Anfiteatri 393
sta pena in quella delle miniere: quapropter, qui (mini-
no gladiatores esse prohibemus, eos qui forte dehcto-
rum caussa hanc condicionem, atque sententiani me-
reri eonsueverant, metallo magis facies inservire , ut
sine sanguine suorum scelerum poenas agnoscant. Ma
questa legge ben presto venne in disuso, e forse nelle
provinole occidentali mai non fu pienamente eseguita.
Imperciocché la legge seconda dello stesso titolo diretta
ai 16 di ottobre da Costanzo e Giuliano ad Orfito pre-
fetto di Roma, mostra che continuavano a darsi tali giuo-
chi nel 357, come pure la terza legge emanata sullo
stesso oggetto da Arcadio ed Onorio l’anno 397 dimo-
stra non solo la continuazione de’giuocbi, ma ancora la
esistenza He ludi. Lo stesso si trae da s. Agostino Con-
fess. c. Vili, e da Prudenzio centra Sjnimaclium 1. I.
v. 379 e seg:
Respice terrifici scolorata sacrarla Ditis:
Cui cadit infausta fusus gladiator arena.
Heu, mate lustratae phlegetontia vidima Romae\
Nani quid vesani sibi vult ars impia ludi?
Quid mortes iuvenutn, quid sanguine pasta voluptas?
Quid pulvis caveae semper funebris et illa
Amphitheatralis spectacula tristia pompae?
E sul fine di quel poema lo stesso Prudenzio diriggen-
dosi ad Onorio lo esorta a por fine a que'giuochi:
Tu mortes miserorum hominum prohibeto litari,
Nullus in urbe cadat cuius sit poena voluptast
Nec sua virginitas oblectet caedibas ora.
lam sohs contenta feris infamis arena,
Nulla cruentatis homicidia ludat in armis.
Non tardò a presentarsi una occasione opportuna per
abolirli: narra Teodoreto lib. V. c. XXVI. che regnando
Onorio un monaco di nome Telemaco partì dall’oriente
affine di far cessare quelli spettacoli; giunto , in Roma
sta pena in quella delle miniere: quapropter, qui (mini-
no gladiatores esse prohibemus, eos qui forte dehcto-
rum caussa hanc condicionem, atque sententiani me-
reri eonsueverant, metallo magis facies inservire , ut
sine sanguine suorum scelerum poenas agnoscant. Ma
questa legge ben presto venne in disuso, e forse nelle
provinole occidentali mai non fu pienamente eseguita.
Imperciocché la legge seconda dello stesso titolo diretta
ai 16 di ottobre da Costanzo e Giuliano ad Orfito pre-
fetto di Roma, mostra che continuavano a darsi tali giuo-
chi nel 357, come pure la terza legge emanata sullo
stesso oggetto da Arcadio ed Onorio l’anno 397 dimo-
stra non solo la continuazione de’giuocbi, ma ancora la
esistenza He ludi. Lo stesso si trae da s. Agostino Con-
fess. c. Vili, e da Prudenzio centra Sjnimaclium 1. I.
v. 379 e seg:
Respice terrifici scolorata sacrarla Ditis:
Cui cadit infausta fusus gladiator arena.
Heu, mate lustratae phlegetontia vidima Romae\
Nani quid vesani sibi vult ars impia ludi?
Quid mortes iuvenutn, quid sanguine pasta voluptas?
Quid pulvis caveae semper funebris et illa
Amphitheatralis spectacula tristia pompae?
E sul fine di quel poema lo stesso Prudenzio diriggen-
dosi ad Onorio lo esorta a por fine a que'giuochi:
Tu mortes miserorum hominum prohibeto litari,
Nullus in urbe cadat cuius sit poena voluptast
Nec sua virginitas oblectet caedibas ora.
lam sohs contenta feris infamis arena,
Nulla cruentatis homicidia ludat in armis.
Non tardò a presentarsi una occasione opportuna per
abolirli: narra Teodoreto lib. V. c. XXVI. che regnando
Onorio un monaco di nome Telemaco partì dall’oriente
affine di far cessare quelli spettacoli; giunto , in Roma