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Ojetti, Ugo [Hrsg.]; Palazzo Pitti [Mitarb.]
La pittura italiana del Seicento e del Settecento alla mostra di Palazzo Pitti — Milano [u.a.]: Bestetti e Tumminelli, 1924

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16

IL NEOCIN-
QUECENTISMO
DEI CARRACCI.

e non ancora bloccata. Ma per il resto d'Italia le cose volgevano a male, se ne togli l'eremo urbinate dove
il Santo Padre nel deserto Federico Baroccio, coltivava una varietà a striature, iridescenze e cangianti delle
rose correggesche. A Roma i dogmi delle Stanze e della Sistina avevan cambiato il mistero e la terribilità
della rivelazione in una volgarizzazione meccanica e semplicista da predicozzo domenicale: e non era certo
il Cavalier d'Arpino che, venendo su nel tramonto dello Zuccari o di Siciolante, del Muziano e del Poma-
rancio, poteva portare spunti di liberazione e di rivoluzione. A Genova Bernardo Castello o Lazzaro Ta-
varone si stavano persuadendo di poter vivere ancora sulla eredità di Luca Cambiaso; e G. B. Paggi, tor-
nando da Firenze, non poteva importarvi che Cigoli e Passignano. Milano si alimentava alla meglio dalla
provincia e con importazioni bolognesi. Napoli dopo l'incursione vasariana stava preparando il Corenzio e il
Santafede. A Bologna partito da poco il Pellegrini e stando per arrivare il Calvaert i destini dell'arte sono
nelle mani e nella bottega di Prospero Fontana. E a Firenze, accanto all'incorreggibile secondo Bronzino e
allo spaesato Ligozzi, raduna tutte le fila della pittura e le dipana, con serietà compunta, in mezzo agli uni-
versali sbadigli, Santi di Tito.
Tiziano giocando sul suo nome lo chiamava Santi di Tiritititoto Matitatoio. Come spiritosaggine non
era davvero un gran che: ma come giudizio critico era perfetta. E poteva anche valere per molti altri di
quelli che abbiamo su detti.
2. - Il primo tentativo serio di uscire dal chiuso, fuggire 1' aria colata e riprendere il cammino in
libertà fu compiuto, come è ben noto, a Bologna dai Carracci. E quello fu anche il primo movimento co-
sciente di reazione, di contro corrente che si possa notare nella storia dell' arte italiana. Fino allora gli
artisti o avevan sentito se stessi inferiori all'ultimo limite precedentemente raggiunto dall'arte, e compiangevano
la ingratitudine dei tempi, senza tentare una difesa, abbandonati a un sereno fatalismo stilistico, come gli ultimi
seguaci giotteschi e financo il Ghiberti ; o si sentivano superiori e in progresso, candidi da ogni dubbio che
la « maniera moderna » non fosse in tutto migliore dell'antica. Questa volta invece coi Carracci, la situazione
psicologica è un'altra: c'è nell'aria un preciso senso di inferiorità e di decadenza, ma complicato e lievitato
da spiriti di fede e di riscossa.
Sarebbe stato un ottimo punto di lancio. Il male fu che essi si collocarono volontariamente in una
posizione storica di netta dipendenza dalla posizione critica di tutto il cinquecento. Essi cioè accettavano la
concezione vasariana degli sviluppi dell'arte, che era, lo abbiamo già accennato, di progresso continuo da uno
stadio rozzo e d'infanzia a uno stadio di perfezione quasi assoluta, nuovamente raggiunta per miracolo dopo
la catastrofe barbarica dell' arte classica ; con I' accenno, non troppo forzato in verità, di una dialettica tra
trecento e quattrocento, spirito e forma, risoluta nella superiore realizzazione cinquecentesca. Il guadagno critico che
essi facevano sopra la concezione vasariana, imperniata sul puro asse fiorentino Giotto, - Michelangiolo — Raffaello,
era di accogliere alla pari con quelli fiorentini e romani i risultati della tradizione veneta e del Correggio.
Accettare questa valutazione degli ultimi tre secoli d'arte era negarsi a priori la possibilità di ulteriore
creazione, e porsi in stato di perpetua discepolanza. Siamo perfettamente d'accordo che se nei cervelli dei tre,
fratelli e cugini, fosse mai scoccata la folgore di una nuova idea artistica, tutto il castello preconcetto delle
possibilità dell' arte con i suoi limiti scolastici sarebbe miseramente crollato ; ma, a come andaron le cose,
anche a non volere insistere troppo sul loro famoso eclettismo di programmarla concezione critica dei Carracci
non può esser trascurata interpretando la loro arte. Essi avevano la sensazione, non chiara intellettualmente
ma vivacissima con gusto, della realtà di uno stile plastico di Michelangiolo, spaziale di Raffaello, chiaroscurale
di Correggio, coloristico di Tiziano. E non volevano rinunziare a nulla; cioè faceva loro difetto la persuasione
che ogni grande stile è esclusivo d'altri. Leonardo non intende Botticelli, Tiziano e Michelangiolo s' incontrano
e non si capiscono. Credere possibile la coesistenza di modi espressivi tanto dissimili, anzi l'agognarne il connubio
e la congiunzione, era perdere il senso della necessità unitaria dell'arte e ridursi alla concezione, manifestamente
 
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