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2sQ CANTO XII.

<4* xxìx. 4*

Perciò per que(ìa infermitade, o quella
Prendeano medicine solutive,

E cacavano lino a ie budelia
Exciusive, e taiora anco inciusive.

O febbre, o punta, o idropiiia, o renella,

O sco.rbuto, a ìa casìia eran corrive,

E abuso fean di queda medicina,

Qual, maie inteso il Torti, in) or fan di china.

^ XXX. ^

O Torti, o a nostra erade uom senza paro,

E v’ha chi te firanteso, esce di via?

Ma tu parli pur sempre netto, e chiaro,

Sia la lingua del Tebro, o d’Arno lia.

Tu per meglio indicar Palto riparo,

Fatta a ogni febbre ia genealogìa,

Quì vaì, dici, la china, e quì ncn vale;
Quattro ! chi non fintende, è uno stivale,

4» XXXI.

Ah che ne’ scritti tuoi non son tenebre,

II mai’ è prender Togna per la Menga,

O, l'e la china è pur atta a tal febbre,

Non veder quando il darla si convenga.

Chi lette ha !e tue carte-, le palpebre
Aperte su i malati un po più tenga.

Sì i ruoi seguaci fan licuri, e baldi
Di non errar, sì fa il vivace Araldi, n)

tn) Frsncesco Torti, celebratislimo Medico dei Duca di
Modena.

n) Medico di acnto ingcgno, di fino giudizio, e di gran cre-
dito in Modona,
 
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