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PERIODO TERZO
siccome l’altezza della colonna nel tempio etrusco, pure secondo Vitruvio, sarebbe
stata di sette diametri, così le colonne avrebbero avuto l’altezza di m. 4,20 all’incirca.
Ma tutto ciò non si accorda con quanto asserisce d’altra parte Vitruvio, che cioè le
colonne avrebbero dovuto misurare il terzo della larghezza dell’edificio; se così fosse,
essendo la larghezza del tempio di Marzabotto di m. 19, le colonne avrebbero dovuto
ivi misurare m. 6,30 di altezza con un diametro di m. 0,90 e conseguentemente con
uno stilobate grosso m. 1,80. Invece tutto porta a credere, dato il minore spessore dello
stilobate, che il tempio di Marzabotto fosse assai più basso di quanto sarebbe sancito
nel canone di Vitruvio.
Queste larghe dimensioni con spazieggiati intercolunni, corrispondendo ad una
altezza assai modesta, dovevano dare al tempio di Marzabotto un pesante, tozzo aspetto
di goffaggine provinciale, contrastante con l’armonia, la snellezza,
la eleganza dei templi ellenici dell’architettura pienamente evoluta.
E perciò i frontoni dovevano essere con gli angoli laterali assai acuti
e con uno spazio a triangolo schiacciato, e, se ci ricordiamo che
aspetto consimile presentavano i frontoni dello Heraion di Olimpia
— importantissima documentazione della primitiva architettura reli-
giosa presso i Greci — non possiamo che ripetere la constatazione
già fatta, che cioè non solo in questa fase di arte, ma in età assai
meno vetusta, come si può arguire dalle trasformazioni 0 dai rifaci-
menti avvenuti nel periodo ellenistico, nel tempio etrusco-italico erano
rimasti schematizzati e con caratteri peculiari, come la triplicità della
cella, aspetti assai arcaici del tempio ellenico, che noi con fatica pos-
siamo rintracciare in alcune costruzioni della Grecia. Il tempio della
Mater Matuta, non lontano dai confini della Campania, ci indica, si
può dire, la strada per la quale i metodi architettonici nella costruzione dei templi
penetrarono nell’Italia di mezzo. Le colonie elleniche dell’Italia meridionale, e prin-
cipalmente Cuma, saranno state maestre agli Etruschi e agli Italici, i quali, fissati i
metodi costruttivi di rozzi edilìzi di legno su stilobate di sassi e con rivestimenti di
variopinte terrecotte, più non li modificarono e li mantennero tutti schematizzati sino
alla compiuta romanizzazione del paese.
La colonna tuscanica. — Ritornando al tempio di Marzabotto, si deve osservare
che in esso le colonne erano certamente di legno, cioè tronchi di alberi levigati, che
riposavano su basi modinate di pietra, di cui alcuni esempi si rintracciarono, e nell’arce
e nel pianoro di Marzabotto. La colonna doveva adunque essere di ordine tuscanico,
col quale nome convenzionale s’intende una colonna dorica provvista di base e senza
scanalature. Un esemplare di pietra, ritrovato a Pompei ed ascritto al secolo vi, potrebbe
appartenere al mondo ellenico e non già a quello italico-etrusco. Ed invero, come risulta
da due edifizi riprodotti sul vaso Francois (si v. uno nella fig. 189) e da un residuo di
colonna del tempio di Demetra a Pesto, dovette anche nell’ordine dorico rimanere talora,
come residuo di un tipo proto-dorico, la colonna provvista della base. È una forma
primitiva che si suppone nei templi arcaicissimi di Grecia, in cui la colonna di legno,
analogamente a ciò che ci appare nella civiltà pre-ellenica (cfr. il tesoro di Atreo),
doveva essere sostenuta da una base; ed è questa forma peculiare di colonna che,
PERIODO TERZO
siccome l’altezza della colonna nel tempio etrusco, pure secondo Vitruvio, sarebbe
stata di sette diametri, così le colonne avrebbero avuto l’altezza di m. 4,20 all’incirca.
Ma tutto ciò non si accorda con quanto asserisce d’altra parte Vitruvio, che cioè le
colonne avrebbero dovuto misurare il terzo della larghezza dell’edificio; se così fosse,
essendo la larghezza del tempio di Marzabotto di m. 19, le colonne avrebbero dovuto
ivi misurare m. 6,30 di altezza con un diametro di m. 0,90 e conseguentemente con
uno stilobate grosso m. 1,80. Invece tutto porta a credere, dato il minore spessore dello
stilobate, che il tempio di Marzabotto fosse assai più basso di quanto sarebbe sancito
nel canone di Vitruvio.
Queste larghe dimensioni con spazieggiati intercolunni, corrispondendo ad una
altezza assai modesta, dovevano dare al tempio di Marzabotto un pesante, tozzo aspetto
di goffaggine provinciale, contrastante con l’armonia, la snellezza,
la eleganza dei templi ellenici dell’architettura pienamente evoluta.
E perciò i frontoni dovevano essere con gli angoli laterali assai acuti
e con uno spazio a triangolo schiacciato, e, se ci ricordiamo che
aspetto consimile presentavano i frontoni dello Heraion di Olimpia
— importantissima documentazione della primitiva architettura reli-
giosa presso i Greci — non possiamo che ripetere la constatazione
già fatta, che cioè non solo in questa fase di arte, ma in età assai
meno vetusta, come si può arguire dalle trasformazioni 0 dai rifaci-
menti avvenuti nel periodo ellenistico, nel tempio etrusco-italico erano
rimasti schematizzati e con caratteri peculiari, come la triplicità della
cella, aspetti assai arcaici del tempio ellenico, che noi con fatica pos-
siamo rintracciare in alcune costruzioni della Grecia. Il tempio della
Mater Matuta, non lontano dai confini della Campania, ci indica, si
può dire, la strada per la quale i metodi architettonici nella costruzione dei templi
penetrarono nell’Italia di mezzo. Le colonie elleniche dell’Italia meridionale, e prin-
cipalmente Cuma, saranno state maestre agli Etruschi e agli Italici, i quali, fissati i
metodi costruttivi di rozzi edilìzi di legno su stilobate di sassi e con rivestimenti di
variopinte terrecotte, più non li modificarono e li mantennero tutti schematizzati sino
alla compiuta romanizzazione del paese.
La colonna tuscanica. — Ritornando al tempio di Marzabotto, si deve osservare
che in esso le colonne erano certamente di legno, cioè tronchi di alberi levigati, che
riposavano su basi modinate di pietra, di cui alcuni esempi si rintracciarono, e nell’arce
e nel pianoro di Marzabotto. La colonna doveva adunque essere di ordine tuscanico,
col quale nome convenzionale s’intende una colonna dorica provvista di base e senza
scanalature. Un esemplare di pietra, ritrovato a Pompei ed ascritto al secolo vi, potrebbe
appartenere al mondo ellenico e non già a quello italico-etrusco. Ed invero, come risulta
da due edifizi riprodotti sul vaso Francois (si v. uno nella fig. 189) e da un residuo di
colonna del tempio di Demetra a Pesto, dovette anche nell’ordine dorico rimanere talora,
come residuo di un tipo proto-dorico, la colonna provvista della base. È una forma
primitiva che si suppone nei templi arcaicissimi di Grecia, in cui la colonna di legno,
analogamente a ciò che ci appare nella civiltà pre-ellenica (cfr. il tesoro di Atreo),
doveva essere sostenuta da una base; ed è questa forma peculiare di colonna che,