miseri genitori si scannano i figli, e
tiensi per disonore l'offerire con ripugnanza la gola al pugnale,
quasi che per la gloria 0 la vita celeste si combattesse. Di tutto
questo inconsapevole, io fui condotto un giorno a certo luogo
vicino la città chiamato Carbonaria: nome veramente acconcio
alla cosa: imperocché quella scellerata officina deturpa e denigra
gli spietati fabbri, che ivi si affaticano sull'incudine della morte.
Era presente la Regina (Giovanna I), presente Andrea, re fan-
ciullo, che di sè promette riuscir magnanimo, se pur riesca a
porsi in capo la contrastata corona: v'erano le milizie di Na-
poli, delle quali invano cercheresti le più attillate e più ele-
ganti: popolo v'era venuto in folla da tutte le parti. A tanto
concorso di genti e a tanta attenzione d'illustri personaggi so-
speso, fiso io guardava aspettando di vedere qualche gran cosa;
quand'ecco come per lietissimo evento, un indicibile universale
applauso s'alza alle stelle. Mi guardo intorno e veggo un bellis-
simo garzone trapassato da freddo pugnale cadérmi ai piedi.
Rimasi attonito, inorridito; e dato di sproni al cavallo, rampo-
gnando l'inganno dei miei compagni, la crudeltà degli spettatori,
la stoltezza dei combattenti, all'infernale spettacolo ebbi volte
le spalle.
così bravi nel tirare di fionda, che dove segnavano con l'occhio ivi
colpivano (Celano, giorn. I.a, 14). Molti vicerè promulgarono pram-
matiche contro la petriata: D. Diego di Mendoza nel 1577, il Conte
di Benavente nel 1606, il Duca d'Ossuna nel 1616, il cardinal Zapata
nel 1622. Ma nel 1625 il Duca d'Alba, più pratico dei suoi predeces-
sori, vedendo che i bandi e le proibizioni non servivano a nulla, fece
arrestare nelle loro case trenta capi sassaioli e li mandò in galera.
Così cessò per qualche tempo la petriata. Ma nel secolo seguente fu
ripreso l'usò, perchè troviamo due prammatiche di Ferdinando IV del
1778 e del 1781 che la vietano e minacciano gravi pene ai trasgres-
sori (v. Giustiniani, Prammatiche, voi. VII, De lapidibus).
(1) « Erat priscis temporibus... in nobilissima civitate Neapolis piena
militibus, armisque fiorentissima, campus pugnatorius appellatus Car-
bonaria, in quo quisque suas offensas et injurias vindicabat impune ».
Paride Del Pozzo, De re militari, lib. I, cap. IV.
(2) Petrarca, Lett. fam., lib. V, lett. 6.a, trad. di G. Fracassetti
(Firenze, Lemonnier, 1892), II, p. 31.