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Ojetti, Ugo [Hrsg.]; Palazzo Pitti [Mitarb.]
La pittura italiana del Seicento e del Settecento alla mostra di Palazzo Pitti — Milano [u.a.]: Bestetti e Tumminelli, 1924

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A VENEZIA:
IL PIAZZETTA.

A Napoli il De Mura continua il Solimena con dignità e nobiltà, schiarendosi e alleggerendosi un
poco sulle tracce di Luca Giordano, fastoso sempre nelle sue gran macchine architetturali che erano anche
nel Solimena di provenienza cortonesca e romana. Accanto non diversamente operava il Giaquinto, pur con
una sua personalità: dialetti della stessa lingua. E sperperava invece le ricchezze della scuola in una volga-
rizzazione di mestierante Sebastiano Conca. Più abile e più fortunato di lui il Bonito si salvò dagli affreschi
nei quadri di cavalletto. Scene di vita contemporanea, spiranti tanta napoletanità quanta venezianità quelle
di Pietro Longhi. Ma anche in linea puramente pittorica, esse valgono e meritan d'aver buon nome per un
colorismo che viene dal Solimena, più concentrato e vigilato.
A Bologna la grande tradizione scenografica dei Mitelli e Colonna e della dinastia dei Bibbiena dà
il suo ultimo frutto, di una squisitezza rara, nel Bfgari, che trasporta l'interesse dai lanci di prospettiva monu-
mentale alle fantasiose illuminazioni tra di fiaccola e di luna, nei suoi interni che sono una « mille-e-una-notte »
architettonica. E i Gandolfi sceneggiano senza limiti e senza impacci avventure sacre e profane per più
volte che possono.
A Genova Domenico e gli altri Parodi, e altri ancora, settecentizzano con brio fragile gli schemi di
Domenico Piola e di Gregorio De Ferrari. Come i napoletani, coltivano specie e varietà di un genere patrio
e provinciale, spesso con piacevolezza, a volte trasandati. In Piemonte, dove la pittura ha sempre poco at-
tecchito, il Beaumont, formatosi a Roma, e forse sugli esempi dei napoletani capitati lassù, piglia una parlata
peninsulare: e la scuola numerosa ribalbetta la lezione appresa. A Milano non c'è, appena, che da salvare
il nome del Londonio, georgico di qualche solidità, e del Traballesi frescante tardo senza novità, se anche
con grazia. E a Firenze? Ahimè! Se anche volessimo ricordare il Ferretti o il Gherardini non ci sarebbe
da ricavarne troppa soddisfazione.
3. - Rimane il Veneto. Facciamo qualche nome del territorio, magari ottimo come quello di G. B.
Lampi, ritrattista aulico di principi a Vienna, a Pietroburgo, a Varsavia, a Parigi; di Giambettino Cignaroli,
dolce ma qualche volta dolciastro pittore di madonne a Verona; dell'altro veronese Rotari, assennato pittore di
bellezze casalinghe, e che a lungo operò anche in Russia: e affrettiamoci alla laguna. Troveremo dei giganti.
Primo il Piazzetta. L'unico severo e contenuto tra questi settecenteschi. Fu a Bologna sotto lo Spa-
gnolo; gli piacque il Guercino, e traverso i due potè sentire l'incanto delle nude evidenze di costruzione chia-
roscurale caravaggesca, che in patria ritrovava poi, se voleva, anche nel Lys: anzi della corrente caravag-
gesca di Venezia fu la risoluzione suprema. E vorrei anche ricordare quello che dice qualche vecchio biografo,
che egli era figlio di uno scultore di statue in legno, e ne' tempi primi di fantasia facilmente impressionabile,
aveva a lungo osservati intorno a quelle statue paterne gli effetti de' lumi: mi pare che si arriverebbe a com-
prendere meglio certe squadrature secche di alcune sue forme, come in una materia restia, che solo una austera
dolcezza di colore fa soavi. Il caravaggismo gli arrivava depurato delle sue cupe violenze traverso i filtri vene-
ziani di un secolo di colore. Ed egli sembra voler riconciliare proprio nella sostanza del colore la luce e
l'ombra. Vela i lumi di biondori e di gialletti e di rosati assai generosi, quasi li spenge in certi lividori di
oliva; riscalda gli scuri di molti bruni rossigni e bruciati: e qua e là fa scoppiare chiazze di lacche azzurre,
verdi, rosse, che basterebbero a rivelarcelo erede del Carpaccio e dei Bellini. Tanta è la giusta misura delle
conciliazioni e degli accordi trovati, tra luce e ombra, in quelle zone smorte e neutre, careggiate dal pen-
nello grasso, che la sua composizione coloristica risulta spesso della più alta sonorità. Una volta ebbe ad
affrontare il problema di una decorazione di soffitto a San Giovanni e Paolo; e lanciò un robustissimo ponte
tra lo Spagnolo e il Tiepolo.
Molti furon quelli che subirono la sua influenza. Se è appena da ricordare il Maggiotto, ben migliore
fu il Todeschini che in certe sue cose trova espressioni alla pari con la nostra sensibilità moderna (ed in questo
vicino ed eguale gli fu il quasi ignorato Ceruti); e ottimo il Cappella bergamasco, di fantasia decorativa paolesca.
 
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