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Rosa, Salvatore
Satire — Amsterdam, [1695] [Cicognara, 1038]

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https://doi.org/10.11588/diglit.27075#0104
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Sò ben, che solo à quel palpita, e punge
Il Core, e mena i dì foschi, e tremanti
Chi delia d’esser ricco, e non vi giunge.
Odo i detti ben Jo de’Crati, e Bianti y
Che chi naviga il mar delle ricchezze
Porto non hà , che di sospiri, e pianti.
Di cieca frenelia son debolezze ,
Fallaci sogni d’animo imprudente,
Cercare, ove non son, le contentezze .
Quando di troppo umor gonfio è il Torrente.
Torbide hà Tempre Tonde ; Jo , per recider*
Le tempelìe del Cor , medito il Niente.
Da! gran Savio d’Abdèra imparo à ridere ;
Apprendo da Chilone il parlar poco ;
E m’insegna Anacarsi il Falloà vccidere.
Jo sò, che l’Huom della Fortuna è un gioco :
E à far , che mai gloria mortai mi domini,
Mi .figuro il sepolcro in ogni loco sminii
D’altro non prego i Dei, nè chieggio à gl’huo'
Che smaltir le mie merci y E à tale illanza
Forza è,che in vano,e gl’uni,e gPaltri nomi'
Tanto so'.o delio , quanto àbaltanza s ni-
Serve al bi sogno ; E quello Fiume infame
Porta delusa al Mar la mia speranza.
E pur qui, tanti sotti dal letame,
Del putrefatto v-zio orridi vermi
Esche ci han trove da saziar lor brame.
Quanti approdare Jo ci hò veduti inermi
Pescator di Ranocchie, Anguille, e Sarpe,
Tramutare in Curuli i Palischermi y
E quanti, oh Dio, senza camicia , e scarpe
Portò qui il Fato , e di Ramnusia à scorno
Oggi mangian’al su0n di Cetre , e d’Arpe.
Infinitifur quei, che ci pescorno
L’ Obolo di Palete, e il pesce Elope,
L’Anel di Gige, e d’Amaltea il Corno ;
E
 
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