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Tasso, Torquato
La Gerusalemme liberata — Venedig, 1745

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https://doi.org/10.11588/diglit.5052#0359
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DUODECIMO.

lxxxvi.
O Tancredi, Tancredi, o da te stessb
Troppo diverso, e dai principj tuoi \
Chi sì t'assonda ? e qual nuvol sì spelso
Di cecità fa che veder non puoi ?
Quesla sciagura tua del Cielo è un messo:
Non vedi lui? non odi i detti suoi?
Che ti sgrida, e richiama alla smarrita
Strada, che pria segnasti, e te F addita ?
lxxxvii.
Agli atti del primiero uficio degno
Di cavalier di Cristo ei ti rappella :
Che lasciasti per farti ( ahi cambio indegno
Drudo d'una fanciulla a Dio rubella.
Seconda avversità, pietoso sdegno
Con leve sferza di là su ssagella
Tua folle colpa, e fa di tua sallite
Te medesmo ministro ; e tu '1 ritìnte ?
lxxxviii.
Rifiuti dunque, ahi sconoscente, il dono
Del Ciel salubre, e 'ncontra lui t' adiri ?
Misero, dove corri in abbandono
A' tuoi sfrenati e rapidi martiri?
Sei giunto, e pendi già cadente e prono
Sul precipizio eterno : e tu noi miri ?
Miralo, prego, e te raccogli, e srena
Quel dolor eh' a morir doppio ti mena.
lxxxix.
Tace : e in colui dell' un morir la tema
Potè dell'altro intepidir la voglia.
Nel cor dà loco a que' conforti, e seema
L'impeto interno dell'intensa doglia ;
Ma non così, che ad or ad or non gema,
E che la lingua a lamentar non seioglia,
Ora seco parlando, or con la sciolta
Anima, che dal Ciel forsè l'ascolta.
( 149 )
 
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