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Volume II.

STORIA DELL'ARTE CRISTIANA

Tav. 106.

Marangoni opina a pagine 89, 90 che sulla tela sia copiato il
volto che è dipinto sulla tavola, insieme con tutta la figura ;
ma non ne arreca le prove. Se non che è evidente che vi
debba essere l'intera figura, altrimenti non s'intenderebbe
a che fine per un volto tutta quella gran tavola. Che poi
di fatto vi sia, provasi dall' Ordo Romanus di Benedetto, ca-
nonico di S. Pietro, pubblicato dal Mabillon (Mus. ital. II,
p. 13g), nel quale si legge : il Papa scopre F imagine e a lei
bacia i piedi: aperti imaginem et osculatur pedes eius
(Cf. l'Ordo Rom. di Cencio Camer. p. 134, n. 32), e dalla
moneta o docato d' oro del Senato romano, citata di sopra,
che rappresenta tutta la persona, vestita di tunica e pallio,
col libro nella destra. Qual sia l'imagine del volto di Cristo
sulla tela io non so dirlo. I nostri contemporanei mi hanno
affermato, che non vi rimane se non un' ombra e questa è
anche appannata da un erto cristallo che le sta davanti.
Non essendomi stato permesso uno studio accurato da vicino,
mi è stato d' uopo rivolgermi a quelle copie che se ne sono
fatte in varii tempi, fra le quali a tutta ragione mi è sem-
brato dover prescegliere quella che il Marangoni fé'disegnare
e diede incisa ed è poi stata ripetuta anche dal Cavalieri.

S. Niceforo negli Antirretici contro il Cabalino, editi dal
Mai {Nova Bìbl. PP. t. V, p. i4i), memora più imagini
acheropite di Gesù Cristo, le quali erano state in gran vene-
razione di Eraclio e che a' suoi tempi esistevano tuttavia :
ov ('Hpa'/kdov) y.aì rag \vyo[xzvaq àyttptmoivytovq tou aux^pog
vjpitàv Xpierov saóvas i jpóvoq SiéVcoi^v. Forse parla, come
talvolta sogliono gli oratori, nel numero plurale, ovvero in
generale accenna a quelle imagini acheropite che venera-
vansi ai tempi di Eraclio nell' Impero. Teofane nel Cronico
all'anno 12 di Eraclio una sola acheropita nomina, che
Eraclio portava seco nel campo per debellare i suoi nemici,
e della quale si giovò per ravvivare il coraggio de'suoi
soldati, e Simocatta la dice copia dell'archetipo che vene-
ravasi in Roma, come ho notato di sopra, cioè del volto
detto della Veronica. Era dipinta in tela, come il santo volto
di Edessa, e nella guisa medesima fu incollata sopra tavola :
ma dopo Eraclio, perocché i suoi storici ne parlano come di
un oggetto facile a trasportarsi, tenersi in mano, abbracciarsi,
cose assai ardue e in parte non possibili nella tavola di olivo
grossa tre dita e alta palmi sette, quanto un' intera figura di
uomo, sulla quale il volto santo è affisso. Pier Leone Casella
sebbene opinasse che fosse quella istessa che Filippico ed
Eraclio portavano nelle battaglie, non pertanto ei non seppe
che fosse dipinta in tela e incollata, ma stimò che la tavola
fosse portata innanzi nelle guerre. Onde Nicola Processi,
in un manoscritto citato dal Soresini (De imag. SS. Salvai.

Romae 1675, p. 4o), a questo parere giustamente si oppose,
avvertendo che la predetta opinione era. stata confutata da
Francesco Grisendo in una sua lettera al P. Giacinto Libelli:
optimis quidem argumentis validìssimisque rationibus et
dare ostendit et solide probat eruditus noster amicus et
domimis Fr. Grisendus. Il Grisendo ( Mich. Giustiniani,
Lettere memorabili, Roma 1669, 2" parte, p. 13 5 e segg.) l'ar-
gomenta giustamente dal modo con che parlano gli autori
che descrivono questa imagine di Filippico e di Eraclio,
tutto proprio di chi intende additare un piccolo oggetto da
tenersi in uno scrigno o cassetta, e non gli par credibile
che di una tavola di palmi sette, erta quasi tre dita (1), quale
è quella del Sancta Sanctorum, si potesse siffattamente
parlare. Indi osserva a pagina 139 che il Simocatta dell'ima-
gine di Camuliano, non ben creduta dal Millino (Dell'oratorio
di S. Lorenzo, Roma 1666) e da altri essere quella di
Eraclio, dicendo, che non era tessuta, chiaramente dimostra,
che questa di Eraclio era sopra panno, come quella di Edessa,
della quale si sa che è in tela e- l'attesta anche Andrea
Cretense, (Boisson. loc. cit), colle parole iv ò&v.u.

4, 5. Sindoni di Torino e di Besanzone. Dopo le imagini
che effigiano il volto santo, o solo esso volto dimostrano,
è d' uopo rivolgersi a quelle pitture che rappresentano tutta
intiera la figura del Salvatore; e queste sono le Sindoni, una
delle quali si conserva tuttavia in Torino ; l'altra, che mostra-
vasi in Besanzone, alla fine del secolo passato fu distrutta.
Ambedue hanno il grido di essere acheropite, ed era volga-
rissima opinione, almeno del secolo decimoquinto, che nella
Sindone di Chambery, ora torinese, fosse impressa l'imagine
di Gesù e vi apparissero le macchie del sangue. Tali sono
le parole di papa Sisto IV che l'attesta nella sua Bolla, ove
dice che in quella Sindone verus sanguis Iesu Christi et
imago conspicitur. All' affermazione del Papa si conformano
i disegni che se ne hanno, e in prima quello del cardinal
Paleotto che l'ebbe dal cardinale Federico Borromeo, di poi
di Giovan Giacomo Chifflet, che parmi sia quell'antica effigie,
la quale dice il P. Lazzaro Giuseppe Piano (Commentarti
Critico-archeologici sopra la sacra Sindone di Torino, i833,
tom. I, p. 45), più conforme all' originale, e che egli quasi
interamente copiò nell'opera sua.

E di fatti l'antica copia della Sindone che si conserva in
Salerno presso le monache di S. Giorgio, assai rassomiglia
a quella di Giovan Giacomo, il quale die alle stampe anche
la Sindone besanzonese, che in tutto è simile alla torinese:
se non che alla vesontina manca il limbo o perizoma intorno
ai fianchi. Laonde lo Chifflet prese argomento per dire che

(1) La tavola d'olivo, sulla quale è affissa la testa del Salvatore, è
;rossa un mezzo dito: e questa tavola è inchiodata sopra un tavolone

grosso quattro dita. L'attesta nei processi dell'Archivio, anno i625, Lo-
renzo Buonìncontri, segretario della Compagnia del SS. Salvatore.

IO
 
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