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Rosa, Salvatore
Satire — Amsterdam, [1695] [Cicognara, 1038]

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https://doi.org/10.11588/diglit.27075#0130
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Che se di fame non auvien , ch’Jo muoia ;
Come già fece alPEpirota Pirro,
Un Tegolo anche à me uvol far da Boia ,
Per i debiti, al Cor porto uno Scirio.■
E quindi al mio mantel cadde ogni pelo ,
Per l’orrendo timor, ch’hebbe d’un Birrsr.
Tu conosci, Signor, senz’ alcun velo
Ea mia necessità : dunque il soccorso
Fà, che veloce à me scenda dai Cielo.
In quella guisa alle preghiere il corso
Dava colui la ne’Paesi Greci
Di quel silo Dio tarlato avanti il torio »
Mà di venti parole, apena dieci
Distinte proferia, perche la fame
Gii faceva mangiar mezze le Preci.
Ogni dì quelle voci afflitte, e grame
Replicava al suo Dio; mà poi s’accorse ,
Che poteva per lui, viver di Ararne.
In tal disperatione indi trascorse,
Che quell’Idol, che ognor l’havea deluso j
Con un Battone à scongiurar ricorse .
Spezzolo, e vi trovò molt’oro incluso
Che già un’Avaro, coll’usura, e’1 censo s
Havea rubato, e ve l’havea racchiuso.
Pria dubitò d’vn’illusion del senso ;
Mà chiaritosi poi, gridò : la mazza
Hà fotto quel, che non potea Pio censo.
Invid ia, un Nume sei di questa razza :
Non speri alcun da te cavar profitto.
Se il capo, ò il t’esgo non ti spezza, ò spazza •
Di quel, ch’ha; fatto in Corte ognuno hà serii''
Oade si sà, che quella è il tuo Teatro; (IO’’
E che l’hai presa eternamente à sitto.
Qvivi del tuo velen squaliido, ed atro
Semsni i lidi,ed à formare il solco ,
Buoi non vi mancan, per tirar P Aratro,
To-
 
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