Nella chiave, ossia serraglia dell’arco si veggono effigiate due grosse gambe
con le unghie da elefante, come nella tavola XI, non già una testa di toro come
supposero alcuni. La pietra di questo monumento è calcare appennina, simile
pel colore al travertino, ma più compatta e di una grana più fina che la rende atta
a più delicati lavori. Il San Gallo immaginò di questo arco un ristauro che si vede
in un codice della Barberiniana ; ma questo ristauro è un vero sogno, avendolo
figurato con un gran frontespizio, e adorno di pilastri attorno ai tre fornici, con
nicchie e con torri fatte della stessa opera quadrata, ma terminanti con un altro
ordine a foggia di campanile, e con una stranissima cupola ed un fregio di festoni
e di teschi; cose certamente che non vi esisterono mai.
ARCO DI AUGUSTO IN RUMINI
TAVOLE XII. XIII.
Ariminum , oggi Rimini, fù da principio degli Umbri , quindi soggetta ai
Romani. Aveva un porto di cui rimangono appena pochi avanzi. Vi si vede però
tuttavia un gran ponte di marmo che unisce la via Emilia alla Flaminia, e che
incominciato da Augusto fù compiuto da Tiberio; ed un magnifico arco edificato
in onore di Augusto, ed è quello che io riporto nella presente tavola. Di esso
hanno scritto molti, e molti artisti lo ritrassero. Nell’ultima illustrazione del
Brighenti, ed in quella del Mancini sull’arco di Fano, si legge una eruditissima
dissertazione intorno ad esso del celebre Bartolomeo Borghesi. I miei disegni,
benché diversi da quelli degli altri, spero che saranno migliori pe’ ristauri che mi
sembrano più confacenti all’antico. E certo che quest’arco venne eretto ad Augusto
in benemerenza della ristati razione da lui latta delle più celebri vie d’Italia, e ciò
quando egli era console per la settima volta, e designato per l’ottava: il che avvenne
nell anno Varroniano 727 in cui egli appunto per la settima volta occupava il con-
solato in compagnia di M. Agrippa. Parecchi storici difatti narrano che nel 727 fu
riparata la via Flaminia, che nei 784 cominciarono a restaurarsi le altre d’Italia, e
che nel 788 tali lavori essendo compiuti, erano già consacrati i monumenti che
dovevano eternarne la memoria. Dione così si esprime’. Flaminiam ipse procuratiti ac
OB ID statuae Augusto in arcubus, cum in ponte Ttberis, tum Arimino positae sunt. Della cura
presa intorno a tali ristauri da questo imperatore ci fanno poi maggiormente certi
le iscrizioni delle medaglie d’oro e di argento a bella posta coniate. Tra le quali a
ine parve più dicevole al nostro ristauro quella riportata nella tavola XIII in mezzo
al ristauro, e coniata certamente dal triumviro monetale Lucio Vinicio, allorché
venne compito e dedicato l’istesso arco, siccome è stato pensato pure dall’Eckhel.
Questa medaglia è tolta dal Morelli nella gente Vinicia sotto al numero 3. Essa
da un lato presenta la testa di Augusto senza alcuna leggenda, e dall’altro un arco
trionfale di un sol fornice sostenuto da due colonne sormontate da un attico, in
cui é scritto a due linee S. P. Q. R. 1MP. CAES. e terminato dalla statua dell’im-
peratore sopra una quadriga di fronte. Ai lati sorgono due archi minori, ognuno
de’ (piali sostiene la statua di un parto, quello a sinistra avente un arco, l’altro una
frombola. Nell’esergo è questa iscrizione L. VIN1C1VS. L’Orsino , e dopo lui il
Vaillant, avevano ottimamente opinato che questa medaglia rappresentasse l’arco
di Rimini; la qual cosa si avvicinava a credere eziandio l’Avercampio. Pietro Santi
Battoli, nella sua opera degli Archi illustrata dal Bellori, riportò pure questa stessa
medaglia. E per venire maggiormente nella idea che questo arco non terminava
semplicemente cosi, e che aver doveva altri due fornici, basta esaminarlo a mano
sinistra dalla parte interna della Città, vicino al muro moderno ove si vede un
risalto nelle stesse pietre di taglio che servono di fondo al pilone, in cui sono at-
taccate le colonne; il qual risalto va su in linea retta sporgente, come si osserva
nella tavola Xlll e nella pianta ove si vede lo sporto di 3 centimetri. Né poteva
essere altrimenti per la troppa luce che avrebbe il fornice di mezzo, maggiore di
quello di Costantino e di Settimio Severo in Roma, e per l’insieme che presente-
rebbe troppo sfilato e senza proporzione. Questa osservazione del risalto fin qui
non è stata fatta, io credo, da ninno illustratore. Molto meno poi è verosimile che
questo arco avesse due fornici per questo risalto che ben presto ne disinganna, e
perché allora sarebbe stato piuttosto una porta che un arco onorario, e quindi si
dovrebbe supporre per tali due fornici una grandissima strada di cui non è esempio
nell’antichità. Ne una porta può credersi per il ricco e gentile ordine corintio, e per
la sua trabeazione di uno stile elegante e con frontespizio assai ornato, e per le
ragioni dette già a riguardo dell’arco di Fano. La quale decorazione non è stata mai
usata dagli antichi nelle porte, che debbono avere un carattere sodo e robusto,
ma si vide bensì negli archi di trionfo. Finalmente la stessa medaglia da noi ripor-
tata ci presenta il mezzo disgiunto dalle due parti laterali, come appunto si mostra
il nostro arco j e là dove incomincia il risalto venivano i fornici secondarii. Perchè
poi vi si univano le mura, non toglierebbe che fosse un arco onorario; che potea
esserlo quantunque servisse d’ingresso alla città. Però le mura si vede per certo
che vi furono unite nei tempi bassi, allorquando furono costrutte pure le due so-
pradette torri rotonde, che devonsi giudicare dei tempi costantiniani. Anche il
chiarissimo Borghesi nella sua dissertazione non si mostra lontano dal credere
questa la vera medaglia dell’arco ; ma egli dovendo soprattutto illustrare i disegni del
Brighenti, si studiò rinvenirne una ad un sol fornice, ed è quella appunto che tolse
ad illustrare. L’Adimari parlando sul sito riminese nel 1600 dice aver veduto l’arco
con due torri ettagone spogliate di ornamenti, e che frà 1 arco e queste vi erano
due statue su’ loro piedistalli, una delle quali rappresentava un arciere con 1 arco,
l’altra un fromboliere’ il che viene sempre più a confermare la nostra medaglia.
Monsignor vescovo Villani, poi nel dare il disegno di questo arco, vi pone due
statue sopra la trabeazione in linea delle colonne, dicendo averne veduta una me-
daglia; al che non so quanto possa prestarsi fede, conciosiachè egli non la riporta.
La pietra di questo arco è calcare appennina, detta pietra di monte. 11 lavoro
nelle sue particolarità è di quel purissimo stile greco-romano che non lascia a de-
siderar meglio. È a notarsi come nel soffitto (vedi tav. Xlll) del gocciolatojo frà
l una mensola e l’altra evvi nella cassetta, in luogo del rosone solito a vedersi,
un’aquila assai sporgente che colle gambe arriva sino sull’ovolo. Nelle altre cassette
poi sono altri ornamenti bizzarri. Gli ovoli sono all’uso greco, cioè quasi graffiti:
sì poco sono profondi d intaglio, nè hanno freccia. I fussaiuoli, come pure i capi-
telli, sono di un lavoro delicatissimo, come può vedersi nella suddetta tavola XIII.
pLimedaglioni frà l’archivolto e le colonne (luogo in cui gli antichi erano soliti
scolpire la Fama), sono quattro deità di uno stile assai maschio.
La tavola XII presenta la veduta dello stato attuale dell’arco dal prospetto di
dentro la città, e la tavola XIII il suo ristauro.
ARCO DI AUGUSTO
passato ponte Miltio
TAVOLA XIV.
Questo ristauro si è da me dato esattamente come esiste in un codice alla
Barberiniana. Ma che esso così esistesse mi sembra impossibile; poiché tutto l’arco
ha più il carattere di un ingresso di una gran villa, che di arco trionfale ad Augusto.
La parte poi superiore fatta a cono dà un idea di un monumento sepolcrale. Egli
lo dice sette miglia distante da Roma. Ma io non ho trovato se non che ad otto
miglia un piccolo avanzo insignificante di piedritto di prima porta, tutto di cortina,
addossato alla chiesa che è parrocchia incontro all’osteria. Alle 12 miglia poi, nel
luogo detto Borghettaccio, e precisamente ove è internata l’osteria, si ammira un
grand’arco quadrifronte, come un Giano, serbandovisi ancora un residuo di cor-
nicione marmoreo con ovoli e dentelli, e gli archi fatti di mattoni alla grandezza,
ed alla forma si ravvisano somiglianti in tutto a quello di prima porta. Che questi
siano archi emortuarii, oppure di quelli ad Augusto eretti sulla Flaminia in onore
del medesimo ; il quale si pigliò cura di risarcirla, chi potrà dirlo ? Le medaglie
in detta tavola riportate si vogliono attribuire a questi archi sulla Flaminia e sul
Tevere. Non avendovi io rinvenuto alcun ornamento, come di colonne, nicchie od
altro, onde poterne fare un qualche ristauro significante, l’ho tralasciato.
ARCO ANTICO IN CARSOLI
TAVOLE XV. XVI.
È cosa difficilissima fissare la precisa epoca della fondazione di Carsoli. È
però antichissima città, e fù colonia dell’ Umbria inferiore. Essa era collocata alle
radici del monte che le stà ad oriente nella via Flaminia, la quale pur anco l’at-
traversava. Teneva a mezzodì la città di Terni e diNarni; a ponente quella d Amelia
e di Todi; a settentrione quella di Perugia. Essa era divisa in due parti, l una sul
monte e l’altra al piano, ed aveva un piccolo borgo appellato dapprima Carsolillo ,
diminutivo di Carsoli. Plinio la nominò Casuentillo, da poi fù detta Casuento e
Casuentino; al presente Geminopoli, dal volgo San Gemino. Ad onta delle auto-
revoli testimonianze di Tolomeo, di Strabone, dei due Plinii e di Tacito, che pon-
gono in questo luogo la detta città, vi sono pure alcuni moderni che l’hanno con-
fusa con Cursoli citata da Dionisio di Alicarnasso, in oggi Cascia, piccolo villaggio;
ed altri con Carseoli (Arsoli), luogo nel Lazio non molto lungi dal Teverone. Il
primo che in questo abbia errato fù Raffaello Volterrano, seguito dipoi da Leandro
Alberti nella sua descrizione dell’ Italia, il quale però venne corretto dai padri
Bollandisti, dal Ferrari, e dall’Ortelio. Di essi non errarono meno il Cluverio, il
Sanson, e il du Plessis, seguaci del Bollando, i quali tutti oltramontani, non
avendo accuratamente osservato il sito, lo stabilirono nel piccolo castello di Casti-
gliano nell’agro Todino, supponendolo derivato dal nome Carsoli , senza aver punto
esaminato il testo di Tacito che pone Carsoli dieci sole miglie lontano da Narni,
e non quindici, allorché narra l’arrivo in essa città dell’esercito di Vespasiano.
Onde il Mattiniere così scrive: u Carsoli secondo Strabone, e Carsolani secondo
„ Plinio, fù antico popolo d’ Italia nell Umbria. Pare che Carsoli di Strabone sia
„ il nome della città che abitavano i Carsolani di Plinio. Il padre Ardami nomina
„ questa città Carsulae. Essa si dice ancora città di Carsoli, ma è intieramente
,, distrutta, e se ne vedono le rovine nel ducato di Spoleto sulla strada di Narni
,, per Perugia e non per Bevagna ,,.
Questo arco di trionfo, di cui rimangono gli avanzi, è costrutto di pietre
grossissime collegate con perni di metallo e non con calce. Si suppone che fosse
eretto dai Carsolani ad onore dell’imperatore Trajano in occasione che questi sen
tornava vittorioso per la via Flaminia a Roma, dopo la guerra coi Daci; e ciò per
alcune monete di quel Principe rinvenute nelle commessure delle pietre che com-
pongono lo stesso arco. Io però sono di avviso che anche questo sia uno di quelli
eretti ad Augusto nella via Flaminia pel risarcimento di questa, come altrove
abbiamo detto. Allo intorno di questo arco sono grandi cunei di altri archi, e
rottami di marmi appartenenti a edificii annessi all’arco stesso. In uno scavo pra-
ticato non ha guari si sono trovati avanzi di bellissimi monumenti rotondi e qua-
drati a bugne, e cosi intatti clic ti pajono fatti da poco. Se questi monumenti poi
sieno trionfali, non si può ben comprendere. Forse scavando questo territorio ,
che può dirsi ancora vergine, darebbe tesori di antichità. Vicino all’arco si è rin-
venuto un capitello toscano, come vedesi nella tavola XVI segnato (A) ed una
base (B) simile a quelle che si osservano nei Tempj di Pesto. In distanza dell’arco
vi sono avanzi di capitelli d’ordine corintio, pilastri, colonne di uno stile veramente
greco. Molti altri avanzi ivi d’intorno si veggono, come di basiliche, di pubblici
bagni e di un anfiteatro. In questo luogo è da ricordare che ebbe parte de’ suoi
beni il Canova.
La tavola XV presenta la veduta pittoresca dell’arco come ora esiste , e la
tavola XVI il suo ristauro. Nell’interno di questo arco si veggono incastri qua-
drati e curvi con fori che indicano esservi stati bassirilievi e festoni di bronzo. Nel
prospetto dalla parte di Porteria erano due piedistalli a forma di cippi, uno per
parte, senza iscrizioni, i quali portavano una statua. Il cornicione e l’attico sono
stati aggiunti da me non essendosene rinvenuto alcun frammento.
ARCO IN SPELLO
TAV OLA XVII.
Spello, città antica dell’Umbria frà Assisi e Fuligno, fù fabbricata dagli an-
tichi Umbri. Quindi fù municipio de’ Romani, e si governava con proprie leggi ;
poscia divenne loro colonia. Favorita da Giulio Cesare e da Augusto, divenne assai
cospicua e famosa. In essa è che ammirasi questo arco di pietra tiburtina, che è
formato a modo di porta di città, e con due torri di forma undecagona. Non ne
rimane che piccola parte con una sola torre, come si vede nella tavola XVIII.
L altra torre poi è innestata dentro alcune case nella via che è ivi presso, e queste
torri sono dette dal volgo le torri di Properzio. È però certo che queste torri sono
di tempi assai posteriori all’arco, conoscendosi dalla diversa costruzione, e dalla
diversa pietra adoperatavi che è di una cava calcare appennina vicino a Spello. E
le finestre ora murate nelle torri sono ad arco gotico ossia di tutto sesto acuto, ed
un pezzo di soglia dell’arco di mezzo prova che non serviva a volgari passeggieri.
Che se le mura antiche che rimangono di Spello sono della stessa pietra, che è
quella delle torri, ciò potrebbe indicare essere servita la stessa cava in due epoche
con le unghie da elefante, come nella tavola XI, non già una testa di toro come
supposero alcuni. La pietra di questo monumento è calcare appennina, simile
pel colore al travertino, ma più compatta e di una grana più fina che la rende atta
a più delicati lavori. Il San Gallo immaginò di questo arco un ristauro che si vede
in un codice della Barberiniana ; ma questo ristauro è un vero sogno, avendolo
figurato con un gran frontespizio, e adorno di pilastri attorno ai tre fornici, con
nicchie e con torri fatte della stessa opera quadrata, ma terminanti con un altro
ordine a foggia di campanile, e con una stranissima cupola ed un fregio di festoni
e di teschi; cose certamente che non vi esisterono mai.
ARCO DI AUGUSTO IN RUMINI
TAVOLE XII. XIII.
Ariminum , oggi Rimini, fù da principio degli Umbri , quindi soggetta ai
Romani. Aveva un porto di cui rimangono appena pochi avanzi. Vi si vede però
tuttavia un gran ponte di marmo che unisce la via Emilia alla Flaminia, e che
incominciato da Augusto fù compiuto da Tiberio; ed un magnifico arco edificato
in onore di Augusto, ed è quello che io riporto nella presente tavola. Di esso
hanno scritto molti, e molti artisti lo ritrassero. Nell’ultima illustrazione del
Brighenti, ed in quella del Mancini sull’arco di Fano, si legge una eruditissima
dissertazione intorno ad esso del celebre Bartolomeo Borghesi. I miei disegni,
benché diversi da quelli degli altri, spero che saranno migliori pe’ ristauri che mi
sembrano più confacenti all’antico. E certo che quest’arco venne eretto ad Augusto
in benemerenza della ristati razione da lui latta delle più celebri vie d’Italia, e ciò
quando egli era console per la settima volta, e designato per l’ottava: il che avvenne
nell anno Varroniano 727 in cui egli appunto per la settima volta occupava il con-
solato in compagnia di M. Agrippa. Parecchi storici difatti narrano che nel 727 fu
riparata la via Flaminia, che nei 784 cominciarono a restaurarsi le altre d’Italia, e
che nel 788 tali lavori essendo compiuti, erano già consacrati i monumenti che
dovevano eternarne la memoria. Dione così si esprime’. Flaminiam ipse procuratiti ac
OB ID statuae Augusto in arcubus, cum in ponte Ttberis, tum Arimino positae sunt. Della cura
presa intorno a tali ristauri da questo imperatore ci fanno poi maggiormente certi
le iscrizioni delle medaglie d’oro e di argento a bella posta coniate. Tra le quali a
ine parve più dicevole al nostro ristauro quella riportata nella tavola XIII in mezzo
al ristauro, e coniata certamente dal triumviro monetale Lucio Vinicio, allorché
venne compito e dedicato l’istesso arco, siccome è stato pensato pure dall’Eckhel.
Questa medaglia è tolta dal Morelli nella gente Vinicia sotto al numero 3. Essa
da un lato presenta la testa di Augusto senza alcuna leggenda, e dall’altro un arco
trionfale di un sol fornice sostenuto da due colonne sormontate da un attico, in
cui é scritto a due linee S. P. Q. R. 1MP. CAES. e terminato dalla statua dell’im-
peratore sopra una quadriga di fronte. Ai lati sorgono due archi minori, ognuno
de’ (piali sostiene la statua di un parto, quello a sinistra avente un arco, l’altro una
frombola. Nell’esergo è questa iscrizione L. VIN1C1VS. L’Orsino , e dopo lui il
Vaillant, avevano ottimamente opinato che questa medaglia rappresentasse l’arco
di Rimini; la qual cosa si avvicinava a credere eziandio l’Avercampio. Pietro Santi
Battoli, nella sua opera degli Archi illustrata dal Bellori, riportò pure questa stessa
medaglia. E per venire maggiormente nella idea che questo arco non terminava
semplicemente cosi, e che aver doveva altri due fornici, basta esaminarlo a mano
sinistra dalla parte interna della Città, vicino al muro moderno ove si vede un
risalto nelle stesse pietre di taglio che servono di fondo al pilone, in cui sono at-
taccate le colonne; il qual risalto va su in linea retta sporgente, come si osserva
nella tavola Xlll e nella pianta ove si vede lo sporto di 3 centimetri. Né poteva
essere altrimenti per la troppa luce che avrebbe il fornice di mezzo, maggiore di
quello di Costantino e di Settimio Severo in Roma, e per l’insieme che presente-
rebbe troppo sfilato e senza proporzione. Questa osservazione del risalto fin qui
non è stata fatta, io credo, da ninno illustratore. Molto meno poi è verosimile che
questo arco avesse due fornici per questo risalto che ben presto ne disinganna, e
perché allora sarebbe stato piuttosto una porta che un arco onorario, e quindi si
dovrebbe supporre per tali due fornici una grandissima strada di cui non è esempio
nell’antichità. Ne una porta può credersi per il ricco e gentile ordine corintio, e per
la sua trabeazione di uno stile elegante e con frontespizio assai ornato, e per le
ragioni dette già a riguardo dell’arco di Fano. La quale decorazione non è stata mai
usata dagli antichi nelle porte, che debbono avere un carattere sodo e robusto,
ma si vide bensì negli archi di trionfo. Finalmente la stessa medaglia da noi ripor-
tata ci presenta il mezzo disgiunto dalle due parti laterali, come appunto si mostra
il nostro arco j e là dove incomincia il risalto venivano i fornici secondarii. Perchè
poi vi si univano le mura, non toglierebbe che fosse un arco onorario; che potea
esserlo quantunque servisse d’ingresso alla città. Però le mura si vede per certo
che vi furono unite nei tempi bassi, allorquando furono costrutte pure le due so-
pradette torri rotonde, che devonsi giudicare dei tempi costantiniani. Anche il
chiarissimo Borghesi nella sua dissertazione non si mostra lontano dal credere
questa la vera medaglia dell’arco ; ma egli dovendo soprattutto illustrare i disegni del
Brighenti, si studiò rinvenirne una ad un sol fornice, ed è quella appunto che tolse
ad illustrare. L’Adimari parlando sul sito riminese nel 1600 dice aver veduto l’arco
con due torri ettagone spogliate di ornamenti, e che frà 1 arco e queste vi erano
due statue su’ loro piedistalli, una delle quali rappresentava un arciere con 1 arco,
l’altra un fromboliere’ il che viene sempre più a confermare la nostra medaglia.
Monsignor vescovo Villani, poi nel dare il disegno di questo arco, vi pone due
statue sopra la trabeazione in linea delle colonne, dicendo averne veduta una me-
daglia; al che non so quanto possa prestarsi fede, conciosiachè egli non la riporta.
La pietra di questo arco è calcare appennina, detta pietra di monte. 11 lavoro
nelle sue particolarità è di quel purissimo stile greco-romano che non lascia a de-
siderar meglio. È a notarsi come nel soffitto (vedi tav. Xlll) del gocciolatojo frà
l una mensola e l’altra evvi nella cassetta, in luogo del rosone solito a vedersi,
un’aquila assai sporgente che colle gambe arriva sino sull’ovolo. Nelle altre cassette
poi sono altri ornamenti bizzarri. Gli ovoli sono all’uso greco, cioè quasi graffiti:
sì poco sono profondi d intaglio, nè hanno freccia. I fussaiuoli, come pure i capi-
telli, sono di un lavoro delicatissimo, come può vedersi nella suddetta tavola XIII.
pLimedaglioni frà l’archivolto e le colonne (luogo in cui gli antichi erano soliti
scolpire la Fama), sono quattro deità di uno stile assai maschio.
La tavola XII presenta la veduta dello stato attuale dell’arco dal prospetto di
dentro la città, e la tavola XIII il suo ristauro.
ARCO DI AUGUSTO
passato ponte Miltio
TAVOLA XIV.
Questo ristauro si è da me dato esattamente come esiste in un codice alla
Barberiniana. Ma che esso così esistesse mi sembra impossibile; poiché tutto l’arco
ha più il carattere di un ingresso di una gran villa, che di arco trionfale ad Augusto.
La parte poi superiore fatta a cono dà un idea di un monumento sepolcrale. Egli
lo dice sette miglia distante da Roma. Ma io non ho trovato se non che ad otto
miglia un piccolo avanzo insignificante di piedritto di prima porta, tutto di cortina,
addossato alla chiesa che è parrocchia incontro all’osteria. Alle 12 miglia poi, nel
luogo detto Borghettaccio, e precisamente ove è internata l’osteria, si ammira un
grand’arco quadrifronte, come un Giano, serbandovisi ancora un residuo di cor-
nicione marmoreo con ovoli e dentelli, e gli archi fatti di mattoni alla grandezza,
ed alla forma si ravvisano somiglianti in tutto a quello di prima porta. Che questi
siano archi emortuarii, oppure di quelli ad Augusto eretti sulla Flaminia in onore
del medesimo ; il quale si pigliò cura di risarcirla, chi potrà dirlo ? Le medaglie
in detta tavola riportate si vogliono attribuire a questi archi sulla Flaminia e sul
Tevere. Non avendovi io rinvenuto alcun ornamento, come di colonne, nicchie od
altro, onde poterne fare un qualche ristauro significante, l’ho tralasciato.
ARCO ANTICO IN CARSOLI
TAVOLE XV. XVI.
È cosa difficilissima fissare la precisa epoca della fondazione di Carsoli. È
però antichissima città, e fù colonia dell’ Umbria inferiore. Essa era collocata alle
radici del monte che le stà ad oriente nella via Flaminia, la quale pur anco l’at-
traversava. Teneva a mezzodì la città di Terni e diNarni; a ponente quella d Amelia
e di Todi; a settentrione quella di Perugia. Essa era divisa in due parti, l una sul
monte e l’altra al piano, ed aveva un piccolo borgo appellato dapprima Carsolillo ,
diminutivo di Carsoli. Plinio la nominò Casuentillo, da poi fù detta Casuento e
Casuentino; al presente Geminopoli, dal volgo San Gemino. Ad onta delle auto-
revoli testimonianze di Tolomeo, di Strabone, dei due Plinii e di Tacito, che pon-
gono in questo luogo la detta città, vi sono pure alcuni moderni che l’hanno con-
fusa con Cursoli citata da Dionisio di Alicarnasso, in oggi Cascia, piccolo villaggio;
ed altri con Carseoli (Arsoli), luogo nel Lazio non molto lungi dal Teverone. Il
primo che in questo abbia errato fù Raffaello Volterrano, seguito dipoi da Leandro
Alberti nella sua descrizione dell’ Italia, il quale però venne corretto dai padri
Bollandisti, dal Ferrari, e dall’Ortelio. Di essi non errarono meno il Cluverio, il
Sanson, e il du Plessis, seguaci del Bollando, i quali tutti oltramontani, non
avendo accuratamente osservato il sito, lo stabilirono nel piccolo castello di Casti-
gliano nell’agro Todino, supponendolo derivato dal nome Carsoli , senza aver punto
esaminato il testo di Tacito che pone Carsoli dieci sole miglie lontano da Narni,
e non quindici, allorché narra l’arrivo in essa città dell’esercito di Vespasiano.
Onde il Mattiniere così scrive: u Carsoli secondo Strabone, e Carsolani secondo
„ Plinio, fù antico popolo d’ Italia nell Umbria. Pare che Carsoli di Strabone sia
„ il nome della città che abitavano i Carsolani di Plinio. Il padre Ardami nomina
„ questa città Carsulae. Essa si dice ancora città di Carsoli, ma è intieramente
,, distrutta, e se ne vedono le rovine nel ducato di Spoleto sulla strada di Narni
,, per Perugia e non per Bevagna ,,.
Questo arco di trionfo, di cui rimangono gli avanzi, è costrutto di pietre
grossissime collegate con perni di metallo e non con calce. Si suppone che fosse
eretto dai Carsolani ad onore dell’imperatore Trajano in occasione che questi sen
tornava vittorioso per la via Flaminia a Roma, dopo la guerra coi Daci; e ciò per
alcune monete di quel Principe rinvenute nelle commessure delle pietre che com-
pongono lo stesso arco. Io però sono di avviso che anche questo sia uno di quelli
eretti ad Augusto nella via Flaminia pel risarcimento di questa, come altrove
abbiamo detto. Allo intorno di questo arco sono grandi cunei di altri archi, e
rottami di marmi appartenenti a edificii annessi all’arco stesso. In uno scavo pra-
ticato non ha guari si sono trovati avanzi di bellissimi monumenti rotondi e qua-
drati a bugne, e cosi intatti clic ti pajono fatti da poco. Se questi monumenti poi
sieno trionfali, non si può ben comprendere. Forse scavando questo territorio ,
che può dirsi ancora vergine, darebbe tesori di antichità. Vicino all’arco si è rin-
venuto un capitello toscano, come vedesi nella tavola XVI segnato (A) ed una
base (B) simile a quelle che si osservano nei Tempj di Pesto. In distanza dell’arco
vi sono avanzi di capitelli d’ordine corintio, pilastri, colonne di uno stile veramente
greco. Molti altri avanzi ivi d’intorno si veggono, come di basiliche, di pubblici
bagni e di un anfiteatro. In questo luogo è da ricordare che ebbe parte de’ suoi
beni il Canova.
La tavola XV presenta la veduta pittoresca dell’arco come ora esiste , e la
tavola XVI il suo ristauro. Nell’interno di questo arco si veggono incastri qua-
drati e curvi con fori che indicano esservi stati bassirilievi e festoni di bronzo. Nel
prospetto dalla parte di Porteria erano due piedistalli a forma di cippi, uno per
parte, senza iscrizioni, i quali portavano una statua. Il cornicione e l’attico sono
stati aggiunti da me non essendosene rinvenuto alcun frammento.
ARCO IN SPELLO
TAV OLA XVII.
Spello, città antica dell’Umbria frà Assisi e Fuligno, fù fabbricata dagli an-
tichi Umbri. Quindi fù municipio de’ Romani, e si governava con proprie leggi ;
poscia divenne loro colonia. Favorita da Giulio Cesare e da Augusto, divenne assai
cospicua e famosa. In essa è che ammirasi questo arco di pietra tiburtina, che è
formato a modo di porta di città, e con due torri di forma undecagona. Non ne
rimane che piccola parte con una sola torre, come si vede nella tavola XVIII.
L altra torre poi è innestata dentro alcune case nella via che è ivi presso, e queste
torri sono dette dal volgo le torri di Properzio. È però certo che queste torri sono
di tempi assai posteriori all’arco, conoscendosi dalla diversa costruzione, e dalla
diversa pietra adoperatavi che è di una cava calcare appennina vicino a Spello. E
le finestre ora murate nelle torri sono ad arco gotico ossia di tutto sesto acuto, ed
un pezzo di soglia dell’arco di mezzo prova che non serviva a volgari passeggieri.
Che se le mura antiche che rimangono di Spello sono della stessa pietra, che è
quella delle torri, ciò potrebbe indicare essere servita la stessa cava in due epoche