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Rosa, Salvatore
Satire — Amsterdam, [1695] [Cicognara, 1038]

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https://doi.org/10.11588/diglit.27075#0147
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E quinci per tuo meir.o, e per tuo studio
Empiamente schemita, e vilipesa
L’innocenza coll’huom’fece il repudio.
Tu narri ciò, che può recarmi offesa ,
Mà non dici qual gloriasi Ciet congiunse
L’eccelse menti, ove Jo mi sono appresa,
Tucidide per me tant’alto giunse
Che d’Erodoto udendo i libri egregi ]
Il mio,nobile ardir l’Alma gli punse.
Chi conduiTe Alessandro à tanti pregi
Se non la sola Invidia, ond’ei s’accinie
Del grand’Acchilie ad emular’i fregi :
Chi fù, che a’tante impreseindusse,e spin/e
Cesare,se nonl’Astio, il qual sì forte
Go’Trionfi di Mario il Cor gli sirinse.
Di Temistocle il petto all’opre acorte
Co’trofei di Milciade Jo fui, che mo/TÌ :
Che son gl’impulsi miei d’ono: le scorte.
Menti mostro plebeo; da te non puoisi
Amar Virtude, e la tua rabbia amara
Sempre ha i gesti di lei turbati, e scoisi
Emulazion illustre, e nobil gara
Fù di quei grandi .Eroi. L’AImenon rende
Prodighe di sudor l’Invidia auara *
Non si cangiano i nomi; H Sol, che splende
Tenebre non apporta, Il Ben che giova
Non sù tnai siglio di cagion, che offende
Co sa alcuna da te mai non s’approva
Anzi il tutto da te s'accula, e danna ,
E per niiocer’altrui fassi ogni prova».*
Mà non Tempre del vero i raggi appanna
L’atro vapor, che la tua fronde esala :
E non inganna il Ciel, se l’huomo inganna,
Poiché aile fiondi tue troncata ogn’ala
Sei di forze non sol debili, e nulle :
Mà spesio glia Virtù fervi di siala.
G Ghia»
 
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