RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA
disposizione all'arte, concepirne certezza di progresso. In-
fatti il Bonito subito si distinse per tenacia di volontà,
per prontezza d'ingegno, per sveltezza nel carpire ed im-
parare tutti i segreti della difficile tecnica. Si compiaceva
il Solimena di mostrarsi in pubblico col codazzo dei suoi
discepoli, che gli formavano d'intorno come una piccola
corte, nella quale erano ammessi i più provetti od i prefe-
riti, e fra questi spesso fu visto il nostro Giuseppe con la
sua tunica da abate, come, a somiglianza ed in omaggio al
maestro, solevano vestire gli allievi, quasi a formargli in-
torno uno speciale sodalizio.
I primi lavori del Bonito furono copie dal maestro. È
risaputo che nel copiare consisteva il primo gradino del-
l'arte, nel qual grado pur arrestandosi talvolta, potevasi
conseguire una relativa eccellenza. Tutti i discepoli del
Solimena, anche i migliori come il De Mura, il Conca,
il Rossi, cominciarono così; ed il merito più spiccato
stava appunto nel riprodurre quanto più fedelmente era
possibile il maestro, il quale dava poi all'opera gli ultimi
tocchi. Così, alcune di queste copie parvero lavori dello
stesso Solimena, e tal perfezione diede ad esse Scipione
Cappella, che senza creare alcun che di sua testa, essendo
d'ingegno scarsissimo, ebbe fama e quattrini, e parecchi
dei lavori suoi furon venduti come originali del maestro.
Queste prime produzioni di Giuseppe Bonito raggiun-
sero tanta bontà imitativa, che qualcuno giurò che fossero
uscite direttamente dal pennello dellhb^e Ciccio. In breve,
egli divenne della scuola di questo uno dei migliori alunni,
superando molti colleghi maggiori di lui per età e per
studio. Anche in tali esecuzioni non libere e prettamente
imitative, parve notarsi nel Bonito la tendenza ad una su-
periore arte. Il maestro prese a volergli bene ed a pro-
teggerlo, ed i compagni lo appellarono con grazioso dimi-
nutivo Peppariello di Castellammare, così come Franceschiello
era detto il De Mura, e l'Olivieri Salvatoriello.
Aveva il Bonito 23 anni quando eseguì il primo lavoro
di composizione. Ignoro se a proposta del Solimena o per-
chè raccomandato o scelto da altri, i Chierici Regolari di
S. Maria Maggiore detta la Pietrasanta gli diedero la com-
missione di due quadri, da collocarsi sui grandi del Fa-
relli agli altari laterali della loro chiesa. Non è da credere
dunque al Dalbono, che dice del 1721 gli affreschi della
vòlta di S. Tommaso d'Aquino 0). Forse alla commissione
dei preti della Pietrasanta non fu estraneo il sentimento
dell'economia, trattandosi di un principiante che non avrebbe
al certo affacciate molte pretese, tantopiù che le due tele
dovevano collocarsi in alto, e non erano di grandi propor-
zioni. Come che sia, i quadri furon fatti e messi a posto,
ed ancor vi restano. Con motivi assai comuni a quei
tempi, in uno di essi, quello della 3.a cappella a destra di
chi entra, riprodusse il Bonito, a grandezza naturale, l'Angelo
Custode che sottrae un fanciullo alle brame del demonio;
nell'altro della cappella di contro, l'Angelo Raffaele che fa
estrarre il fiele del pesce al piccolo Tobia. I due dipinti,
rettangolari, furon firmati dall'autore, che vi segnò la data
del 1730. Dello stesso, ma senza prova, si ritengono i
brutti angeli in alto della 2.a cappella a sinistra, e l'An-
nunziazione della i.a a destra, che porta visibilissima la
firma di uno sconosciuto Pietro De Martinis (0.
Furono questi quadri lodati ed ammirati, attenuando-
sene i difetti coll'ingrandirne i pregi; i dilettanti vi scor-
sero la mano sicura, il disegno corretto, la decisa orma
della scuola: il che era un merito; i maestri, una buona
promessa, e l'audacia, se non altro, d'essersi slanciato la
prima volta al pubblico con figure grandi, in un genere nel
quale molti tenevano il campo con onore. Però nei due di-
pinti nulla ancora si osserva che esca dal comune, anzi vi
predomina il manierismo. Il disegno è alquanto alla grossa,
qualche sproporzione offende, un po' forzate appaiono le
tinte, ed il colore precipita allo scuro; più che altro, sono
evidenti i cartocci nelle pieghe degli abiti. Ma sarebbe
stato un non senso attendersi dal Bonito cosa diversa.
Egli apparteneva a quella scuola che era ritenuta la vera
e grande espressione dell'arte, e non poteva quindi in un
primo lavoro, sia anche in parte, distaccarsene. Pure questi
due quadri gli furono di gran giovamento, lo fecero co-
noscere al pubblico, gli aprirono nuovi orizzonti.
In quel tempo in cui era sconosciuta la fotografia, i ri-
tratti costituivano una necessità ed un mobile di lusso,
dando pane a non pochi mestieranti, di cui qualcuno an-
cor avanza ai giorni nostri. Fu questo il secondo genere
di pittura in cui esordì il Bonito con onore, ed in cui
non senza lode era riuscito anche il Solimena, che Giu-
seppe nei primi ritratti suoi si diede ad imitare, con la
specialità di rappresentare le figure di fronte anziché di
profilo, come dalla generalità si usava. Ma poi in lui si
notò un distacco dalle tradizioni e dal convenzionalismo,
un gusto più raffinato, più naturalezza, lo sforzo infine a
cogliere sul fatto la vita, a dar alle figure vero atteggia-
mento ed espressione, a rendere il personaggio non solo
somigliantissimo nelle linee del volto ma in tutta la per-
sona altresì, in modo che vivo ne spiccasse il carattere.
Questo suo fare simpatico piacque. Narra il De Domi-
nici (2) che il duca Salas di Montalegre, che era uno dei
pezzi grossi dell'epoca, volle tenere presso di sè, per qual-
che tempo, il giovane pittore, trattandolo e ricompen-
(1) Catalani, Le chiese di Napoli, 1853, p. 126.
(1) Op. cit., p. 118.
(2) Op. cit., p. 610.
disposizione all'arte, concepirne certezza di progresso. In-
fatti il Bonito subito si distinse per tenacia di volontà,
per prontezza d'ingegno, per sveltezza nel carpire ed im-
parare tutti i segreti della difficile tecnica. Si compiaceva
il Solimena di mostrarsi in pubblico col codazzo dei suoi
discepoli, che gli formavano d'intorno come una piccola
corte, nella quale erano ammessi i più provetti od i prefe-
riti, e fra questi spesso fu visto il nostro Giuseppe con la
sua tunica da abate, come, a somiglianza ed in omaggio al
maestro, solevano vestire gli allievi, quasi a formargli in-
torno uno speciale sodalizio.
I primi lavori del Bonito furono copie dal maestro. È
risaputo che nel copiare consisteva il primo gradino del-
l'arte, nel qual grado pur arrestandosi talvolta, potevasi
conseguire una relativa eccellenza. Tutti i discepoli del
Solimena, anche i migliori come il De Mura, il Conca,
il Rossi, cominciarono così; ed il merito più spiccato
stava appunto nel riprodurre quanto più fedelmente era
possibile il maestro, il quale dava poi all'opera gli ultimi
tocchi. Così, alcune di queste copie parvero lavori dello
stesso Solimena, e tal perfezione diede ad esse Scipione
Cappella, che senza creare alcun che di sua testa, essendo
d'ingegno scarsissimo, ebbe fama e quattrini, e parecchi
dei lavori suoi furon venduti come originali del maestro.
Queste prime produzioni di Giuseppe Bonito raggiun-
sero tanta bontà imitativa, che qualcuno giurò che fossero
uscite direttamente dal pennello dellhb^e Ciccio. In breve,
egli divenne della scuola di questo uno dei migliori alunni,
superando molti colleghi maggiori di lui per età e per
studio. Anche in tali esecuzioni non libere e prettamente
imitative, parve notarsi nel Bonito la tendenza ad una su-
periore arte. Il maestro prese a volergli bene ed a pro-
teggerlo, ed i compagni lo appellarono con grazioso dimi-
nutivo Peppariello di Castellammare, così come Franceschiello
era detto il De Mura, e l'Olivieri Salvatoriello.
Aveva il Bonito 23 anni quando eseguì il primo lavoro
di composizione. Ignoro se a proposta del Solimena o per-
chè raccomandato o scelto da altri, i Chierici Regolari di
S. Maria Maggiore detta la Pietrasanta gli diedero la com-
missione di due quadri, da collocarsi sui grandi del Fa-
relli agli altari laterali della loro chiesa. Non è da credere
dunque al Dalbono, che dice del 1721 gli affreschi della
vòlta di S. Tommaso d'Aquino 0). Forse alla commissione
dei preti della Pietrasanta non fu estraneo il sentimento
dell'economia, trattandosi di un principiante che non avrebbe
al certo affacciate molte pretese, tantopiù che le due tele
dovevano collocarsi in alto, e non erano di grandi propor-
zioni. Come che sia, i quadri furon fatti e messi a posto,
ed ancor vi restano. Con motivi assai comuni a quei
tempi, in uno di essi, quello della 3.a cappella a destra di
chi entra, riprodusse il Bonito, a grandezza naturale, l'Angelo
Custode che sottrae un fanciullo alle brame del demonio;
nell'altro della cappella di contro, l'Angelo Raffaele che fa
estrarre il fiele del pesce al piccolo Tobia. I due dipinti,
rettangolari, furon firmati dall'autore, che vi segnò la data
del 1730. Dello stesso, ma senza prova, si ritengono i
brutti angeli in alto della 2.a cappella a sinistra, e l'An-
nunziazione della i.a a destra, che porta visibilissima la
firma di uno sconosciuto Pietro De Martinis (0.
Furono questi quadri lodati ed ammirati, attenuando-
sene i difetti coll'ingrandirne i pregi; i dilettanti vi scor-
sero la mano sicura, il disegno corretto, la decisa orma
della scuola: il che era un merito; i maestri, una buona
promessa, e l'audacia, se non altro, d'essersi slanciato la
prima volta al pubblico con figure grandi, in un genere nel
quale molti tenevano il campo con onore. Però nei due di-
pinti nulla ancora si osserva che esca dal comune, anzi vi
predomina il manierismo. Il disegno è alquanto alla grossa,
qualche sproporzione offende, un po' forzate appaiono le
tinte, ed il colore precipita allo scuro; più che altro, sono
evidenti i cartocci nelle pieghe degli abiti. Ma sarebbe
stato un non senso attendersi dal Bonito cosa diversa.
Egli apparteneva a quella scuola che era ritenuta la vera
e grande espressione dell'arte, e non poteva quindi in un
primo lavoro, sia anche in parte, distaccarsene. Pure questi
due quadri gli furono di gran giovamento, lo fecero co-
noscere al pubblico, gli aprirono nuovi orizzonti.
In quel tempo in cui era sconosciuta la fotografia, i ri-
tratti costituivano una necessità ed un mobile di lusso,
dando pane a non pochi mestieranti, di cui qualcuno an-
cor avanza ai giorni nostri. Fu questo il secondo genere
di pittura in cui esordì il Bonito con onore, ed in cui
non senza lode era riuscito anche il Solimena, che Giu-
seppe nei primi ritratti suoi si diede ad imitare, con la
specialità di rappresentare le figure di fronte anziché di
profilo, come dalla generalità si usava. Ma poi in lui si
notò un distacco dalle tradizioni e dal convenzionalismo,
un gusto più raffinato, più naturalezza, lo sforzo infine a
cogliere sul fatto la vita, a dar alle figure vero atteggia-
mento ed espressione, a rendere il personaggio non solo
somigliantissimo nelle linee del volto ma in tutta la per-
sona altresì, in modo che vivo ne spiccasse il carattere.
Questo suo fare simpatico piacque. Narra il De Domi-
nici (2) che il duca Salas di Montalegre, che era uno dei
pezzi grossi dell'epoca, volle tenere presso di sè, per qual-
che tempo, il giovane pittore, trattandolo e ricompen-
(1) Catalani, Le chiese di Napoli, 1853, p. 126.
(1) Op. cit., p. 118.
(2) Op. cit., p. 610.