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Napoli nobilissima: rivista d' arte e di topografia napoletana — 11.1902

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Nr. 6
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Cosenza, Giuseppe: Giuseppe Bonito, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.71021#0102

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86

NAPOLI NOBILISSIMA

gere, che mi sembra probabile non sieno questi gli originali,
ma le copie; perchè il De Dominici (0 che, ripeto, è qui
degno di fede, dice che i due dipinti furono mandati in
Spagna dal compratore. Copie, ma sempre uscite dalle
mani del Bonito stesso, perchè se ne trova menzione nel-
l'elenco dei quadri rimasti in casa dopo la morte di lui.
Sono scene della vita intima, scene di tutti i dì. Voi
potete colpire sul volto di ciascuna persona i diversi in-
timi sentimenti, resi con semplice evidenza: il ragazzo
mortificato, che non osa alzar gli occhi sui compagni; il
volto del vecchio pieno di bonomia, che si atteggia alla
severità; il discepolo, che ripassa in fretta la lezione a cui
sarà chiamato fra poco; la maestra, con l'aria stizzosa di
chi è interrotto nel proprio lavoro; i visi pieni di salute
delle giovanette; chi guarda sott'occhio; chi dietro le spalle
del maestro gli alza il braccio sul capo calvo per burlarlo;
la ragazza che dà la baia alla maestra col cacciar di sop-
piatto la lingua — cose tutte a cui tante volte abbiamo
assistito, e di cui, sia detto qui in confidenza, siamo stati
forse qualche volta poco educati attori.
Non è a dire quanto chiasso fecero questi dipinti. Il Bo-
nito li espose, com'era uso, nella festa detta dei Quattro
altari, cioè nell'ottava del Corpus Domini, e la gente vi si
accalcò intorno con straordinario interesse. Chi in quelle
immagini riconosceva il parente, chi l'amico, chi vi scor-
geva conosciute rassomiglianze, giacché quei diversi perso-
naggi erano ritratti dal vivo; chi ne ebbe a lodare la ge-
nialità della composizione; chi la perfezione della prospet-
tiva, la naturalezza e la grazia degli atteggiamenti; chi la
semplicità dei mezzi, la buona disposizione dei gruppi, l'ac-
cordo delle tinte. Il nome del pittore corse per la folla, se
ne impossessò la massa, e gli si innalzarono lodi, che in
breve lo resero popolare.
Furono esagerazioni quelle lodi? No, se si badi alla no-
vità del soggetto, al tentativo di introdurre in arte un nuovo
elemento. Avvezzo quel pubblico ai soliti pomposi qua-
dri di scene sacre, in cui la parte decorativa sopraffaceva
la naturalezza, e la maniera l'ispirazione, se pur ve n'era,
o ad esagerate scene mitologiche dai ricchi svolazzi di
abiti e dalle eroiche pose, od a dipinti decorativi sempre
fatti sullo stesso stampo, od a ritratti di persone senza vita
impalate nella cornice, queste scene semplici e naturali
parvero una rigenerazione. E tali erano davvero; onde a
buon diritto può riguardarsi il Bonito come il precursore
del realismo moderno. Ma in quanto ad esecuzione, erano
in questi dipinti tutta la magnificenza e la correttezza delle
buone opere? Certamente che no.
A giudicare da quello che si ha ancor oggi sott'oc-
chio, alle due tele possono addebitarsi non pochi difetti.

(i) Pag. 612.

Subito si osserva, anche da chi è profano nell'arte, il di-
segno un po' slegato, ed un distacco nel processo delle
tinte, che a volta le fa sembrare perfino contraddittorie.
Benché complessivamente intonato, il quadro conserva
una certa esclusività nelle singole figure, alcune delle quali
paiono come uscite fuori dall'ambiente in cui si trovano.
Una languidezza di colore vi si potrebbe anche notare,
che però può spiegarsi per azion del tempo. Alquanto
uniforme è la tinta delle carni, dove le ombre non risal-
tano come dovrebbero. Qualche atteggiamento tende allo
sforzo, e tradisce la scuola d'origine; qualche dettaglio è
trascurato, per es. l'abito del maestro — ma in compenso
quanta freschezza di vita, quanta originalità, quanta grazia,
che dànno ai due lavori un'impronta artistica delle più
singolari e seducenti!
Parve così al Bonito di essersi imbattuto nella sua via;
ed infatti giammai fuvvi più diretta corrispondenza tra l'in-
dole dell'artista ed il gusto del pubblico. Mentre intendeva
egli ad altri lavori, giacché non è ammessibile che am-
manisse in un anno solo uno o due dipinti, non tralasciò
di coltivare il suo genere; e nella sua stessa festa, un anno
dopo la prima esposizione, ne fece una seconda. Questa
volta il quadro fu unico; e vi rappresentò una signorina
al cembalo che cantava, mentre il maestro di cappella le
battea la solfa, e parecchi ascoltatori le stavano intorno
in atteggiamento di ammirazione. Ma la figura caratteri-
stica, la figura popolare, direm così, fu trovata nel cici-
sbeo, nell'immancabile cicisbeo, che, pendendo in tutto
dalle labbra della sua dama, poggiava enfaticamente il
volto estasiato al pomo dell'elegante bastoncino. Tal figura
fece le spese dell'ammirazione e decretò al lavoro il suc-
cesso. Ma di questo dipinto, come degli altri due di cui
diremo tra breve, è perduta ogni traccia.
Nella stessa festa del seguente anno, espose il Bonito
altre due tele a soggetto, più grandi delle precedenti, con
molte figure quasi al naturale. Rappresentava la prima una
comitiva di giovani cacciatori, e cacciatori non soltanto
di selvaggina, poiché, pur di tutto punto armati, vezzosa-
mente scherzavano, come scrive il De Dominici, con delle
tonde e vispe contadinotte. In questo quadro nessun per-
sonaggio impressionò, come i precedenti cicisbeo e mae-
stro; ma nel secondo, invece, la cercata figura caratteri-
stica spiccò in piena evidenza. Il tema preso a trattare
non fu estraneo alla condizione dell'artista, perchè era ri-
prodotto proprio un pittore al cavalletto con una schiera
di discepoli ed ammiratori, fra cui un militare seduto con
le gambe distese che attentamente seguiva le mosse del-
l'artista, ed un vecchio vestito alla spagnola, coi capelli
canuti che contrastavano con l'azzimatura della persona,
effeminatamente riscaldandosi le mani in un gran mani-
cotto di pelle d'orso. Questo tipo, che forse era carica-
 
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