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CANTO OTTAVO.
i.
Già cheti erano i tuoni, e le tempefte,
E cessate il soffiar d*Aulirò, e di Cor©:
E l’alba uscìa della magion celesie
Colla fronte di rose, e co’ piè d’oro.
Ma quei, che le procelle avean già delle ,
Non rimaneansi ancor dalle arti loro;
Anzi l’un d’essi, ch’Astagorre è detto,
Così parlava alla compagna Aletto.
si.
Mira, Aletto, venirne (ed impedito
Esser non può da noi) quel cavaliere,
Che dalle fere mani è vivo useito
Delsóvran difensor del nostro impero.
Quelli, narrando del suo Duce ardito
E de’ compagni ai Franchi il caso fero,
Paleserà gran eose: onde è periglio
Che si richiami di Bertoldo il figlio.
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