L / 3 X O
218
2Ó
Che farò dunque, mi sera ? io cono sio
guanto fa la pietà, che debbo al padre:
iJfyCa fsfrirò, cb’in bocca entrino al tofio
Si delicate membra, e f leggiadre ?
Soffrirò, che di serro amate, e bofeo .
Lesiefche de la terra vfiite fquadre
VoltinCarme in fio danno ? ò’I fatai toro
L’afii fui corno al del perfaluar loro ?
2/
Non è, mifera me, faggio configlio
D'una figlia d’vn Re, duna donzella,
S’ìo vengo a fauorir d E fine il figlio,
E togsio al padre mio gioia si bella ,
Ter che torrò cura io del fio periglio,
S’egli ha ver noi la mente empia, e rubella?
Misera, il mio clouer conofio, e veggio,
Pur approuo il migliore, e figuo il peggio.
28
Seguane quel che vuol, vo’dargli aita (gno ;
Centra il mio honor,cotr’8ta,e contrail re
E non voglio veder toglier la vita
si lodato giouane, e si degno.
E poi vo’sico, oue il fio amor m imita,
Gir per l’ignoto mar fui nono legno,
8 pereterna mia gioia , e ripofo
VE far Grecia mia patria, e lui mio fiofo.
29
Ma come ardirò mai folcar quel mare,
V' son le rumi misere condotte?
Fsi sigliano i monti infieme tartare ?
Doue da’venti fon gittate, e rotte ?
‘Doue si sinte Scilla ognhor latrare ?
V Panar a Cariddì i legni inghiotte ?
Perderò l’honor mio con quello inganno,
Per gire al certo mio periglio,e danno ?
3°
che tanto timor, tanto cordoglio ?
P otra morfo fi si si tenermi insreno ?
Se tener de L’honor conto io non voglio :
‘Debbo io stimar la vita, che vai meno ?
Non ho da temer mar, vento, nè soglio,
CPur ch'io mi troui al mio Giasone in sino.
E, fi pur debbo al timor dar ricetto ,
‘Debbo temer di lui , ch’egli è’I mio obietto.
3r
dunque per vn non giufio, e van defio
Debbo sare al mio [angue il cor rubello ?
zNbbandonare il mio genitor pio ?
La mia germana ? e’Inno caro sratello ?
Lafiìar l’antico, e regio albergo mio ?
8t vn regno si fertile, e si bello?
Ter gir sra genti frane in un paefe,
Doue le note mie non sieno intcfe_j ?
32
nssnTÌ son questi miei paesi ignudi
Di quei beni, onde ricca è l’altra parte,
(foslumi regnan qui barbari, e crudi,
^ufiui ogni satto illustre, ogni degna arte,
Jfiuiui fin le cittadi, e i dotti fludi,
Ch’empion le nostre ancor barbare carte,
8, si le cofe grandi insieme adeguo,
Le grandi non lafiio io, le grandi figuo,
33
Che sai, cieca? che sai ? vuoi tu dar sede
Ad un, cui mai non hai parlato, ò uisìo ?
Ad un, che sorfè il tuo connubio chiede,
Perche gìinfegni à sar del uello acquisto.
Pcnfa (e non lasiiar pria la patria side)
guanto farà il tuo Piato acerbo, e triplo.
S’egli, nel regno patrio ti raccoglie
Da sanciulla impudica ,enon da moglie,
34
Ma non promette un tanto ignobil atto
La sua uirtute, e’I fuo nobil fimbiante.
(fili sarò replicar più mite il patto,
E uorrò hauerne ilgiuramento auante,
Chiamerò tefiimoni al mio contratto
L’alme de le contrade eterne, e fante:
L temer non douranno i noti miei,
Ch’ei muchi à fi medefmo, e à’fommi Dei*
35
Mentre rifolue à quePto il dubbio petto,
Se l ’apprcfinta il debito, e l’honor e,
La paterna pietà, e’lpatrio assetto,
E dan uittoria al fuo penfier migliore.
Le ricor dan,fi uìene a queSlo essetto,
. Jfuel, che diran di lei le regie nuore.
Sarà, fi per tal uia si sa consorte,
LasauQla del.uolgo, e dì ogni corte,
LIauca
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2Ó
Che farò dunque, mi sera ? io cono sio
guanto fa la pietà, che debbo al padre:
iJfyCa fsfrirò, cb’in bocca entrino al tofio
Si delicate membra, e f leggiadre ?
Soffrirò, che di serro amate, e bofeo .
Lesiefche de la terra vfiite fquadre
VoltinCarme in fio danno ? ò’I fatai toro
L’afii fui corno al del perfaluar loro ?
2/
Non è, mifera me, faggio configlio
D'una figlia d’vn Re, duna donzella,
S’ìo vengo a fauorir d E fine il figlio,
E togsio al padre mio gioia si bella ,
Ter che torrò cura io del fio periglio,
S’egli ha ver noi la mente empia, e rubella?
Misera, il mio clouer conofio, e veggio,
Pur approuo il migliore, e figuo il peggio.
28
Seguane quel che vuol, vo’dargli aita (gno ;
Centra il mio honor,cotr’8ta,e contrail re
E non voglio veder toglier la vita
si lodato giouane, e si degno.
E poi vo’sico, oue il fio amor m imita,
Gir per l’ignoto mar fui nono legno,
8 pereterna mia gioia , e ripofo
VE far Grecia mia patria, e lui mio fiofo.
29
Ma come ardirò mai folcar quel mare,
V' son le rumi misere condotte?
Fsi sigliano i monti infieme tartare ?
Doue da’venti fon gittate, e rotte ?
‘Doue si sinte Scilla ognhor latrare ?
V Panar a Cariddì i legni inghiotte ?
Perderò l’honor mio con quello inganno,
Per gire al certo mio periglio,e danno ?
3°
che tanto timor, tanto cordoglio ?
P otra morfo fi si si tenermi insreno ?
Se tener de L’honor conto io non voglio :
‘Debbo io stimar la vita, che vai meno ?
Non ho da temer mar, vento, nè soglio,
CPur ch'io mi troui al mio Giasone in sino.
E, fi pur debbo al timor dar ricetto ,
‘Debbo temer di lui , ch’egli è’I mio obietto.
3r
dunque per vn non giufio, e van defio
Debbo sare al mio [angue il cor rubello ?
zNbbandonare il mio genitor pio ?
La mia germana ? e’Inno caro sratello ?
Lafiìar l’antico, e regio albergo mio ?
8t vn regno si fertile, e si bello?
Ter gir sra genti frane in un paefe,
Doue le note mie non sieno intcfe_j ?
32
nssnTÌ son questi miei paesi ignudi
Di quei beni, onde ricca è l’altra parte,
(foslumi regnan qui barbari, e crudi,
^ufiui ogni satto illustre, ogni degna arte,
Jfiuiui fin le cittadi, e i dotti fludi,
Ch’empion le nostre ancor barbare carte,
8, si le cofe grandi insieme adeguo,
Le grandi non lafiio io, le grandi figuo,
33
Che sai, cieca? che sai ? vuoi tu dar sede
Ad un, cui mai non hai parlato, ò uisìo ?
Ad un, che sorfè il tuo connubio chiede,
Perche gìinfegni à sar del uello acquisto.
Pcnfa (e non lasiiar pria la patria side)
guanto farà il tuo Piato acerbo, e triplo.
S’egli, nel regno patrio ti raccoglie
Da sanciulla impudica ,enon da moglie,
34
Ma non promette un tanto ignobil atto
La sua uirtute, e’I fuo nobil fimbiante.
(fili sarò replicar più mite il patto,
E uorrò hauerne ilgiuramento auante,
Chiamerò tefiimoni al mio contratto
L’alme de le contrade eterne, e fante:
L temer non douranno i noti miei,
Ch’ei muchi à fi medefmo, e à’fommi Dei*
35
Mentre rifolue à quePto il dubbio petto,
Se l ’apprcfinta il debito, e l’honor e,
La paterna pietà, e’lpatrio assetto,
E dan uittoria al fuo penfier migliore.
Le ricor dan,fi uìene a queSlo essetto,
. Jfuel, che diran di lei le regie nuore.
Sarà, fi per tal uia si sa consorte,
LasauQla del.uolgo, e dì ogni corte,
LIauca