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Ojetti, Ugo [Editor]; Palazzo Pitti [Contr.]
La pittura italiana del Seicento e del Settecento alla mostra di Palazzo Pitti — Milano [u.a.]: Bestetti e Tumminelli, 1924

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Si può con facilità pensare con quali mezzi d'arte il Tiepolo dia vita a questo mondo. Nelle forme
c'è un fremito continuo, che è l'indizio della creazione non ancora acquietata, ma forse anche della disso-
luzione che incomincia. Tanta è la vibrazione del moto, e tanto è il moto preannunziato, se non ancora in
atto, in ogni parte dei suoi dipinti, che anche i quadri più affollati e stipati sono ariosi e respiranti come i
suoi cieli più liberi. La molteplicità anche affastellata non perde la chiarezza. Ogni spazio occupato è sempre
sul punto di farsi vuoto. Le architetture sono non collocate, ma prese e trascinate nei transiti delle linee pro-
spettiche, che razzano via nelle profondità o muovono i primi avvolgimenti di un mulinello. L'umanità sciama
come uno stormo: trova senza sforzo una sistemazione spontanea, che durerà quel che durerà, nei più impre-
vedibili tagli de' campi. Oltre l'ultimo limite che serra la scena c'è sempre uno sfondo di luce, ad annun-
ziare che il mondo non è finito. E il colore, lietissimo e fresco, come fresco e lieto è il moto, rischiarato
anche nelle ombre, par quasi di continuo fermentare come in un sobbollimento. Splende in un gaudio di iride.
Ha la vita di quello grasso, e denso sulle ali delle larghe farfalle, quando esse lo sventagliano nel volo. Se
qualche volta si rafferma e raggela diventa smalto di gemma, come è di qualche suo bozzetto.
Questa intima energia potenziale permane anche quando il Tiepolo sembra trovare calma e bonaccia
in ampie pale d'altare, di cui ne ha perfino di quelle che paion desunte da schemi pacati del Veronese, e
dove ritornano anche volumi e squadrature piazzettesche. Poiché egli riesce con facilità a toccare tutti gli
estremi, imponendo il suo stile e non ricevendo mai imposizioni: dal soffitto di Wiirzbourg può passare al
Consilium in Arena, dal Calvario di Sant'Alvise o dal Trionfo d'Anfitrite alla Assunzione di Vicenza. Ab-
biamo detto che egli è la conclusione anticlassica dei movimenti rivoluzionarii di due secoli di pittura. Si
può aggiungere che in lui le due correnti sostanziali di tutto il settecento, accennate sopra, trovano la sin-
tesi che le pacifica e le esaurisce. Dopo, non c'è più nulla da fare. Se mai, da disfare.
Bisogna scrivere qui anche il nome del figlio Gian Domenico. Egli è tutto nella direttiva paterna,
con più lentezza, opacità, pesantezza, e qualche volta stanchezza e rilassamento. Eppure, spesso, autore di
cose quasi di prim'ordine: tanta era la forza della sua semenza.

LA CONCL USIO-
NE ANTICLAS-
SICA DELLA
PITTURA ITA-
LIANA: IL CA-
NALETTO E IL
GUARDI.

5. - E accanto, con resultati intimamente analoghi e connessi, sebbene attuati in opere le più distanti, ci
sono il Canaletto e il Guardi. Il Canaletto d'un quindici anni più anziano fu a Roma da giovane. Vide il Pan-
nini, ma non so che cosa questi, quasi suo coetaneo, avrebbe potuto insegnargli che non fosse già nella tradi-
zione patria riassunta ultimamente dal Carlevaris e dal Ricci. Ed erano poi due visioni diverse. Nel Canaletto
non c è scenografia: egli si profonda tutto nel paese, e lì tra acque, pietre e cieli, ritrova la sua pittura, fresca
come le cose nate allora.
Legato alla tradizione dei suoi vecchi, costretto alla «veduta », che il pellegrino innamorato vuol
portare con sè, il fondo della sua concezione è indubbiamente di prospettiva lineare; che investe la massa
delle cose perpendicolarmente o secondo una saggia angolarità di quinta; che lo vince dapprima anche in
opere di pura fantasia come l'« Atrio di Palazzo»; e sarebbe stato indubbiamente, duecent'anni avanti, un ot-
timo scolaro del Carpaccio. Ma troppo intorno a lui tutta Venezia gridava colore; ed egli, sopra a quella
prospettiva scritta e lineata, non plasticata come negli scenografi, versa e tramezza l'atmosfera lagunare. Del
colore questa fu la rivincita.
Trovò in essa un ammorbidimento alle secchezze di spigoli e un addolcimento di fusioni al troppo
rigido delle parallele di linee, e vi trovò il veicolo della luce, che a volte ristagna nell'aria, fatta prigioniera
dei vapori umidi, come un velario tra noi e la veduta delle cose. La vita delle pietre bionde, nella luce, su
la distesa dell'acque, tra salsedini di mare e fiati di laguna, fu il tema dominante della sua pittura. Le sue
paste sottilizzate come un' epidermide, e com'essa porose e piene di raggricci, com'essa setacee anche nelle
rugosità striate lievissimamente dal pennello, riempirono come tessuti viventi i riquadri dei telai disegnativi.
Ma per le cose minute che la prospettiva non inquadra nei suoi ranghi, una gondola che guizza,
 
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