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un pitocco su uno scalino, un palone che pencola, una vela che s'affloscia, un pontile crollato, trova accenti
di una disinvoltura briosa che meraviglia, se uno non ha posto mente a quel che c'è di vivido e di com-
presso nella spianatura e appiattimento dei suoi scenari di case. Quando egli può allargare la veduta a scena
è, nelle sue folle, pittore di tocco e di macchia pronto e improvviso, come era fatale a Venezia accanto al
Tiepolo, dopo Marco Ricci e il Magnasco.
Il Bellotto nipote svolse l'arte del Canaletto su tutto nel senso prospettico: anche i suoi cieli e le
sue arie senza fumi sono spesso terse e tese come una convergenza di linee. Finì qualche volta nella sceno-
grafia. Ma a volte, in certi paesaggi e vedute di città, ritrovò entro un chiarore lunare la granulazione respi-
rante della materia pittorica dello zio: e dette allora cose in tutto soddisfacenti e belle.
Il Guardi invece compie il miracolo di sciogliere la prospettiva in movimento. I suoi tagli di quadro
sono più audaci che nel Canaletto, e, per quel che possono e gli consente la materia che tratta, stanno
dietro alle audacie tiepolesche. La sua composizione è sempre fuori centro, con sbilancio di masse da un lato,
che gravitano con tutto il loro peso e i loro groppi irregolari, non assestati dentro i canaloni geometrici e
squadrati della visuale troppo organizzata. Mentre il Canaletto tende sempre a unificare le masse architet-
toniche individue di palazzi e case nella più lata architettura complessiva della città, il Guardi risolve il con-
glomerato cittadino nei suoi elementi singoli: casa per casa. Se c'è una rientranza lui la persegue di linee e
d'ombre ricacciandola più in fondo che può: se c'è una sporgenza le dà più che può spinta di risalto. Gode
nell'accentuare i dislivelli e le sperequazioni di tetti e di gronde, d'accovacciare la casupola accanto al pa-
lazzo, di far piombare uno spigolo all'improvviso, nel vuoto. Quando ha individuate così, a una a una, le
sue plaghe pittoriche egli insiste dentro ognuna, la fruga, la tormenta più fitto che gli riesce: la descrive per
minuto con una calligrafia aggrovigliata e arricciata, fatta di segni che non sono più linee e già aspirano a
tramutarsi in tocchi, l'empie di brivido e di brulichio in ogni mattone. E ad aumentare l'intrico e la fra-
staglia tutto gli serve e adopera: un tendaggio e una pergola, una gomena e un'altana, una bandiera e una
pertica, una vela e un ciuffo di cespuglio.
Attenua le demarcazioni tra l'acqua e le murature, tra le murature e il cielo; e le muta in passaggi
attuati per mezzo del colore, imparentando le forme diverse, senza barriere di linee, nella identità della loro
sostanza. Così i contorni, non mai decisi, sempre sul punto di stabilizzarsi ma non ancora fissi, aiutano, in-
vece di ostacolare, la propagazione del moto. Così come aiuta la luce. Essa, dopo aver costruito il quadro
con le sue masse di chiaro e di scuro, vi danza dentro, tocca sugli aggetti accendendovi facelle ; rimbalza,
una dopo l'altra, su cento minime prominenze d'uomini e di cose, teste, prue, onde, colmigni, remi, sciacqui,
spigoli,, fusti; sbatte in pieno contro una facciata protesa o distesa a incontrarla, vi suscita una gloria, e si
ripercuote indietro, frantumata e polverizzata, a riempire di riflesso le cavee d'ombra. Cosicché uomini e cose
sembrano, senza tregua, palpitare de' battiti di un lucicchi'o d'acque specchiate.
La sua materia pittorica è ricca di sostanza: come da due secoli Venezia insegna. Crea la super-
ficie delle cose scabra e rugosa, come la superficie degli alberi è corteccia. Ama le basse tonalità di colore
caldo: blu giandarme, oro vecchio, rosa sfatto, con guizzi di lacca. E arrivato a costruire vedute di laguna
solidissime con due tinte sole, azzurro e bianco-grigio: ma quando ha da sfaccettare i mille prismi di una
folla gioca di lampi e scoppiettìi di colore, anche vivissimi, a paragone dei suoi battiti di lumi. Il pennello
posa indicibilmente, colore e forma, con un tocco solo, nudo e maestrevole. Le sue minime figure sembrano
ritagliate in una colata unica di impasto, come in un foglio si ritaglia una siluetta. Sono schiette, leggere e
corpose senza rotondità, come una scheggia di legno verde: scaglie di colore. E tanta è la freschezza di
quel colore, che si aspetta quasi che da esso emani un profumo, come dalle scaglie di una pianta resinosa.
Grande quanto il Tiepolo, in maniera diversissima dal Tiepolo, come il Tiepolo egli dà una sintesi,
che è una trasfigurazione, delle due tendenze del secolo. Dopo, non c'è più nulla da fare. Se mai, da disfare.
un pitocco su uno scalino, un palone che pencola, una vela che s'affloscia, un pontile crollato, trova accenti
di una disinvoltura briosa che meraviglia, se uno non ha posto mente a quel che c'è di vivido e di com-
presso nella spianatura e appiattimento dei suoi scenari di case. Quando egli può allargare la veduta a scena
è, nelle sue folle, pittore di tocco e di macchia pronto e improvviso, come era fatale a Venezia accanto al
Tiepolo, dopo Marco Ricci e il Magnasco.
Il Bellotto nipote svolse l'arte del Canaletto su tutto nel senso prospettico: anche i suoi cieli e le
sue arie senza fumi sono spesso terse e tese come una convergenza di linee. Finì qualche volta nella sceno-
grafia. Ma a volte, in certi paesaggi e vedute di città, ritrovò entro un chiarore lunare la granulazione respi-
rante della materia pittorica dello zio: e dette allora cose in tutto soddisfacenti e belle.
Il Guardi invece compie il miracolo di sciogliere la prospettiva in movimento. I suoi tagli di quadro
sono più audaci che nel Canaletto, e, per quel che possono e gli consente la materia che tratta, stanno
dietro alle audacie tiepolesche. La sua composizione è sempre fuori centro, con sbilancio di masse da un lato,
che gravitano con tutto il loro peso e i loro groppi irregolari, non assestati dentro i canaloni geometrici e
squadrati della visuale troppo organizzata. Mentre il Canaletto tende sempre a unificare le masse architet-
toniche individue di palazzi e case nella più lata architettura complessiva della città, il Guardi risolve il con-
glomerato cittadino nei suoi elementi singoli: casa per casa. Se c'è una rientranza lui la persegue di linee e
d'ombre ricacciandola più in fondo che può: se c'è una sporgenza le dà più che può spinta di risalto. Gode
nell'accentuare i dislivelli e le sperequazioni di tetti e di gronde, d'accovacciare la casupola accanto al pa-
lazzo, di far piombare uno spigolo all'improvviso, nel vuoto. Quando ha individuate così, a una a una, le
sue plaghe pittoriche egli insiste dentro ognuna, la fruga, la tormenta più fitto che gli riesce: la descrive per
minuto con una calligrafia aggrovigliata e arricciata, fatta di segni che non sono più linee e già aspirano a
tramutarsi in tocchi, l'empie di brivido e di brulichio in ogni mattone. E ad aumentare l'intrico e la fra-
staglia tutto gli serve e adopera: un tendaggio e una pergola, una gomena e un'altana, una bandiera e una
pertica, una vela e un ciuffo di cespuglio.
Attenua le demarcazioni tra l'acqua e le murature, tra le murature e il cielo; e le muta in passaggi
attuati per mezzo del colore, imparentando le forme diverse, senza barriere di linee, nella identità della loro
sostanza. Così i contorni, non mai decisi, sempre sul punto di stabilizzarsi ma non ancora fissi, aiutano, in-
vece di ostacolare, la propagazione del moto. Così come aiuta la luce. Essa, dopo aver costruito il quadro
con le sue masse di chiaro e di scuro, vi danza dentro, tocca sugli aggetti accendendovi facelle ; rimbalza,
una dopo l'altra, su cento minime prominenze d'uomini e di cose, teste, prue, onde, colmigni, remi, sciacqui,
spigoli,, fusti; sbatte in pieno contro una facciata protesa o distesa a incontrarla, vi suscita una gloria, e si
ripercuote indietro, frantumata e polverizzata, a riempire di riflesso le cavee d'ombra. Cosicché uomini e cose
sembrano, senza tregua, palpitare de' battiti di un lucicchi'o d'acque specchiate.
La sua materia pittorica è ricca di sostanza: come da due secoli Venezia insegna. Crea la super-
ficie delle cose scabra e rugosa, come la superficie degli alberi è corteccia. Ama le basse tonalità di colore
caldo: blu giandarme, oro vecchio, rosa sfatto, con guizzi di lacca. E arrivato a costruire vedute di laguna
solidissime con due tinte sole, azzurro e bianco-grigio: ma quando ha da sfaccettare i mille prismi di una
folla gioca di lampi e scoppiettìi di colore, anche vivissimi, a paragone dei suoi battiti di lumi. Il pennello
posa indicibilmente, colore e forma, con un tocco solo, nudo e maestrevole. Le sue minime figure sembrano
ritagliate in una colata unica di impasto, come in un foglio si ritaglia una siluetta. Sono schiette, leggere e
corpose senza rotondità, come una scheggia di legno verde: scaglie di colore. E tanta è la freschezza di
quel colore, che si aspetta quasi che da esso emani un profumo, come dalle scaglie di una pianta resinosa.
Grande quanto il Tiepolo, in maniera diversissima dal Tiepolo, come il Tiepolo egli dà una sintesi,
che è una trasfigurazione, delle due tendenze del secolo. Dopo, non c'è più nulla da fare. Se mai, da disfare.