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Rossini, Luigi; Rossini, Luigi [Bearb.]
Gli Archi Trionfali Onorarii E Funebri Degli Antichi Romani Sparsi Per Tutta Italia — Roma: Autore, 1836

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https://doi.org/10.11588/diglit.68464#0010
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ARCO DI AUGUSTO IN SUSA
TAVOLE IL ITI.
Appiè delle Alpi Cozie è l’antica Segusia, oggi Susa, che fu un di dominio
di Cozio. Di qui si vuole che Annibaie passasse per venire in Italia l’anno 533,
ossia 220 anni innanzi l’era volgare. Ora fu dal re Marco Giulio Cozio e da quei
popoli Alpini eretto quivi un arco di trionfo ad Augusto, che tuttavia si conserva
in parte presso un castello fuori della città, nella direzione del settentrione, al
mezzodi sopra una via che conduce dall’ Italia nelle Gallie ; la quale via avendo
oggi cambiata direzione, lascia da banda detto arco. Esso , dalla iscrizione sovrap-
posta all’attico, si argomenta che sia il più antico di quanti si conoscano. Il marmo
adoperatovi si ha da alcuni che fosse tratto dalle cave di Foresto, villaggio presso
Susa; altri credono da quelle di Montepantero. I massi congiunti, non da calce
ma sibbene da perni di ferro impiombati, formano l’opera, che Vitruvio appella
quadrata. E di architettura romana e delle più perfette per ogni sua parte. A
ciascuno dei quattro angoli di questo edifizio s’innalza sopra un piedistallo ben
proporzionato una colonna di ordine corintio, scanellata, con capitelli ornati a
foglie di oliva. Quattro pilastri, due a ciascun prospetto ne sostengono l’archivolto.
I capitelli di tali pilastri sono a foggia di quelli che ornavano l’ordine superiore nello
interno del Panteon, barbaramente distrutti al tempo di Urbano Vili. Un gran zoc-
colo servendo di basamento dà all’arco quella forma gentile che lo fa distinto come
opera di quei tempi per le arti fortunatissimi. Al dissopra dell’architrave è il fregio
storiato in bassorilievi che tutto coronano l’arco, e rappresentano capitani e soldati
a cavallo vestiti all uso di quei popoli Alpini. In mezzo evvi un’ara ornata di ghir-
lande e di teschi, intorno a cui i sacerdoti stanno sacrificando. Fra le vittime vi si
veggono dei tori, delle pecore e de’ porci. Il lato di questo fregio che mira inverso
levante è del tutto consunto. Nella parte poi laterale si distingue scolpita l’alleanza
fra quelle nazioni alpine ed il popolo romano. La cornice che inghirlanda l’edi-
fìcio è del tutto diversa da quante altre se ne conoscono di antichi monumenti,
avendo questa i modiglioni rientranti e quasi a piombo dello sporto de’ membri
che loro sono sottoposti ; oltre la quale insolita forma lo spazio tra l’uno e l’altro
modiglione, anziché essere piano e perpendicolare, viene a guisa di cimasa dorica
inversa, oppure di cimbia, ad unirsi al listello che sta sopra alla gola rovescia. I
suddetti modiglioni nelle facce sono 22 , e 12 nei lati, e posti non già orizzon-
talmente ma pendenti in avanti, secondo che Vitruvio {lib. 4. c. 2) sull’esempio
de’ suoi maggiori ordinava nelle opere di pietra ad imitazione de’ Canterj; il che
però è singolare come non trovisi praticato in altre antiche fabbriche. Oltre la detta
ragione di Vitruvio, a ciò avrà indotto pure il giudizioso architetto la lettura che
voleva si facesse dei caratteri scolpiti nel marmo superiore. Onde dando alla cor-
nice uno sporto minore del dovere , e non volendo per altra parte che quella
apparisse troppo meschina, a ciò ebbe ricorso perchè facesse ad un tempo una
mostra elegante e proporzionata. È altresì da notare che l’architetto ad esempio
dei Greci (che greco forse dovea essere egli stesso), non pose i dentelli sotto dei
modiglioni; cosa impropria, malgrado che i Romani viziosamente l’abbiano avuta
in uso. E curioso non meno il vedervi il collarino o astragalo di tre colonne inta-
gliate a fusa] noie, e della quarta dalla parte di settentrione verso il castello a foggia
di nastro. I capitelli, che dissi adornati a foglie di oliva, essendo in gran parte cor-
rosi io volli cosi restaurarli perchè questo mi parve vedere dagli avanzi, e perchè
mi sembrano addirsi maggiormente alla gentilezza di tutto il monumento. Sul
cornicione si soprappone l’attico colla iscrizione che fù di bronzo dorato, oggi del
tutto distrutta, ina che ci viene riportata da Plinio. La cimasa di essa è ornata
con dentelli. Beaumont (Atl. Ptem. tom. 2. p. 2} dice di aver veduti sopra questo
arco alcuni frammenti di statue, e Muratori (Thes.inscrip. to. 2) ce ne dà una pessima
idea, descrivendolo con merli in sulla cima, che certo fù opera de’ bassi tempi.
Ora vi è invece un tetto moderno.
La prima delle due tavole, che noi abbiamo dato, è la veduta pittoresca
secondo che si osserva al presente; l’altra ha nel mezzo il ristauro, e nel dintorno
i particolari con le più esatte misure.
ARCO DI AUGUSTO IN AOSTA
TAVOLE IV. V. VI.
Aosta è antica città, che dagli storici latini viene denominata Augusta Salas-
siorum dai suoi fondatori che furono i Salassi, gente guerresca e turbolenta, fatta
tributaria ai Romani sotto Appio Claudio. Narra Livio che questi diedero il
passo ad Annibaie per discendere in Italia. Cesare andando a conquistare le
Gallie dovette prima domare i Salassi che da lungo tempo eransi ribellati, e
che Valerio Messala soggiogò nuovamente. Dieci anni dipoi, al dire di Dione,
tornarono a tumultuare : onde Ottaviano Augusto spedì loro contro Terenzio
Varrone, dei quali, vinti che gli ebbe distribuì i campi ai soldati pretoriani, d’onde
prese poscia il nome di Augusta Praetoria. Molti avanzi rimangonvi ancora dell’an-
tichità, fra i quali è maraviglioso quest’arco in onore di Augusto, che maestoso
vedesi ad una certa distanza della città. Fù a questo imperatore dedicato dal suo
luogotenente Terenzio Varrone dopo di avere sottomessi i Salassi. Esso ti presenta
una gran massa isolata, ma è mancante dell’attico e della iscrizione. 11 suo luogo
è precisamente all’oriente, a piccola distanza della città; occupa la larghezza
della via pubblica che mette in Italia, e corrisponde in linea retta da un lato col
ponte di Buttier, dall’altro colla porta della città. Si distingue per opera di quei
tempi e di quei popoli dai suoi particolari. La sua apertura eli metri 8. o,go è
maggiore di un metro e o,3o di quella dell’arco di Costantino e di Settimio in
Roma. La costruzione è al tutto diversa da quella di Susa. S’innalza su di un gran
basamento di ottimo stile, sopra cui riposano le colonne di ordine corintio con
base attica, e ve ne sono quattro di prospetto e tre di fianco, compresevi le ango-
lari. L’archivolto posa sopra pilastrini avente una cornice con capitelli di ordine
composito. Ve ne ha sei, ed i quattro esterni formano ancora prospetto nell’in-
terno. 1 capitelli delle colonne, essendo di uno stile robusto, producono un’effetto
forte e semplice ad un tempo. La sua cornice è di ordine dorico con triglifi , ed
ha somiglianza a quella scopertasi non ha guari in Pesto appartenente al tempio
della Pace. E cosa veramente straordinaria vedere una trabeazione dorica sopra
capitelli corintii; il che farebbe gridare al certo la croce addosso a chiunque oggi
il facesse. Direbbe a tal uopo il Milizia, essere lo stesso se una gentile giovane
magnificamente vestita ponesse in sul capo un berrettone da granatiere. Nondi-
meno non fa quivi alcuna sconcezza, e l’insieme dello edificio produce uno effetto

severo e maestoso assai ; il che vale a mostrarci che quegli architettori non poco
valenti, senza badare servilmente alle regole, come molti de’ nostri tempi, mi-
ravano piuttosto all’effetto facendosi guidare dall’estro. Nel prospetto che riguarda
la città si veggono due aperture fra gli intercolumq, che fanno supporre vi fossero
stati trofei o iscrizioni con statue. Il marmo posto in uso generalmente in questo
edificio è di quello stesso adoperato per l’antico ponte di Buttier, e di quasi tutti
i monumenti che trovansi in Aosta, che è di una rocca dai naturalisti chiamata
poudingue ossia pietra composta di breccie. Differente però ne è quello della tra-
beazione, dei capitelli, delle colonne e dei pilastri, essendo una pietra più bianca
e di una grana più fina e più durevole della poudingue. La tavola IV vale a dare
una idea della località e delle Alpi, la tavola V presenta l’arco nello stato attuale,
e la tavola VI poi ne rappresenta il ristatil o co’ suoi particolari e colle più esatte
misure. La iscrizione esisteva murata nel chiostro dei Cappuccini, e fu incisa dal
Piranesi insieme con l’arco, secondo un disegno dell’architetto inglese Newdigate.
ARCO DE* SERGI IN DOLA
nell'Italia settentrionale
TAVOLE VII. Vili.
Secondo la favola, l’origine della città di Pola viene attribuita ai Colchii che
inseguirono gli Argonauti. Lasciando però da parte le cose favolose, le sue gesta
appartengono ai primi secoli dell’impero romano. Molti avanzi di antichi edificj
vi rimangono ancora, fra i quali quelli di un anfiteatro, di un tempio ad Augusto,
e dell’Arco da me qui riportato, che fù eretto da una Salvia Postuma ai Sergii.
L. Sergio, figlio di Lucio, fù tribuno della legione XXIX. È noto che ai soli cit-
tadini Romani, o a quelli che godevano del diritto di essere tali, era concesso
l’onore di farsi ascrivere nelle legioni, e che ninno poteva divenir tribuno senza un
particolar merito. Se Lucio Sergio fu tribuno della legione ventesimanona, ciò ne
è un tempo anteriore alla battaglia d’Azzio, cioè dell’anno 728. Onde la edilità del
padre si argomenta essere stata anteriore ai tempi di Cesare, innanzi ai quali si
crede che Pola sia stata dedotta in colonia romana, e che l’arco eretto fosse nella
bella età di Augusto. Questo arco serve ora per una delle porte della città , die ha
il nome di Porta Rata, ossia Porta Aurata. Esso è ornatissimo, e quantunque bello,
non ha niente che fare coi precetti Vilruviani. Ha le colonne binate, e la sua
trabeazione è troppo carica d’intagli, e meschina per l’altezza delle colonne ,
essendo quasi la quinta parte di queste, mentre dovrebbe essere la quarta. Su in
cima alla suddetta per osservisi trovati de’ buchi di perni, io ho supposto che vi
potesse essere un ornato di bronzo solito dagli antichi a porsi sulle estremità degli
edificii. È bruttissimo poi vedere il vivo del fregio sporgere più in fuori del vivo
dell’architrave; ma sono altrettanto belli però i suoi ornati, come quello a foglie
di vite nella grossezza dell’arco, ed i lacunari del suo soffitto i quali non possono
essere di meglio intagliati. Bellissimo poi ne è il fregio ornato di festoni di uno
stile maschio, ed interessanti sono i trofei nel fregio dei fianchi, i quali rappre-
sentano armi di tutte specie, e strumenti di sacrifizii; e tuttociò ci dà un’ idea dei
costumi di que? popoli. La tavola settima è lo stato attuale, e la ottava ne è il
suo restauro con attorno tutti i suoi particolari.
ARCO DI AUGUSTO IN FANO
TAVOLE IX. X. XI.
Fano tolse il nome da Fanum Fortunae , cioè da un tempio quivi eretto ad
onore di questa Dea, per consacrare la vittoria riportata sopra Asdrubale nella
seconda guerra punica presso il Metauro dai consoli Livio Salinatore e Claudio
Nerone. Niun avanzo oggidì si conserva di questo tempio, ma si ammira invece in
Fano un arco trionfale a tre volte fatto a foggia di porta di città, mnalzato ad
onore di Augusto, quindi ristorato dagl’imperatori Costantino e Costante. Questo
arco si vede scolpito pure nel muro della Chiesa di S. Michele, la quale è costruita
in parte di marmi tolti dallo stesso arco. La Chiesa fù fabbricata tra il i4oo
e i5oo; e poiché detto arco vi si rappresenta con due torri (che debbono certa-
mente riputarsi opera della decadenza, come si vede dalla pessima cortina e dalla
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cornice che hanno di peperino) due illustri artisti giudicarono che losse stato ini
da principio fabbricato con queste torri. Tanto più uno di essi si confermò in tale
opinione, quanto che trovò in uno scavo a mano destra del fornice grande quattro
filari di bugne collo smusso, pensando che tutto l’arco fosse da principio siffatto,
e che le altre venissero dipoi tagliate via con lo scalpello. Ma ciò mostra che egli
non conosceva l’uso degli antichi di fare che i primi filari, come quelli che servi-
vano di zoccolo, fossero più sporgenti. Pensa egli ancora che il portico superiore
sia de’ tempi di Costantino. Ma ciò non può essere, e deve dirsi de’ tempi di Au-
gusto per le bellissime basi attiche, di cui rimangono gli avanzi, con rocchi di
colonne scannellate, e per la bella forma così degli stipiti come del parapetto con
gola poco sporgente, e per essere la stessa pietra di taglio, perche fin dall’origine
si vede piantato sulla trabeazione dell’ arco tavola XI , e perchè finalmente
senza questo portico sarebbe comparso di una figura assai tozza. Oltre a tuttociò
aggiungi, che era costume a’tempi di Augusto di formare sopra le porte tali gal-
lerie per gli esercizi! militari, siccome si osserva nelle mura antiche di Pompei e
di Roma e si vede pure dalle medaglie riportate alla tavola XI. Che le torri poi
fossero di forma quadrata e non tonda, quantunque Vitruvio le prescriva tonde,
noi ne ritroviamo molti esempi nell’antichità, e tali se ne veggono tuttora, come
nelle mura ciclopee che circondano il gran tempio della Fortuna Prenestina, in
quelle di Spello e in quelle di Pompei che io ho pubblicate nella mia opera intorno
questa città, ed in altre come vedesi dalle stesse medaglie tavola XI, sottoposte al
ristauro. Ho date queste della famiglia Augustea per offrire una idea delle antiche
porte di città con torri, essendoché il nostro arco era al certo una porta di citta
avente due torri quadrate. Gli scavi indicati nella pianta furono fatti dallo archi-
tetto francese Graneau nel 1826. Nelle ricerche che io vi feci nel 18345 quando
lo misurai, ebbi a trovare nel fianco della Chiesa, che vi è annessa, un chiaro indizio
di avanzo di una delle torri quadrate.
Questo arco si può chiamare porta di città, a foggia però di arco trionfale,
come dissi, per avere tre fornici, poiché le antiche porte non ne avevano che mìa
o due, come si vede essere la porta Portuense e la Ostiense, e le porte antiche di
Verona, una de^ Borsari con iscrizione a Gallieno , e l’altra de Leoni, e le poi te di
Nicopoli che si vedono nelle medaglie di Adriano, e che sono dette porte geuj-
nate’. mentre osserva pure il Maffei nella sua Verona illustrata che gli archi trion-
fali si usavano ad uno o a tre fornici.
 
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