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P O E S I A L 1 B. 111. !4I

me fa talvolta ne'suoi Libri Lionardo da Gapova (a). Per consenti-
mento di^ tutti i saggi (i debbono elegger le voci più pure, le lo-
euzioni più leggiadre di que’padri deli’Italico Idioma, e non tocca-
re il lor rancidume. Altrettanto ancor facevano i Romani Scrittori
al tempo di Cesare, e di Tullio; e chi altrimenti operò, fu dile^-
giato da tutti.

Secondariamente le Lingue allora più sono salite in aito pregio^
quando elle hanno avuto più Scrittori eccelienti, che con esse abbia-
no trattato tutte le Scienze, e ie Arti. Contuttochè Omero, Esio-
do, Orfeo, Lino, e altri vaienti Autori avesssero si felicemente scrit-
to in Greco, pure non giunse giammai queliTdioma aila sua perfe-
zione, e gloria, se non in quel tempo, in cui fiorirono Platone,
Ariiiotele, Isocrate, Demostene, Eschine, Sofocie, Euripide, Ariiio-
sane, Teofrado, Senofonte, e mille altri famosi Greci, che trattaro-
no, e coltivarono tutte l’Arti, e le Scienze. Non fu disserente ia
fortuna dei Linguaggio Latino. Al secolo di Tuilio, in cui visssero
tanti gloriosi Scrittori, toccò sonore d’averio perfezionato, quantun-
que ne’ secoii avanti non pochi valentuomini avesssero acquistata gran
lode in iscrivendo Latino, e si stimasfero, e tuttavia si sfimino co-
tanto per cagion delia Lingua le Opere di Piauto, e Terenzio. Cer-
to è, che si credette una volta dai Romani : Mufas Plautino fermo-
ne loquuturas fuijfe, fi Latine loqui vellent. Sappiamo altresi, che
da A. Geilio (b) è chiamato Plautus homo Linguae, atque elegantiae ^
in verbis Latinae princeps ; e aitrove Linguae Latinae decus. Teren-
zio parimente fu da Cesare appeliato puri fermonis amator ; e Tul-
lio iodò in lui elegantiam fermonis, per tacer tanti altri, che som-
mamente lodarono ia favella di quefii Autori. Certo è ancora, che
dai Libri di que’primi Latini si trassse la Gramatica Latina, e non
da quelli di Cicerone, Virgiiio, ed Orazio, Ma ciò non ostante 1’

aureo

(a) Ltonardo da Gapovi praticò col Boccaccio solo, cioè coll’uso del Popol Fioren-
tino di quel tempo ; e ci biiogna alcun poco, converiare col Popolo Fiorensino di que-
fìo tempo, o immediatamente udendolo parlare, o mediatamente per via degli Scrittori
Fiorentini, o allevati in Firenze, per dii’cernere, quali voci anche in oggi si pratichi-
no di quel Secolo, c'ne sono le pih; e quali sieno le dismesse. Alcuni Napolitani vor-
rebbero la Lingua Toscana, Lingua morta, per non avere la pena di studiare, se non
i Libri d’ un solo secolo. Salustio tu criticato come aiTettatore di voci antiche . L’ affet-
tazione fia sempre vizio; ma non per quefio si condannano gli Autori antichi, come
barbari, e impuri.

(b) SpeccniamocÌ in Aulo Gellio, Gramatico dottissimo. Era dopo i tempi de’Ce*
sari, de’Salustii, de’Ciceroni; e pure fa quesso Eiogio a Plauto: Plautus homo Utn~
guasj atque eleganttae tn verbis Lattnae Princeps. Non dice Cicerone , ma Plauto. Di-
Itingueva la Lingua dalla Eloquenzai il secol d’oro deila Lingua, dai secol d’oro dellst
Elcxquenza.
 
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