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Volume II.

STORIA DELL'ARTE CRISTIANA

Pitture

perfecit officio. Gli antichi scrittori greci sono i primi nar-
ratori di queste imagini acheropite, quantunque Simocatta
(loc. cit.) affermi che i Romani chiamavano acheropita
Pimagine di Cristo, venerata in Amida: à-fiipami-tyiov Ss tgdto
'Pa^aioi xccreuoftaJoucTf. Ma essi non fanno la confusione che
qui vediamo, delle imagini dette di S. Luca colle acheropite,
sibbene i più tardi scrittori, fra i quali è Teofane Cerameo,
(ZTom.XI, p. 64), autore del secolo nono, che chiama la inda-
gine di Taormina, la quale tenevasi fosse di S. Luca, imagine
di mano non umana: tò &yiipóiwxmv aùrvjs xmmcviafix.

Non essendo mio scopo aggirarmi in questo labirinto,
ma si di riunire in un sol corpo tutti i monumenti cri-
stiani figurati, qualunque sia l'origin loro, purché si possa
provare, che antecedono l'epoca da me prefissa per termine
al mio lavoro, io narrerò quanto sappiamo per tradizione
di ciascuna imagine sì di Cristo come della Vergine. Dove
la tradizione scritta manca, e ogni altro argomento, ancor
io dovrò tacermi, quantunque possa esser vero, che alcune
imagini da me omesse, veramente siano anteriori al secolo

TAVOLA CVI.

I. Imagine edessena. Nel settimo Concilio generale citasi
Evagrio, il quale narra che gli Edesseni, vedendosi stretti
d'assedio dai Persiani (ciò avvenne nel 545 dell'Era nostra),
portarono con pompa in processione l'imagine che Gesù
Cristo mandò ad Abgaro. Costantino Porfirogenito lesse in
qualche altro autore, che questa imagine era nascosta e che
in quell' occasione dell' assedio fu rivelato al vescovo Eulalio
ove fosse. Eusebio che pur trasse dagli archivii di Edessa
le lettere di Abgaro e di Gesù Cristo e le inserì nella sua
Storia (Hist. eccl. I, 13), non vi trovò nulla che rassodar
potesse questa tradizione : né parmi probabile che, come
taluni sospettano, abbia mutilate quelle lettere, togliendone
il passo che riguardava la dimanda del ritratto e l'invio o
la promessa fattagli da Cristo ; perocché tal mutilazione
avrebbe fortemente disgustato gli Edesseni, il che non sap-
piamo che avvenisse. Noi ignoriamo adunque come siasi
diffusa l'opinione che P imagine edessena fosse venuta in
Edessa, mandatavi dal Signor nostro. Certi siamo soltanto,
che quarantanove anni dopo il narrato rinvenimento, cioè
al 594, nel quale anno die Evagrio alla luce la sua istoria,
Pimagine di Edessa tenevasi essere opera non umana, ma
celeste: t^y O^oxzvxrov ùxóvx -^y àvOpunav piv xsìpss ovx spyx-
ffaVTO, 'A/3-yapG) Si XpiGTÒg ò 6zog, ìnsì avtòv ÉSsìv inóSti, tiino^i.
Ma poiché Evagrio dice di cavar da Procopio tale narra-
zione, si dovrà necessariamente darle una maggiore antichità.
Questo scrittore mori sotto Giustiniano o poco dopo, ma
nelle sue opere oggi non si legge quello che Evagrio dice di
avervi trovato Fa d'uopo del resto osservare che quelle istorie

(r) In Edessa vi erano inoltre tre copie di quella imagine achero-
pita [Costarti. Orat. p. a5, nelle Orig. rentmq. Constantinopol. manipul.
Paris 1665, ed. Combefis), due delle quali non acheropite ed una terza
ancor essa acheropita, perchè quantunque copia, pur tuttavia dicevasi

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non ci sono pervenute intere : et finem edessenae obsidionis
hodie desideravi, scrive il Casaubono (Exercit. i3, 8, 3i);
e il Sandino (Hist.fam. sacrae ex antiq. monum. collecta,
Patavii 1764, p. 262) pensa che fosse in quella digressione
del libro IV de Bello Gothico (e. i4), ove racconta alcuni mi-
racoli, avvenuti in tempo della edessena oppugnazione. Questa
testimonianza di Procopio sarebbe vinta di lunga mano da
altra assai anteriore, se fosse vero che si trovi negli atti del
martirio di Samona e Guria edesseni, scritti non molto dopo
il 3o6 {ap. Surium ai 15 di novembre, XVII Kal. dee.) e, a
giudizio anche del Baillet, autentici. Ma il Sandino (op. cit.
p. 160), che ne cita il passo, non ha badato che quel luogo,
ove se ne parla, non fa parte degli Atti, ma appartiene al
testo del Metafraste, al quale autore devesi perciò attri-
buire quel giudizio. Dopo Evagrio e sul principio del secolo
ottavo, S. Gregorio II papa parla dell'imagine, mandata da
Cristo ad Abgaro, come di cosa certa, scrivendo a Leone
Isaurico: ò Xpicrròs àni<r:-d\iv iSioy_slpa; xvxiypxtpov xxì rè xyiov
xxì !v8o?!/v xìrvov npóaamv. E tal opinione è pure di Teofane
Cerameo (Hom. XX, p. 129, ed. Scorso), il quale scrive:
avzòs 0 SsitttÓtvjc; Èv czvScy! to iSioy ùh*oq à/ctpsisuxTwg \iopyaaxq
Avyàpa ra rvjc. AìSÉffffvj; Tmxpyy ì^mi^sv, e similmente opi-
narono il Metafraste e molti altri dappoi. A noi non è dato
di allegar nuovi testi e scrittori d'epoca anteriore a quella
di Evagrio, a fin di stabilir meglio questa tradizione. Ciò
che sappiamo di certo è che questa imagine stette in Edessa
fino all'anno g44, quando Romano Lacapeno, avutala dai
Saraceni nei patti di resa, la trasportò in Costantinopoli (1);

miracolosamente impressa sopra una tegola che copriva V acheropita,
chiudendo il loculo, ove era stata nascosta. In un borgo chiamato
Mabuc (Id. ìbid. p. 81) se ne venerava una sopra tegola, detta ancor
essa acheropita.
 
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