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Ojetti, Ugo [Editor]; Palazzo Pitti [Contr.]
La pittura italiana del Seicento e del Settecento alla mostra di Palazzo Pitti — Milano [u.a.]: Bestetti e Tumminelli, 1924

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della sua arte sono molto oscure. Fu mai a Roma? Conobbe, come dicono i biografi, le opere del Rosa e
ne imparò? Ebbe contatti col Magnasco? Non mi meraviglierei se col tempo si chiarisse che la sua influenza
si estese fino al Pannini e al Piranesi. La visione romantica dell'antico e delle anticaglie, che avrà il suo
poema nelle stampe piranesiane, ha già il suo primo canto nel quadro di Vicenza; per il quale si afferma
senza prove la collaborazione dello zio Sebastiano, con quella curiosa mania di metter sempre un pittore di
figure accanto a un prospettico o a un paesista perchè gli ci faccia le macchiette: e viceversa. La scipita
novelletta continua a esser ripetuta con candore immutabile dal Carracci al Canaletto. Il Ricci è nelle sue
pitture nella linea di sviluppo del Rosa e del Magnasco, ,se pure anche le relazioni sue con quest'ultimo,
meglio indagate, non ci preparano delle sorprese: e dà cose squisite di tocco. Accanto qualche altro si pose
al genere come il fiero Marieschi, che irretisce dentro troppo schema lineare la sua visione originale di chia-
roscuro; o il Visentin molto meno interessante. Ma poco dopo il Canaletto e il Guardi fanno rientrare il
« genere » nell' eliso della grande arte.
4. - Credo che l'importanza del Magnasco, forse storica certo di sintomo, nei rispetti della forma-
zione della pittura settecentesca sia difficilmente esagerabile. Egli porta alle estreme conseguenze quel colo-
rismo di pennellata veneto che risaliva, lo abbiamo detto parecchie volte, su su fino a Tiziano vecchio. La
pennellata finisce col predominare su tutto e costruire col suo tocco forma e colore a un tempo. Siamo net-
tamente alla pittura di macchia.
C'erano stati naturalmente dei precedenti. Feti e Strozzi avevan mostrato le possibilità del « tocco »
pur soggiogato ancora a superiori intendimenti formali. Più oltre erano andati Salvator Rosa nelle sue bat-
taglie; Luca Giordano in certi pezzi di bravura più felice; alcuni grandi affrescatori con l'abitudine di buttar
giù in celeri bozzettoni il caldo delle loro immaginazioni, che da abitudine era riuscita poi a modo d'arte
autonomo e per se stante; e infine proprio un genovese, Valerio Castello degli ultimi anni.
Bisogna riconoscere tuttavia che tutto questo era causale o non tenuto in conto, e spesso immaturo o
impuro: come la macchia del Rosa ritrovata in fondo a certe sue intenzioni naturalistiche, o quella di Luca
o dei frescanti, che c'erano forse arrivati per caso nella furia di tirar via. Il Magnasco fu il primo che la
realizzò in uno stile di totale purità.
Vorremmo contrastare a quelli che stimano la macchia capriccio, divagazione, dissoluzione di forma,
improntitudine veristica. La macchia come tutti gli stili autentici è costruzione e sintesi, anche se le sue prime
apparenze consigliassero a dire di no. Essa indaga le forme fino a una sottilizzazione acre di analisi, è vero;
le permea in tutti i meandri e in tutti i pori, ma non si ferma a questo punto per la trascrizione pun-
tuale della realtà. Questo fanno gli Olandesi di second'ordine, non i nostri. La macchia, che è italiana, ol-
trepassa l'analisi della forma, si esaspera fino a un disfacimento delle cose, ma poi le riassume e le ricom-
pone originalmente in aspetti nuovi. Si potrebbe pensare alle figurazioni irreali create dal raggelo nelle acque
mosse. Lo stile di macchia è persuaso che il mondo è moto, che il moto di continuo disfà e rifà gli
aspetti delle cose, che ogni istante della vita è una creazione eterna. Ogni istante può esser quindi fermato in
un aspetto eterno di arte.
Qui è la radice della impressione d'ininterrotta creazione fantastica che dà il Magnasco. Le emersioni
e le sommersioni improvvise della luce nell'ombra sono per affermare la vitalità dell'attimo. Dalla visione per
« macchia » in lui tutto deriva: macchia di forma di chiaroscuro di colore. Le linee vi si sottomettono, le
anatomie vi si piegano. Se la forma ha volontà di resistervi si frantuma e va in pezzi: peggio per lei. Le
masse bisogna si assottiglino per sottostare a tutti i suoi brii e a tutte le sue volubilità; che i chiari e gli
scuri non aspirino mai a una organizzazione logica di illuminazioni sistemate; che il colore sbocci come può,
fiore improvviso, senza pensare di potersi mai assestare in una composizione cromatica di larga base. L'u¬
manità sembra vista attraverso le deformazioni caricaturali e canzonatorie di Callot; le architetture preferiscono,

LA PITTURA
DI MACCHIA:
ALESSANDRO
MAGNASCO E
LO SPAGNOLO
 
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